Come da calendario, arrivano i nostri Christmas Tales per lo speciale tutto dedicato al Natale di Dusty pages in Wonderland! Dopo aver apprezzato Mariachiara Cabrini arrivano tre autori e i loro racconti molto brevi, motivo per cui ho deciso di raggrupparli in un unico post. Sono molto diversi tra loro: Massimo Cortese, che abbiamo diverse volte conosciuto sul blog si dedica, come suo solito, ai problemi sociali, questa volta con una piccola finzione letteraria che mette a nudo il problema dei bambini strappati al terzo anno di età alle madri incarcerate. Marco Mazzanti, autore de L'uomo che dipingeva con i coltelli, La nave del destino-Asia e Demetrio dai capelli verdi, ci ha donato il suggestivo racconto Il plin plin di Parigi, scritto per un recital tenuto a Roma lo scorso 11 novembre. Infine, Un'altra leggenda di Natale è il terzo e ultimo racconto, sottilmente polemico, scritto da Carlo A. Martigli, autore di 999 L'ultimo custode, che invita alla riflessione e al vero messaggio che dovrebbe stare dietro le feste natalizie...
Con gli occhi di un bambino
di Massimo Cortese
Poco importa se il bambino viene trattato come un pacco postale, la legge è legge, non si discute.
Vorrei fare una piccola osservazione: ho letto che un’età molto importante per la formazione dell’individuo è quella che va dalla nascita ai tre anni. Se le cose dovessero stare in questo modo, credo che dobbiamo pensare al futuro di quei bambini che hanno la ventura di passare buona parte dei primi tre anni di vita in una prigione.
Perdonateci se la lettera è breve, ma è stata scritta con la semplicità e l’ingenuità che solo i bambini possono avere.
ECCO IL TESTO.
A BABBO NATALE
POLO NORD
Quando avevo undici mesi sono stato portato con mia madre in un grande nido, con altre mamme e tredici bambini come me. Probabilmente deve essersi trattato di un premio, perché ho abbandonato quell’esistenza non proprio comoda che conducevo prima, quando stavo per ore intere in braccio alla mamma, che con la mano tesa raccoglieva delle monetine. Il grande nido aveva delle sbarre, vi erano due grandi stanzoni ed anche i giochi per tutti noi. Tutti erano gentili con me, e la mamma mi ha detto che stavamo nel castello delle favole, che si chiudeva alle sei di sera per proteggerci dalla strega cattiva. Appena siamo entrati ci ha visitato il dottore per verificare che godessimo buona salute, e questa visita era frequente, tanto che io alzavo le mani di scatto e allargavo le gambe, anche per non farmelo ripetere.
Però, con l’andare del tempo, quel che mi mancava era la libertà di muovermi e di andare in giro come accadeva prima che entrassi nel castello. Un bambino mi ha detto una volta che noi stavamo lì in un reality, tanto che non mancava la gente che urlava e ogni tanto vi erano anche delle epidemie ed altre cose strane che non ho ben compreso. Mi sono allora adattato al tram tram del posto ed al linguaggio che si parlava: l’agente, l’avvocato, il colloquio, l’ora d’aria, tutto quanto insomma.
Poi, quando ho compiuto il terzo anno di età, mentre fantasticavo alla festa che avrei avuto nel castello, mi hanno portato via dalla mamma: ma che colpa avevo io, forse è per via della pipì che avrò fatto addosso un paio di volte ? Ci hanno separati, così all’improvviso, e quando poi andavo col papà a rivedere la mamma nel castello, provavo fastidio nel farmi perquisire.
Al momento della separazione ho pensato che diventavo un carcerato perché non avevo più la dolcissima presenza di mia madre, che per me era tutto.
Caro Babbo Natale, ti chiedo di farmi il regalo più bello: ridammi la mia mamma per sempre.
Senza di lei sono molto triste.
Ti auguro Buon Natale
Il plin plin di Parigi
di Marco Mazzanti
Vado – senza meta – seduto agli ultimi posti di questo autobus vecchio modello. Domanda o affermazione? Vado – dove? – seduto agli ultimi posti di questo autobus vecchio modello? Senza meta, insieme ad altri, seduti anch’essi, in questo autobus vecchio modello – di quelli arancioni, te li ricordi? – carico di esistenze rannicchiate e distratte.
Vado. Andiamo. Dove? Si guarda fuori, attraverso il mutevole intreccio delle gocce di pioggia che sui vetri si stirano, divengono fronde d’alberi d’acqua, sullo sfondo d’una città e delle sue notti bianche.
Squilla il cellulare giallo canarino, trema nella mia mano, a lungo, finché non è come se perdesse vita. Un ultimo spasimo, pochi minuti dopo, un attimo di fosforescenza blu sul display... un sms che non leggo, che archivio e che dimenticherò. Lo leggerà qualcun altro, perché ho intenzione di dimenticarmelo, questo telefonino giallo canarino. Scenderò da quest’autobus vecchio modello – di quelli arancioni, te li ricordi? – senza curami di nulla e di nessuno; camminerò sotto la pizza del mio ombrello, seguendo tracce invisibili, impronte labili, come di dita, sullo specchio torbido delle pozzanghere.
Non c’è nulla, non c’è nessuno. Niente che mi abbia trattenuto fra le quattro mura di casa – in una stanza rischiarata appena da una lampada da buttare, che scolora le superfici e trasforma me medesimo in una insulsa mollica di penombra – niente che mi abbia trattenuto realmente, quando invece fuori c’è il trionfo delle feste di Natale, la corsa dei ritardatari agli ultimi regali, la corrida nei centri commerciali più schizzati, le radio accese e le loro canzonette, tra chi sorride e chi si improvvisa star ballando sotto le stelle, nell’illusione di un quarto d’ora di successo, perché io valgo!
Il canarino giallo telefonino è ancora nella tasca del giaccone – quello da due soldi comprato al mercatino, te lo ricordi? –, mi sono dimenticato di dimenticarmelo in autobus – sempre lo stesso di prima, di quelli vecchio modello, tipo mandarino senza semi, così dolce e clementino! – recitando la parte dell’indifferente, del cinico che vive fuori dal mondo, timido e assorto nel plin plin di Parigi. Ma per favore!
Sul display il nome di uno, il nome di tutti. Mai il tuo. Lo vorrei davvero, il tuo nome, sul display blu del mio telefonino giallo mandarino morbido come un canarino. Cosa darei per un tuo sms. Mi basterebbero due parole. Dove sei? E io ti risponderei chiamandoti. Ti direi – sono qui, sono qui! – ti direi che non aspettavo altro. E tu, dove sei? Cosa fai? Dove vai? Io sono qui. Io sono qui!
Nel plin plin di Roma, c’è un uomo solo che cammina, solo, credendo di trovarsi a Parigi. Tante chiamate perse. Tanti messaggi d’auguri. Tanti nomi, ma mai quello che vorrebbe leggere lui sul display del suo telefonino. Prova a chiamarlo quel nome, digita il numero, cui risponde una voce fredda, di robot frustrato.
Il numero selezionato è inesistente.
Un'altra leggenda di Natale
di Carlo A. Martigli
C’era una volta un bambino, che nacque in una grotta, il 25 Dicembre, così riportano le cronache.
Alcuni re sacerdoti, ovvero magi, in quanto il significato è lo stesso, avvisati da una cometa, si misero in viaggio per andare a omaggiarlo, in quanto quel bambino era nato sotto auspici particolarmente favorevoli, ed era destinato a compiere dei grandi prodigi a favore dell’intera umanità.
Quando il fanciullo crebbe ed entrò nell’età adulta, i suoi discorsi sapienti fecero sì che molta gente venisse ad ascoltarlo, e dodici discepoli iniziarono a seguirlo ovunque andasse.
Egli rinnovò la tradizione religiosa del suo paese e quando sentì che il suo tempo era giunto, riunì i suoi discepoli e in una cena mostrò loro un rito che essi avrebbero dovuto perpetuare nei secoli. Prese il pane, lo spezzò e lo dette loro, dicendo che quella era la sua carne. Poi versò il vino e disse a tutti di berlo, perché quello era il suo sangue.
Dopo di che sparì misteriosamente, ma il ricordo delle sue gesta si propagò in tutto il mondo conosciuto e così per oltre quindici secoli.
Nel quarto secolo dell’epoca moderna, quando il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’impero romano, tutti i templi eretti in suo nome vennero rasi al suolo e sulle fondamenta fu sparso il sale, perché fosse chiaro a tutti che mai nessuno avrebbe potuto osare di ricostruirli.
Tutti i libri che narravano delle sue gesta furono dati alle fiamme e in capo a due o tre generazioni nessuno si ricordò più di quella figura divina, il cui nome, Mitra, significava, nell’antica lingua indo-iranica, patto o alleanza. Alleanza con un Dio che combatteva il male e le tenebre, proteggeva le anime degli uomini e quando morivano, le accompagnava nel paradiso.
Figlio di Anahita, la grande dea madre creatrice dell’universo, Mitra venne quindi al mondo circa tremila cinquecento anni fa, e solo recentemente, nel mondo occidentale, si è ricominciato a parlare di lui, scostando il nero velo che lo aveva condannato all’oblio.
Un suo epigono ebreo, da tutti conosciuto come Gesù, che aveva probabilmente appreso del culto di Mitra nei suoi viaggi in oriente che compì dall’età di dodici anni fino ai trenta, riprese alcune dei suoi pensieri, così come fece con quelli di Buddha e di altre divinità
Tentò così di introdurre in occidente una parola meravigliosa di pace e di giustizia, di amore e di fratellanza. In molti ebbero paura delle sue parole e di quelle dei suoi maestri, e così trasformarono il suo messaggio in un monito continuo, fatto di sensi di colpa, di umiltà e di devozione nei confronti del potere, snaturando il suo messaggio di ribellione e il suo grido contro l’ingiustizia.
Così come avevano trasformato la leggenda di Mitra in quella di Cristo.
Ma ogni anno, in occasione del Natale, la fede negli ideali di libertà e il giusto desiderio di portare la giustizia in terra, che senza di essa non potrà aversi giustizia in cielo, ritorna nelle menti e nei cuori di chi crede e di chi ha fede nell’Uomo e nella sua umanità.
E anche di chi possiede il dono di credere in una vita oltre la morte, come il giusto premio di essersi comportato con correttezza e onestà verso i propri fratelli, non chinando la testa, ma attivandosi perché tutti abbiano ciò che meritano e siano sempre liberi di scegliere, senza obbedire ai potenti, ai signori delle guerre, ai portatori di morte e di ingiustizia, terrena e divina.
Questo è lo spirito del Natale che ci si augura scenda nella mente e nel cuore dei giusti e degli ingiusti, perché si ravvedano, proprio come dicevano Mitra e Gesù e tanti altri uomini, in qualunque giorno siano nati, non solo il 25 Dicembre come loro.
interessante questa iniziativa, mi piace.
RispondiEliminasaluti
Grazie Luigi! ^^
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