giovedì 17 maggio 2012

I libri più visti al cinema: cronostoria e intedipendenze tra letteratura e cinematografia. Dalle orgini agli anni '60

A cura di Lizy

Il gobbo di Notre Dame, 1923
Mai come quest’anno, gli Academy Awards hanno dimostrato che la letteratura può ancora rappresentare un soggetto appropriato per una trasposizione cinematografica, con cinque pellicole tratte da romanzi sulle nove candidate all’ambita statuetta per il miglior film, segno che l’intesa tra cinema e produzione letteraria è vissuta dal patinato mondo di Hollywood come una garanzia di successo. Se le nuove generazioni pensano che questa sia un’inclinazione recente della cinematografia, saranno sorpresi di scoprire che si tratta di una scelta affrontata da numerosi registi, nel corso della storia, a partire da prima dell’invenzione del cinema sonoro: è del 1908 una primissima produzione di “Oliver Twist”, tratta dal romanzo di Charles Dickens ( trasposto anche in una versione francese del 1910 ed altre due statunitensi del 1912 e 1916); del 1923 è invece una delle prime versioni de “Il gobbo di Notre Dame”, tratto da “Notre Dame de Paris” di Victor Hugo, e del 1925 la prima versione de “Il fantasma dell’opera”, dall’omonimo romanzo di Gaston Leroux.
La famosissima scena del bacio di Via col vento
E quando ai fotogrammi si accompagnò il sonoro, il cinema si affidò nuovamente alla letteratura, dalla quale raccolse storie complesse i cui fotogrammi avrebbero rappresentato i più famosi contributi della storia del cinema: ricordo con piacere una versione di “Cime tempestose” di Emily Brönte del 1939, “La voce nella tempesta”, pienamente fedele al romanzo (e, ad oggi, la migliore resa visiva di uno dei più affascinanti romanzi inglesi). Sempre datata 1939 la splendida trasposizione del romanzo “Via col vento” di Margaret Mitchell, seppure con diverse differenze date più che altro dalla necessità di non dilungarsi troppo nella descrizione della vita di personaggi secondari, essendo il film  uno di più lunga durata dell’epoca (224 minuti), che non gli impedirono di conquistare l’ambita statuetta degli Oscar. L’anno successivo, invece, uscì nelle sale la primissima pellicola di “Orgoglio e Pregiudizio”, con la splendida di Greer Garson (sette volte premio Oscar) nei panni di Elizabeth Bennet e di Laurence Oliver ( che aveva interpretato anche Heathcliff in “La voce nella tempesta”) come Darcy. Il film ebbe molto successo, ma risulta semplificativo nella trama e più volto ad intrattenere che attenersi fedelmente al libro di Jane Austen. Sono del 1941 e 1943 due importanti produzioni italiane: “I promessi sposi” di Mario Camerini e “Storia di una capinera” di Gennaro Righelli, che ebbe il plauso della critica:
« Con questo commovente romanzo Verga si acquistò la prima rinomanza. Il film è onesto e chiaro, si mantiene appoggiato al testo, ne segue le linee. La regia di Righelli appare dunque viva per intelligenza e buon gusto, malgrado certe sequenze più lunghe del necessario, interpretazione accurata » (Fabrizio Sarazani nelle pagine de “Il Tempo” del 11 marzo 1945).
Colazione da Tiffany, con Audrey Hepburn
Nasce però la tendenza, imposta dalla censura di quegli anni e dai tempi scenici, di rivedere la stesura dei copioni e renderli non del tutto conformi al testo originale: è il caso, ad esempio, di “Colazione da Tiffany”, un film che deve il suo successo alla splendida interpretazione di Audrey Hepburn, ma che non ricevette una buona critica dall’autore del testo originale, Truman Capote, che vide il suo capolavoro stravolto nel finale e privato in buona parte delle ambiguità della sua protagonista in favore di una trasposizione ben più lusinghiera del suo personaggio.
Ma, come accadde e accade ancora oggi, di questi anni sono ben più famose le versioni filmiche che le versioni letterarie originali: è il caso de “La finestra sul cortile (Rear Window)” di Alfred Hitchcock, considerato uno dei pilastri della storia del cinema, che pochi sanno essere tratto dall’omonimo romanzo giallo di Cornell Woolrich.
Anche il cinema italiano, con Zeffirelli, si fece valere nel campo delle trasposizioni filmiche: nella fattispecie, il suo “Romeo & Giulietta”, rimane ad oggi la versione più fedele alla tragedia di Shakespeare (riproposta in chiave moderna nel 1996 da Baz Luhrmann), così come la successiva versione del capolavoro di Charlotte Brönte “Jane Eyre” del 1996 (che rimane più conforme al testo rispetto all’omonimo film del 2011 di Fukunaga).
Il Romeo e Giulietta di Zeffirelli
Intorno agli anni ’50 un terzo della popolazione italiana era analfabeta e si trovava in condizione di minorità sociale, mentre i libri o semplicemente l’uso della lingua italiana rappresentavano ancora strumenti elitari dei pochi fortunati che riuscivano a perpetuare gli studi fino ad ottenere il diploma.
In questa situazione di grande eterogeneità lessicale, nella quale la lingua unica era sobbarcata dalla presenza di idiomi più caratteristici e sicuramente più facilmente accessibili dal “vulgo”, un ruolo fondamentale ebbe l’arrivo della televisione nei salotti casalinghi. Una televisione ben diversa da quella che conosciamo oggi, nella quale generalmente abbiamo una vasta gamma di programmi e canali dove solo una piccola percentuale risulta davvero interessante e formativa. In quell’epoca di forte ripresa economica c’era la volontà di avvicinare la cultura alla gente, bussando porta per porta, raccontando storie sempre nuove a chi non poteva permettersi il cinema e doveva invitarsi dalla vicina per bearsi della visione di quello schermo magico su un mondo irreale, eppure vicino alla quotidianità.
La televisione divenne non solo intrattenimento, ma anche catalizzatore di elementi istruttivi, capace di regalare agli spettatori vicende prese in prestito dal teatro o raccontate dai libri. Nasce così la prima forma di trasposizione visuale della letteratura: il teleromanzo.
I nostri genitori ricordano ancora le sere in trepidante attesa di un nuovo episodio de “La freccia nera” o de “L’isola del tesoro”, o ancora “David Copperfield” e “I promessi sposi”, le cui produzioni venivano curate nei minimi dettagli per rendere l’opera il più possibile fedele al testo scritto. L’idea di sceneggiati che facessero rivivere i personaggi della letteratura più famosi tra il pubblico era già stata sfruttata dalla BBC, network inglese, che aveva scosso l’opinione pubblica, generando anche una seduta parlamentare straordinaria per la “sovversiva” natura dell’opera “1984”, dall’omonimo romanzo di George Orwell, la cui messa in onda della seconda puntata venne concessa solo dopo il benestare della Regina Elisabetta e del Principe Filippo, che dichiararono di aver gradito la trasposizione.
Sulla stessa scia, al cinema sbancarono il botteghino pellicole ispirate a romanzi distopico-fantascientifico, come ad esempio “Nel duemila non sorge il sole” (1956) e “Fahrenheit 451” (1966) del regista François Truffaut, basato sull’omonimo romanzo di Ray Bradbury che celebra l’importanza della letteratura per la formazione della soggettività di ogni individuo e della memoria come uno strumento di libertà (“Noi ricordiamo. Ecco dove alla lunga avremo vinto noi”), laddove i mezzi di comunicazione rappresentano l’omologazione che fa dell’uomo uno schiavo della società.
E con questo spunto, sperando che possiate avvicinarvi al cinema più vecchiotto, riscoprendo in esso delle vere perle tratte dai vostri libi preferiti, vi rimando alla prossima puntata.

6 commenti:

  1. Bell'articolo, molto interessante :)

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  2. Concordo, è un articolo davvero fatto bene :)

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  3. Bel post. Mi piace molto vedere i film tratti da libri.

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  4. Sono contenta che l'articolo vi sia piaciuto, spero possiate apprezzare anche il seguito ;)

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  5. Molto bello e poi Via col vento è mia passione :)

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  6. Davvero un bell'articolo.
    Aspetto il seguito con molto interesse =)

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