Il Re Nero del Natale
Di Daniele Nicastro
III parte
Poche ore dopo camminavo scalzo sulla moquette della
camera da letto di mamma. Avevo una gran paura di essere scoperto. Al tempo
stesso ero elettrizzato. Mi sembrava di essere l'eroe di una missione
impossibile.
Camminai con tale lentezza che a un certo punto ebbi il
timore di venire sorpreso dall'alba mentre ancora cercavo la chiave. Ogni
scricchiolio mi faceva battere forte il cuore.
Finalmente trovai sulla poltrona il grembiule, ma le
tasche erano vuote! Non mi diedi per vinto. In ogni missione impossibile che si
rispetti c'è qualche contrattempo.
Guardai intorno. Il resto della stanza era pulito e
ordinato. Nessun indizio.
Poi vidi un pezzo di collana pendere dal portagioie
della mamma. Bingo! Doveva averlo aperto per mettere la chiave al sicuro. Di
certo non immaginava quel che stava accadendo nella sua stanza mentre dormiva.
Meglio così.
Sollevai con delicatezza il coperchio del portagioie
d'argento e trovai subito la chiave. Feci attenzione a non farla aggrovigliare
con altri ninnoli e richiusi tutto. Pochi minuti dopo scivolavo sul corrimano
fino al salotto. L'idea mi era venuta per evitare lo scricchiolio dei gradini
di legno, non avevo pensato all'eventualità di cadere sul pavimento.
Fortunatamente la discesa terminò sul pomolo intarsiato del corrimano. Fu
parecchio doloroso.
Raggiunta la credenza, ebbi un attimo di esitazione.
Potevo ancora rimettere tutto a posto e aspettare che la mamma dimenticasse
l'accaduto. Sarebbero bastati un paio di giorni. Ma non potevo aspettare così
tanto, dovevo sbirciare il libretto e sapere qualcosa di più su quella storia.
Così girai la chiave e trovai la refurtiva al suo posto.
Mi inginocchiai davanti al caminetto. Il divano sarebbe stato più comodo, ma
era troppo lontano e accendere la luce era fuori discussione.
Il crepitio del fuoco mi ricordò il secondo motivo per
cui mi ero alzato in piena notte. Dovevo attaccare il mio desiderio a uno dei
rametti.
Ci avevo pensato a lungo, tanto non avevo niente da
fare. Fingere di dormire non è affatto facile. Il buio dietro gli occhi chiusi
è terribilmente noioso. Alla fine il tempo era passato e avevo scelto il mio
desiderio. Il respiro stridulo della mamma era stato il segnale per uscire
dalle coperte e dare inizio al mio piano.
Legai il biglietto al ciocco con un nastrino blu. Rimasi
a guardarlo mentre le fiamme lo avvolgevano e si avvizziva. Desiderio andato.
Veloce come la posta elettronica. Tornai al libretto segreto della mamma.
Sfogliai le prime pagine con una certa ansia. Sembrava
una specie di diario. C'erano calligrafie diverse e inchiostri colorati che
riportavano date molto vecchie. Alcune pagine erano state strappate e poi
incollate su altre. I disegni erano bellissimi. A china o matita, ritraevano
fiori e ritratti di persone che non conoscevo. C'erano anche molte storie
illustrate. Scorrendole trovai quella che aveva iniziato a leggere la mamma.
Decisi di scoprire subito il finale e lasciare le altre indagini a dopo.
Le ginocchia cominciavano a fare male. Cambiai
posizione, mettendomi seduto a gambe incrociate. Il tepore del fuoco era
rassicurante.
Mi presi tutto il tempo di leggere con calma.
"Fu con le ultime fiammelle rimaste al mondo che
una manciata di streghe riuscì a sottometterlo. Il Re Nero era stato accanto
alla Dea Madre per tutti i giorni delle doglie. Aveva pianto e imprecato,
chiesto scusa e minacciato. Mentre le stringeva la mano, le streghe
circondarono la radura e accesero una candela per ogni calderone. Erano vestite
di fiori e piante, tutti i simboli del passaggio e della rinascita.
Il Re Nero si alzò furioso quando cominciarono a
pronunciare l'incantesimo, ma la mano della Madre lo trattenne. Quella pallida
resistenza, il volto sudato e lo sguardo esausto dell'amata, gli fecero capire
ogni cosa.
Avrebbe potuto divincolarsi in qualsiasi momento. Invece
rimase fermo aspettando la meritata punizione. Doveva farlo per il bene di ogni
creatura. C'era oscurità ovunque guardasse.
Per la prima volta si accorse che il mondo era giunto al
suo ultimo respiro.
Le streghe terminarono l'incantesimo e saltarono i
calderoni insieme. Le fiamme tremolarono rischiando di spegnersi, ma il forte
vento che si abbatté sulla casa dissipò solo le tenebre. A cominciare dal Re
Nero.
La sua oscurità svanì con un soffio d'aria.
L'incantesimo durò tutto il tempo necessario a guarire
il mondo. L'equilibrio fu ristabilito e nacque una nuova alba. Poi le streghe
tornarono nei boschi e implorarono il perdono della Madre.
Lei non si lamentò. Era stato necessario.
Non sarebbe mai più successo nulla di simile, perché al
Re Nero fu imposto un pesante tributo. Anno dopo anno, per potersi avvicinare
al letto della Madre e stringerle la mano durante le doglie, avrebbe dovuto
prima esaudire i desideri di ogni creatura appesi alle querce. Tutti avrebbero
avuto il dovere di desiderare la rinascita e il Re Nero la responsabilità di
permetterla.
Non si arrabbiò, aveva imparato la lezione. Gli bastò
l'amore della Madre e il vagito del bambino. Non gli serviva una famiglia
perfetta. In verità, aveva già tutto quello che poteva desiderare".
Era una strana storia. In qualche modo parlava veramente
di me e della mia famiglia, anche se non riuscivo ad assegnare un personaggio a
ciascuno. Avrei voluto dire alla mamma che non era stata una cattiva idea, mi
era piaciuta tantissimo.
C'era sicuramente qualcosa che potevo imparare. Ero così
vicino a capirlo che mi sembrava di sentire bussare alla testa. Invece era
qualcosa alla porta, perché bussò di nuovo.
Mi accovacciai subito sul pavimento e strisciai fino
alla finestra per non farmi vedere, ma non c'era niente dietro la porta. Così
mi alzai e guardai meglio. Un corvo sbatté le ali improvvisamente e volò via.
Mi prese un colpo!
C'erano delle briciole per terra, doveva essere stata la
mamma dopo cena. Probabilmente aveva sbattuto la tovaglia sul pianerottolo e il
corvo stava beccando, prima che lo spaventassi. Be', era stato reciproco.
Accesi una candela usando il fuoco del caminetto e andai
fuori per spazzare le briciole ed evitare altre sorprese.
Mentre rabbrividivo per il freddo, mi venne un'altra
fantastica idea.
Posai sul pianerottolo la candela e feci un passo
indietro, studiando meglio la situazione. Potevo fare meglio.
La serie di piccoli vasetti anneriti dallo sporco
accanto alla porta sarebbe servita al mio scopo. Ne rovesciai uno. Lasciai
gocciolare un po' di cera sul fondo e appoggiai la candela perfettamente al
centro. Ora sì che sembrava un calderone da strega, come quelli della storia.
Per completare l'opera saltai il vasetto e rientrai in
casa. Mi mancò il fiato nel vedere un'ombra uscire dalla cucina e fermarsi
accanto al divano.
Questa volta non era un uccello.
Rimasi immobile sull'uscio, indeciso se entrare o
mettermi a urlare alla mamma dal giardino. Così avrebbero sentito anche i
vicini.
Scelsi di aspettare ancora un minuto, il tempo di
guardare meglio il ladro e decidere quanto fosse pericoloso. Doveva essere un
ladro, chi altri si intrufolerebbe in casa nel pieno della notte?
Sfruttai il riparo della porta per spiare lo
sconosciuto.
Era alto e magro. Portava una giacca di pelle scura che
arrivava alle ginocchia e aveva il colletto alzato a riparare il collo e una
chioma arruffata sulla testa, un po' come la mia. Si muoveva con calma
attraversando il salotto, guardandosi intorno. Prese diversi oggetti in mano
per guardarli più da vicino. Soprattutto le foto nelle cornici d'argento.
Mi sembrò strano che non avesse un sacco o uno zaino in
cui mettere la refurtiva. Forse pensava di rubare anche quello.
Poi fece qualcosa di strano. Almeno, a me sembrò strano,
perché non mi intendo di furfanti, anche se quella notte mi ero improvvisato
ladro prima di lui. Si fermò davanti al tavolino su cui la mamma aveva messo i
dolci della festa e ne prese uno. Prese anche una delle mele insaporite con i
chiodi di garofano. Ne facevamo un vassoio tutti gli anni, io e la mamma.
Approfittai del momento favorevole per strisciare
silenziosamente dentro casa. L'intenzione era di camminare radente il muro fino
in cucina e poi prendere una padella o qualcos'altro come arma di difesa. Il
ladro non sembrava molto pericoloso. Avrei anche urlato a squarciagola, ma
prima avevo bisogno di un'arma.
Feci di tutto per confondermi con la tappezzeria, anche
immaginare di essere un camaleonte. Non fu facile fare piano con le ciabatte
che strisciavano sul pavimento.
Infatti mi beccò a metà stanza. Si girò di scatto
lasciandomi impietrito. Mancavano pochi passi, bastava che cominciassi a
correre.
«Aspetta» disse a voce bassa. «Non aver paura. Sono io che non dovrei essere qui».
Su questo ero d'accordo, per vari motivi. Primo, stava
rovinando il mio piano. La mamma mi avrebbe scoperto. Secondo, stavo
strisciando come un ladro in casa mia, ma era lui il ladro! Era tutto
sbagliato. Lo ascoltai lo stesso, pronto a scattare appena avesse fatto un solo
passo nella mia direzione.
«Io... stavo solo mangiando un biscotto» riprese. «E un pezzo di mela».
Addentò la mela senza togliere i chiodi di garofano. Lo
sanno tutti che si devono togliere, forse era agitato quanto me. Molto strano.
Impiegò il minuto successivo a liberare la lingua dai
chiodini e sputarli sul palmo della mano. Poi aprì la bocca come se stesse
sbadigliando, ma era per stirare la mascella. Quei cosi fanno male, ci sono
passato anche io.
«Scusa, avevo dimenticato di toglierli. Maledizione».
Sembrava in imbarazzo. Per questo rimasi fermo anche se
era il momento ideale per una fuga. Non era un ladro come quelli che fanno
vedere in Tv. Avrei voluto vedere che faccia aveva. Purtroppo era fermo in una
zona d'ombra.
«Ti starai chiedendo cosa ci faccio in casa tua. Fai
bene. Anzi, dovresti metterti ad urlare o scappare via. No no no...» si affrettò ad aggiungere
appena mi vide aprire la bocca. «Non sono un ladro e non ti farò alcun male. Sono solo uno
stupido, ma questo forse lo hai già capito. Ora me ne andrò e tutto tornerà
come prima. Vedi? Non ho preso nulla».
Lo sconosciuto alzò le braccia. Non aveva davvero
niente, neanche un marsupio. Risposi con un cenno del capo, scivolando di un
altro passo verso la cucina. Per sicurezza.
«Non immaginavo di essere sorpreso da qualcuno. Sono
stato fortunato. Ti prego, rispondi solo a una domanda e poi andrò via».
Stavo ancora cercando di capire cosa rendesse fortunato
un ladro che è stato sorpreso a rubare, quando fece la domanda.
«Qual è il tuo nome?» disse con un filo di voce.
Perché lo voleva sapere? Sarebbe tornato a cercarmi se
avessi raccontato di averlo visto? Eppure sembrava avere più paura di me.
«Ti prego, dimmi: sei Oliver? È questo il tuo nome, vero?» insisté.
Il fatto che mi conoscesse rese quella situazione ancora
più strana e spaventosa. Sì, io ero Oliver ed ero al posto giusto, be' più o
meno, ma lui chi era? Cosa voleva?
Mancavano solo due passi alla cucina. Così risposi,
nella speranza di tenerlo occupato ancora un po', ma solo con la testa. Non
avevo intenzione di parlargli. Lui abbassò le braccia in segno di resa.
«È stato bello conoscerti Oliver» rispose, tirando su col
naso.
Scelsi quel momento per scattare in cucina. Afferrai il
matterello appeso al muro e guardai indietro, nel caso mi stesse inseguendo.
Invece andava nella direzione opposta. Imbucò la porta che avevo lasciato
aperta e fuggì in strada, saltando la candela.
Non so dire quanto tempo rimasi fermo con il matterello
in mano. Cosa dovevo pensare di quello che era successo? E cosa avrei dovuto
fare alla fine? Chiamare mamma o mettere tutto a posto e fare finta di niente?
Di una cosa ero certo: quell'uomo non era un vero ladro. I ladri non piangono e
non si vestono così.
Forse era stupido pensarlo (e di cose stupide ne avevo
fatte a bizzeffe quel giorno), ma quello sconosciuto mi ricordò il Re Nero. Era
persino scomparso nel buio saltando la fiammella. Mentre cercavo di dare un
senso a tutte queste cose, si accese la luce delle scale.
«Oliver, sei tu? Cosa succede?» urlò mia madre preoccupata.
Quel che accadde dopo, preferisco non raccontarlo. Ci
sono periodi tenebrosi nella vita di un bambino che non andrebbero mai
scoperti. Posso solo dire che i giorni seguenti non furono fra i migliori. Però
le tremende punizioni ricevute dalla mamma mi diedero il tempo di pensare.
Ancora adesso mi piace considerarla una notte di Yule in ritardo.
Forse quello sconosciuto aveva pensato solo a se stesso,
per una volta. Come il Re Nero. La mamma non aveva sporto denuncia, non aveva
nemmeno chiamato la polizia. Magari non era un completo sconosciuto. Me lo
chiedo ancora e ogni volta rido, perché se lui fosse il Re Nero, allora io
dovrei essere il Sole Bambino. Non mi ci vedo. Combino troppi guai per essere
un Salvatore.
A volte ripenso a quella favola e a tutte le altre. Non
è vero che si diventa adulti quando si smette di crederci. Credo che le favole
siano state scritte proprio dagli adulti per raccontare cose che non avevano il
coraggio di dire. Non solo per i bambini, ma anche per mamme, papà e amici. Per
tutte quelle persone che ci amano, ma con le quali litighiamo e facciamo cose
stupide ed egoiste.
Non sono i regali e tutte quelle sciocche tradizioni. È
questo il vero senso del Natale.
Il Natale del Re Nero.