domenica 20 maggio 2012

Il tempio degli Otaku: sessantatresimo appuntamento "Mushishi"



A cura di Surymae Rossweisse

Salve a tutti, e benvenuti ad un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Oggi parliamo di un'opera che è intimista ed originale, con pochi eguali. Nell'affollata industria dei manga – tanto più nel piccolo mondo editoriale italiano, che o punta eccessivamente sul sicuro o spara a caso sulla folla di tutto e di più, non sempre a ragione – è piuttosto difficile che un titolo del genere abbia grande successo.
Eppure, l'opera di questa settimana ci è riuscita, affermandosi nella sua piccola nicchia e ricevendo persino un adattamento animato. Come già accennato, la particolarità del titolo non mi rende facile presentarlo, quindi la soluzione migliore è probabilmente lasciarlo parlare da solo. Ecco a voi “Mushishi” di Yuki Urushibara. Buona lettura!

In un Giappone di età non meglio imprecisata – più o meno verso l'800/900, quando ancora il Giappone era pressoché inaccessibile agli stranieri – vivono delle strane creature. Sono i mushi, esseri inclassificabili dal punto di vista biologico: vivono, semplicemente. Qualche volta entrano a contatto con degli esseri umani: gli effetti sono imprevedibili, spesso a danno dell'organismo ospitante.
La maggior parte delle persone, pur essendone a conoscenza della loro presenza, non vede i mushi; alcuni, invece sì. Tra questi ultimi spiccano i mushishi, coloro che dedicano la propria vita a cercare di guarire coloro che hanno avuto incontri ravvicinati con le creature. I dieci volumi autoconclusivi del manga seguono i vagabondaggi di Ginko, mushishi dall'aspetto peculiare con la capacità di attrarre i mushi a sé.

Un po' per i suoi capitoli autoconclusivi, un po' per le particolarità del soggetto trattato, non si può molto parlare dell'impostazione della trama, perché è piuttosto labile. A ben guardare, comunque, si può vedere un modello quasi giallistico: Ginko è l'investigatore che deve scoprire l'assassino, il mushi. Il metodo di indagine è il classico interrogatorio ai testimoni, ed in questo caso anche alla vittima con annesso flashback sulla ricostruzione dei fatti. Da lì la risoluzione del caso, che a seconda delle storie è positiva o negativa. Altro villaggio, altro giro...
Se questa fosse una serie basata sulla trama, un tale metodo ripetuto così tante volte – quasi sempre – porterebbe presto alla noia il lettore, probabilmente. Per fortuna, invece, non è così, quindi la ripetitività non è un difetto grave. Se leggere un manga equivale ad affrontare un viaggio, questo è un vagabondaggio in cui non conta la meta (non c'è) ma soltanto godersi il panorama. Ed in fondo anche la storia di Ginko è così, perché non ha un posto a cui ritornare.
Senza contare che anche se l'impianto è simile ogni storia rimane comunque a sé stante. Il motivo sono i mushi presenti, tutti diversi fra loro. Abbiamo i “parassiti”, quelli che mangiano qualcosa appartenente all'essere umano – come l'udito, o la memoria – e quelli che posseggono l'ospite, a volte persino entrandone in simbiosi. Non solo: pur essendo creature inesistenti dal punto di vista scientifico, durante la lettura quasi si tende a dimenticarlo, tanto sono accurate le spiegazioni di Ginko sullo strano mondo di queste creature. La loro biologia fa molto riferimento a quella dei batteri, ma ciò non rende noiosa la narrazione: è anzi più apprezzabile, perché fa conoscere anche al lettore le informazioni di cui ha bisogno. Non si ha nemmeno l'impressione di leggere gli inforigurgiti, perché i personaggi della storia sono allo stesso livello del lettore: se il mushishi gli spiega le cose, è come se lo facesse anche a noi.
Le varie storie sono piuttosto diverse fra loro, ma hanno in comune l'atmosfera, piuttosto onirica ed eterea. Le storie si svolgono perlopiù all'aperto: vengono presentati ambienti diversi, ma i più frequenti sono la foresta – soprattutto di notte – e la montagna, quest'ultima presentata in chiave quasi sovrannaturale. Altrimenti prevale una stanza buia, in cui gli occhi si abituano all'oscurità e quindi consentono di vedere tutte le cose più misteriose, spaventose o meno. Il ritmo di narrazione è lento; i dialoghi sono presenti, ma non disturbano l'atmosfera sognante.
Per quanto riguarda i personaggi, Yuki Urushibara poteva scegliere tra diverse opzioni, nel costruire la storia. La prima: enfatizzare Ginko, usando gli altri personaggi come mezzo di approfondimento psicologico. La seconda: l'esatto contrario. Ginko è soltanto un tramite tra noi e le varie comparse.
Ne ha utilizzata una terza: sotto un certo punto di vista, una via di mezzo tra le due. Ma non del tutto, perché i veri protagonisti della storia sono i mushi. Sono il motore della storia: le loro azioni modificano la vita di chi gli sta intorno, e spinge il mushishi di turno a dedicargli tutta la vita in cerca di una soluzione per riparare ai loro danni, se possibile senza farli morire. Ovviamente non gli si possono riferire dei pregi o difetti come dei comuni personaggi, quindi il termine introspezione psicologica è un po' esagerato, ma è il loro non avere pensieri – o meglio, non esprimerli in maniera comprensibile agli umani – che li rende realistici. Che noi sappiamo non hanno una morale, e non si rendono conto del male che causano agli altri: tutto quello che vogliono è vivere e nutrirsi, le implicazioni morali sono solo un impiccio.
Per quanto riguarda Ginko si potrebbe rimanere delusi da lui, perché non è proprio quello che si chiama personaggio tridimensionale. Nel corso della storia impariamo a conoscerlo: capiamo che nonostante il suo essere solitario ha un grande cuore e che desidera aiutare gli altri, è di mente aperta rispetto agli altri mushishi, non tratta i “pazienti” come cavie ma anzi cerca prima di tutto di risolvere i loro problemi personali, non solo legati al parassita.
Tuttavia, rimane sempre piuttosto sfuggente e misterioso: quando parla lo fa soltanto per esprimere giudizi legati alla sua attività. Se le “vittime della settimana”, come vedremo tra poco, sono subordinate ai mushi, per lui il discorso vale sia per le creature sia per i personaggi. E' un tramite tra noi e loro: se non ci fosse, non verremmo a conoscenza delle loro storie, e anche il manga ne avrebbe pesanti conseguenze: sarebbe più disorganizzato, e di conseguenza pesante da leggere. E' più uno strumento che un vero componente del cast.
Parlando delle vittime, molto dipende dalla loro storia: alcune sono più coinvolgenti di altre, quindi anche loro fanno una diversa impressione. A lungo andare possono tendere a somigliarsi, perché volente o nolente sono tutte persone ordinarie: gente che prima di venire a contatto con il mushi viveva normalmente, spesso con una famiglia. Ed invece all'improvviso, senza aver fatto nulla per meritarselo, la loro vita pacifica viene sconvolta così.
In generale si dividono in due categorie, a seconda di come reagiscono agli effetti dei parassiti. Ci sono quelli, la maggior parte, che desiderano in tutti i modi liberarsi di loro: non sono rari coloro che vengono menomati in vario grado dai mushi – ad alcuni cominciano a crescere sulla loro pelle foglie e fiori, e si trovano anche in pericolo di vita o comunque in difficoltà. Una delle prime storie verte proprio su questo: in un villaggio di montagna è pericoloso avere problemi di udito, perché in caso di tormenta è più facile perdersi. Naturalmente, il parassita di turno mangia i suoi...
Altri cercano di sfruttarne gli effetti positivi, ammesso che ci siano. L'uomo con i sogni profetici cerca di usarli per salvare le persone a cui tiene; un produttore di saké cerca in tutti i modi quello contaminato dal mushi per il suo gusto particolarissimo, ecc. In genere i fatti gli dimostrano che non è una scelta saggia, ma più dei consigli di Ginko ne fa il decorso della loro malattia.
In una terza categoria... le vittime sono totalmente incoscienti. Il riflettore si sposta così da loro ai loro amici e parenti, e non sono rari colpi di scena. C'è sempre un mushi di mezzo, ma tensioni sopite e climi poco sereni non aiutano...soprattutto in questo caso è evidente l'impostazione giallistica della serie.

Il comparto tecnico è altalenante. Bellissimi gli sfondi, e pregevole l'uso dei colori; gli ambienti sono ricostruiti con grande cura, così come le atmosfere. I personaggi, però, hanno una fisionomia tutta uguale, a volte anche nelle stesse storie. Come dice il sito internet “TV Tropes” - la sua missione: cercare e classificare gli stereotipi della fiction – la Yuki Urushibara disegna “solo sei facce”. Uno dei nei più rilevanti per una serie difficile da definire, ma di sicuro pregio.

...E con questo è tutto, cari amici. Arrivederci alla prossima settimana, con “Il tempio degli Otaku”!




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