A cura di Surymae Rossweisse
Salve a tutti, e benvenuti ad
un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Oggi parliamo di un'opera che è
intimista ed originale, con pochi eguali. Nell'affollata industria dei manga –
tanto più nel piccolo mondo editoriale italiano, che o punta eccessivamente sul
sicuro o spara a caso sulla folla di tutto e di più, non sempre a ragione – è
piuttosto difficile che un titolo del genere abbia grande successo.
Eppure, l'opera di questa
settimana ci è riuscita, affermandosi nella sua piccola nicchia e ricevendo
persino un adattamento animato. Come già accennato, la particolarità del titolo
non mi rende facile presentarlo, quindi la soluzione migliore è probabilmente
lasciarlo parlare da solo. Ecco a voi “Mushishi” di Yuki Urushibara. Buona
lettura!
In un Giappone di età non meglio
imprecisata – più o meno verso l'800/900, quando ancora il Giappone era
pressoché inaccessibile agli stranieri – vivono delle strane creature. Sono i
mushi, esseri inclassificabili dal punto di vista biologico: vivono,
semplicemente. Qualche volta entrano a contatto con degli esseri umani: gli
effetti sono imprevedibili, spesso a danno dell'organismo ospitante.
La maggior parte delle persone,
pur essendone a conoscenza della loro presenza, non vede i mushi; alcuni,
invece sì. Tra questi ultimi spiccano i mushishi, coloro che dedicano la
propria vita a cercare di guarire coloro che hanno avuto incontri ravvicinati
con le creature. I dieci volumi autoconclusivi del manga seguono i vagabondaggi
di Ginko, mushishi dall'aspetto peculiare con la capacità di attrarre i mushi a
sé.
Un po' per i suoi capitoli
autoconclusivi, un po' per le particolarità del soggetto trattato, non si può
molto parlare dell'impostazione della trama, perché è piuttosto labile. A ben
guardare, comunque, si può vedere un modello quasi giallistico: Ginko è
l'investigatore che deve scoprire l'assassino, il mushi. Il metodo di indagine
è il classico interrogatorio ai testimoni, ed in questo caso anche alla vittima
con annesso flashback sulla ricostruzione dei fatti. Da lì la risoluzione del
caso, che a seconda delle storie è positiva o negativa. Altro villaggio, altro
giro...
Se questa fosse una serie basata
sulla trama, un tale metodo ripetuto così tante volte – quasi sempre –
porterebbe presto alla noia il lettore, probabilmente. Per fortuna, invece, non
è così, quindi la ripetitività non è un difetto grave. Se leggere un manga
equivale ad affrontare un viaggio, questo è un vagabondaggio in cui non conta
la meta (non c'è) ma soltanto godersi il panorama. Ed in fondo anche la storia
di Ginko è così, perché non ha un posto a cui ritornare.
Senza contare che anche se
l'impianto è simile ogni storia rimane comunque a sé stante. Il motivo sono i
mushi presenti, tutti diversi fra loro. Abbiamo i “parassiti”, quelli che
mangiano qualcosa appartenente all'essere umano – come l'udito, o la memoria –
e quelli che posseggono l'ospite, a volte persino entrandone in simbiosi. Non
solo: pur essendo creature inesistenti dal punto di vista scientifico, durante
la lettura quasi si tende a dimenticarlo, tanto sono accurate le spiegazioni di
Ginko sullo strano mondo di queste creature. La loro biologia fa molto
riferimento a quella dei batteri, ma ciò non rende noiosa la narrazione: è anzi
più apprezzabile, perché fa conoscere anche al lettore le informazioni di cui
ha bisogno. Non si ha nemmeno l'impressione di leggere gli inforigurgiti,
perché i personaggi della storia sono allo stesso livello del lettore: se il
mushishi gli spiega le cose, è come se lo facesse anche a noi.
Le varie storie sono piuttosto
diverse fra loro, ma hanno in comune l'atmosfera, piuttosto onirica ed eterea.
Le storie si svolgono perlopiù all'aperto: vengono presentati ambienti diversi,
ma i più frequenti sono la foresta – soprattutto di notte – e la montagna,
quest'ultima presentata in chiave quasi sovrannaturale. Altrimenti prevale una
stanza buia, in cui gli occhi si abituano all'oscurità e quindi consentono di
vedere tutte le cose più misteriose, spaventose o meno. Il ritmo di narrazione
è lento; i dialoghi sono presenti, ma non disturbano l'atmosfera sognante.
Per quanto riguarda i personaggi,
Yuki Urushibara poteva scegliere tra diverse opzioni, nel costruire la storia.
La prima: enfatizzare Ginko, usando gli altri personaggi come mezzo di
approfondimento psicologico. La seconda: l'esatto contrario. Ginko è soltanto
un tramite tra noi e le varie comparse.
Ne ha utilizzata una terza: sotto
un certo punto di vista, una via di mezzo tra le due. Ma non del tutto, perché
i veri protagonisti della storia sono i mushi. Sono il motore della storia: le
loro azioni modificano la vita di chi gli sta intorno, e spinge il mushishi di
turno a dedicargli tutta la vita in cerca di una soluzione per riparare ai loro
danni, se possibile senza farli morire. Ovviamente non gli si possono riferire
dei pregi o difetti come dei comuni personaggi, quindi il termine introspezione
psicologica è un po' esagerato, ma è il loro non avere pensieri – o meglio, non
esprimerli in maniera comprensibile agli umani – che li rende realistici. Che
noi sappiamo non hanno una morale, e non si rendono conto del male che causano
agli altri: tutto quello che vogliono è vivere e nutrirsi, le implicazioni
morali sono solo un impiccio.
Per quanto riguarda Ginko si
potrebbe rimanere delusi da lui, perché non è proprio quello che si chiama
personaggio tridimensionale. Nel corso della storia impariamo a conoscerlo:
capiamo che nonostante il suo essere solitario ha un grande cuore e che
desidera aiutare gli altri, è di mente aperta rispetto agli altri mushishi, non
tratta i “pazienti” come cavie ma anzi cerca prima di tutto di risolvere i loro
problemi personali, non solo legati al parassita.
Tuttavia, rimane sempre piuttosto
sfuggente e misterioso: quando parla lo fa soltanto per esprimere giudizi
legati alla sua attività. Se le “vittime della settimana”, come vedremo tra
poco, sono subordinate ai mushi, per lui il discorso vale sia per le creature
sia per i personaggi. E' un tramite tra noi e loro: se non ci fosse, non
verremmo a conoscenza delle loro storie, e anche il manga ne avrebbe pesanti
conseguenze: sarebbe più disorganizzato, e di conseguenza pesante da leggere.
E' più uno strumento che un vero componente del cast.
Parlando delle vittime, molto
dipende dalla loro storia: alcune sono più coinvolgenti di altre, quindi anche
loro fanno una diversa impressione. A lungo andare possono tendere a
somigliarsi, perché volente o nolente sono tutte persone ordinarie: gente che
prima di venire a contatto con il mushi viveva normalmente, spesso con una
famiglia. Ed invece all'improvviso, senza aver fatto nulla per meritarselo, la
loro vita pacifica viene sconvolta così.
In generale si dividono in due
categorie, a seconda di come reagiscono agli effetti dei parassiti. Ci sono
quelli, la maggior parte, che desiderano in tutti i modi liberarsi di loro: non
sono rari coloro che vengono menomati in vario grado dai mushi – ad alcuni
cominciano a crescere sulla loro pelle foglie e fiori, e si trovano anche in
pericolo di vita o comunque in difficoltà. Una delle prime storie verte proprio
su questo: in un villaggio di montagna è pericoloso avere problemi di udito,
perché in caso di tormenta è più facile perdersi. Naturalmente, il parassita di
turno mangia i suoi...
Altri cercano di sfruttarne gli
effetti positivi, ammesso che ci siano. L'uomo con i sogni profetici cerca di
usarli per salvare le persone a cui tiene; un produttore di saké cerca in tutti
i modi quello contaminato dal mushi per il suo gusto particolarissimo, ecc. In
genere i fatti gli dimostrano che non è una scelta saggia, ma più dei consigli
di Ginko ne fa il decorso della loro malattia.
In una terza categoria... le
vittime sono totalmente incoscienti. Il riflettore si sposta così da loro ai
loro amici e parenti, e non sono rari colpi di scena. C'è sempre un mushi di
mezzo, ma tensioni sopite e climi poco sereni non aiutano...soprattutto in
questo caso è evidente l'impostazione giallistica della serie.
Il comparto tecnico è
altalenante. Bellissimi gli sfondi, e pregevole l'uso dei colori; gli ambienti
sono ricostruiti con grande cura, così come le atmosfere. I personaggi, però,
hanno una fisionomia tutta uguale, a volte anche nelle stesse storie. Come dice
il sito internet “TV Tropes” - la sua missione: cercare e classificare gli
stereotipi della fiction – la Yuki Urushibara disegna “solo sei facce”. Uno dei
nei più rilevanti per una serie difficile da definire, ma di sicuro pregio.
...E con questo è tutto, cari
amici. Arrivederci alla prossima settimana, con “Il tempio degli Otaku”!
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