lunedì 19 dicembre 2011

Christmas tales: Il Natale del signor Horowitz di Alfonso La Licata (parte I)

Alfonso La Licata è una piccola scoperta che non ho ancora avuto modo di apprezzare pienamente se non attraverso la lettura del suo Christmas Tales, Il Natale del signor Horowitz, e dei primi tre capitoli del suo romanzo Woody...fuga nella realtà, con cui ha vinto il concorso "tramate con noi" indetto da Radio1 e che finirò e recensirò a breve. Autore dai molteplici talenti -è poeta, romanziere, ma ha anche scritto testi teatrali- ci ha regalato un racconto natalizio un po' triste ma che, sono sicura, vi darà modo di valutare positivamente le sue doti letterarie. Anticiparvi qualcosa della trama significherebbe rovinarvi il racconto, ergo vi lascio la prima parte prettamente introduttiva (l'ho diviso in due per una questione di lunghezza) promettendovi la seconda entro fine giornata.


Il Natale del signor Horowitz 

di Alfonso La Licata 

Parte I

Il signor Horowitz udì il debole segnale acustico emesso dal piccolo timer digitale posto sulla sua scrivania. 
Nello stesso momento sentì il clangore indisponente delle campane della vicina cattedrale dei tre Re: il popolo cristiano festeggiava l’ennesima nascita del suo salvatore. Sapeva bene che avrebbe dovuto, più correttamente, definirla “l’ennesima festa della nascita del salvatore”, ma non era mai riuscito a contenere il suo innato sarcasmo ebreo verso quell’altro ebreo chiamato Cristo. 
Il signor Samuel Alexandro Emanuele Horowitz, degli Horowitz di Gerico, richiuse lentamente la sua Mont Blanc Meisterstuck 145 F. Chopin e la ripose, con cura, nell’astuccio rigido di radica di tuya internamente rivestito in morbidissima pelle di cervo dalla coda bianca. Egli amava particolarmente quella penna stilografica, come del resto era legato a tutti gli oggetti che gli erano veramente utili, non perché percepisse in essi particolari sensazioni o emozioni, ma soltanto erano oggetti che rendevano bene il loro servizio. 
La sua Mont Blanc scriveva bene. Rilasciava un tratto morbido e uniforme d’inchiostro blu scuro, il suo preferito, con facilità e sicurezza. Egli provava un intimo compiacimento nello scrivere con quella penna. Ogni carattere che ne traeva era una piccola opera d’arte, bastava operare le opportune pressioni e traiettorie sul pennino d’oro per ottenere effetti ed intensità particolari perché riflettevano le sue personali sensazioni e i suoi stati d’animo. 
Il dottor Samuel Alexandro Emanuele Horowitz, quattro lauree in scienze economiche ed una in filosofia morale acquisite, abbastanza facilmente dopotutto, nelle migliori università europee, dirigeva il suo impero economico da quel l’enorme scrivania che era il ponte di comando della sua immaginaria nave. In effetti, amava considerare il suo studio come la plancia di un incrociatore, la sua azienda finanziaria, dal quale emanava ordini e direttive che gli permettevano di navigare nei mari, sempre agitati ed infidi, degli affari e delle più importanti Borse del mondo. 
Samuel non abbandonava mai il suo posto di comando. 
Si riteneva un capitano d’industria di vecchio stampo, non avrebbe mai abbandonato la nave in caso di pericolo. Egli pensava che, soltanto i topi, spregevoli ed ingannevoli, obbedendo ad un primordiale istinto di sopravvivenza, lasciano le loro tane nelle sentine più maleodoranti e nascoste per cercare di salvarsi. Samuel Alexandro Emanuele Horowitz, degli Horowitz di Gerico, ultimo discendente di una antica dinastia di rabbini e faccendieri ebrei, non era, certamente, un topo. Egli si riteneva compiutamente un uomo, anzi, rifacendosi ai suoi studi filosofici ed oltrepassando innaturalmente, viste le sue radici storiche e razziali, le barriere di natura etica e religiosa di cui doveva pur essere custode, era convinto di essere un “übermensch” di Nietzschiana memoria, un “oltreuomo” o “superuomo”, come negligentemente particolarmente doloroso: il ricordo della sua ultima festa e la nostalgia dei suoi genitori, si acuivano parecchio in quella ricorrenza.
Non c’era stata più nessuna festa nella vita di Samuel Alexandro Emanuele Horowitz, degli Horowitz di Gerico.
Il suo giorno iniziava alle quattro del mattino quando amava accordarsi uno dei pochi lussi che si concedeva: inseriva nel suo impianto di riproduzione audio un CD con le sinfonie di Litz o di Wagner, come necessario nutrimento dello spirito, e si dedicava, totalmente, alle sue necessità corporali. Quindici minuti di toilette, quindici minuti di sauna finlandese, cinque minuti di rivitalizzante doccia scozzese, dieci minuti di accurato abbigliamento personale, e ben quindici minuti di sana ed abbondante colazione preparata dall’unica fidata donna di servizio ammessa nel suo appartamento privato.
Dalle diciassette alle diciannove divorava le pubblicazioni specializzate in economia e management che Elenoire, la sua segretaria particolare, gli faceva trovare sul tavolo basso posto al lato destro della sua speciale poltrona Frau e dove aveva avuto cura di sottolineare gli argomenti e le trattazioni più interessanti. Appena l’impulso sonoro del timer segnava il tempo programmato, Samuel interrompeva la lettura delle pubblicazioni economiche ed iniziava a leggere, sino alle venti, i giornali posti sul tavolo basso a sinistra della Frau. Riteneva necessario informarsi su tutti gli eventi che avevano caratterizzato la giornata politica mondiale e le notizie di cronaca più interessanti perché ciò lo aiutava a fare le giuste scelte per la sua azienda in considerazione delle situazioni politiche in corso e lo faceva sentire, in qualche modo, inserito nelle evenienze della vita sociale.
Alle venti era pronta la sua cena.
Non si faceva mancare niente, gli piacevano i piatti etnici, le pietanze ben condite e la frutta esotica. Mangiava di tutto con appetito anche se in quantità minime. Alle ventuno in punto il suo timer si faceva sentire nello stesso attimo in cui Samuel deglutiva l’ultimo sorso di Chateau De Beaulon, il suo Cognac preferito appena riscaldato sulla fiamma di una piccola candela.
Passaggio di rito dalla toilette.
A seguire, dalle ventuno alle ventitre e quarantacinque Samuel Horowitz ridiventava capitano d’industria. Studiava le strategie necessarie per la conduzione dell’azienda, stendeva un memorandum per gli impegni del giorno dopo, prendeva nota di tutti i documenti e le verifiche che avrebbero riguardato il personale e la produzione. Alle ventitre e quarantacinque esatte, dedicava quindici minuti alla toilette notturna, e dalle ventiquattro alle quattro del mattino, dormiva profondamente per ritemprare le sue forze. Ogni sera, poco prima di chiudere gli occhi, svolgeva un piccolo rituale: fissava per cinque minuti il soffitto affrescato con scene di caccia a cavallo della sua bella stanza da letto, faceva un piccolo ma intenso esame della giornata appena trascorsa e della sua vita così strana e particolare, poi si sollevava appena appoggiandosi sul gomito sinistro, sceglieva una pastiglia tra le dieci poste su di un piccolo vassoio d’argento sposto sul comodino al lato del letto, la osservava con uno sguardo che si poteva definire “speranzoso”, la deglutiva bevendo un sorso d’acqua da un bicchiere di cristallo, si ricoricava supino sul suo letto incrociando le braccia sul suo petto, e si metteva ad aspettare…

Queste erano le giornate di Samuel.
Sempre le stesse, uguali e prevedibili sino allo spasimo, programmate, condizionate dalle scelte di Horowitz e condizionanti l’Horowitz stesso.
Tutta la sua esistenza si svolgeva all’interno del suo palazzo.
Così come nel suo appartamento ammetteva una sola cameriera, anche nel suo studio accettava una sola segretaria fidatissima e particolare: madame Elenoire, il suo trait d’union con il mondo esterno.

Madame Elenoire Du Champs, donna dotata di notevole fascino personale, era l’espressione tangibile della sua volontà, dei suoi ordini, delle sue scelte inerenti la conduzione dell’azienda, era il suo naturale compendio, il suo alter ego verso i dipendenti e verso i rappresentanti delle altre aziende. Di lei, segretaria d’altissimo livello, visto che si fregiava di ben tre lauree in scienze gestionali, Samuel si fidava come di se stesso, tanto che spesso la delegava per definire contratti o gare d’appalto presso i vari Enti pubblici e privati.

Samuel Alexandro Emanuele Horowitz passava così la sua vita, difesa sino allo stremo dal suo metodo e dai suoi orari.

Samuel Alexandro Emanuele Horowitz non incontrava nessuno oltre le sue fidate collaboratrici.

Samuel Alexandro Emanuele Horowitz non usciva mai dal suo studio e dal suo appartamento.

Samuel non poteva permettersi distrazioni.

Samuel non poteva permettersi di pensare ad altro che non fosse il suo lavoro. S

amuel non poteva permettersi di pensare…

Samuel Alexandro Emanuele Horowitz, degli Horowitz di Gerico, era un nano…

Il capitano d’impresa, il super dirigente, colui che era capace di condizionare le scelte dei mercati e degli affari, determinando crolli finanziari o successi in Borsa, Samuel, era un uomo piccolo, veramente minuscolo: Samuel era alto appena novantuno centimetri, novantuno miserrimi schifosissimi centimetri.
Samuel non era un nano da circo, un ometto la cui apparizione già induce al sorriso. Non aveva un grosso testone e gambette corte come, normalmente, hanno tutti coloro che, per un difetto genetico, vivono la loro asimmetrica dimensione di nanismo. Samuel era un piccolo uomo, bello addirittura, un uomo in miniatura. Fondamentalmente ben proporzionato ed armonico nelle sue dimensioni, aveva mantenuto tutte le caratteristiche di un uomo normale ma soltanto in proporzioni ridotte. Egli stesso, autoironico sino all’autolesionismo, aveva calcolato che bastava moltiplicare le misure di qualsiasi vitruviano essere umano normotipo per un coefficiente riduttivo pari a 0,505 per ottenere le sue reali dimensioni. Samuel aveva scoperto di essere un uomo piccolo, e che tale sarebbe rimasto per il resto della sua vita, nel periodo della sua adolescenza, quando si accorse che i suoi coetanei crescevano in maniera, ai suoi occhi, smodata. Il suo tutore (i suoi genitori, a quell’epoca, erano già morti), senza curarsi minimamente di nascondere le sue perplessità, continuava a scrutarlo preoccupato e un po’ schifato, come se avesse scoperto uno scarafaggio scorazzare liberamene nella dispensa. Naturalmente fu fatto visitare dai migliori medici e la sentenza fu che il piccolo Samuel sarebbe rimasto “piccolo Samuel” per il resto della sua vita, perché il bambino era affetto da una rara sindrome congenita: il nanismo di Laron.

Il giovane Horowitz, scoperta la sua anomalia, cominciò ad isolarsi sempre di più. Le mura della sua casa divennero il suo scudo, la necessaria protezione dai sorrisini e dai commenti malevoli che cominciavano ad inseguirlo ad ogni sua apparizione pubblica. Allontanò da sé i pochi amici e i conoscenti, cominciò a frequentare le scuole superiori preparandosi privatamente e superando gli esami davanti a piccole e selezionate commissioni di professori. Persino le varie università alle quali si era iscritto lo videro eccezionalmente per gli esami e le tesi, ma non potettero fare a meno di valutare più che positivamente gli studi e le varie argomentazioni discusse dal “piccolo” Samuel. Samuel Horowitz era un uomo straordinariamente intelligente. Egli era dotato di una perspicacia ed una percettibilità eccezionale.
 Samuel, come tutti gli uomini sensibili, aveva imparato a soffrire per la sua condizione fisica nel silenzio della sua intimità, l’unico luogo dove si poteva permettere di piangere, urlare e ribellarsi contro la natura matrigna, poiché il suo amor proprio non gli consentiva di manifestare ad altri le sue debolezze. Samuel Horowitz era un uomo incredibilmente orgoglioso.
Aveva imparato a nascondere le sue vere emozioni, le sue gioie e i suoi dolori. Avendo piena coscienza delle sue qualità intellettive, si era buttato negli studi e, di seguito nella conduzione dell’impresa di famiglia, con tutta la sua forza e con tutto lo slancio che poteva permettersi. Era l’unica possibilità di rivalsa che aveva per combattere contro quel mondo, così detto “normale”, che lo guardava dall’alto in basso, con quell’aria di sufficienza e di falso e ironico riguardo odiosa ed ipocrita.
Samuel Horowitz era diventato un uomo di successo. Si era proiettato nel lavoro e nella sua attività finanziaria considerandola l’unica possibilità di rivalsa contro i “normali”, verso i quali, negli affari, non mostrava alcuna pietà. Giornali e riviste specializzate avevano cercato, inutilmente, alimentandone così il mito, di conoscere meglio lo sconosciuto capitano d’impresa di cui non si sapeva quasi niente, ma, madame Elenoire Du Champs, era stata una barriera di difesa irremovibile e insormontabile.
Samuel Horowitz era un uomo fondamentalmente solo.
Il giovane Horowitz si era costruito, pian piano, una dimensione fisica ed esistenziale commisurata alle sue necessità, adatta alle sue dimensioni, essenziale per la sua armonia relazionale. Il suo appartamento e il suo ufficio, all’interno della sua azienda finanziaria, erano il suo paradiso personale, nevralgico per la sua centralità, eppure efficacemente isolato dalle umane pulsioni e integralmente protetto dagli attacchi del mondo e dalla stupidità umana. Il giovane Samuel, si era così ben difeso che, alla fine, si era ritrovato solo, dentro la sua torre d’avorio, tremendamente, tragicamente solo. Molte volte provava un profondo languore reso ancor più amaro dall’angoscia della solitudine, una nostalgia straziante di un amore che potesse riempire i suoi vuoti affettivi, e sempre vi aveva supplito impegnandosi al suo lavoro con maggior dedizione e tenacia.

Quel giorno Samuel avrebbe dovuto festeggiare, ma non lo avrebbe fatto, il suo quarantunesimo compleanno. In realtà non aveva festeggiato nessuno degli ultimi trentacinque compleanni. L’ultimo festeggiamento che ricordava lo vedeva davanti ad una torta enorme ripiena di panna e frutta candita. Rivedeva le cinque candeline accese, i suoi genitori che lo incoraggiavano a spegnerle con un solo soffio e la voce di sua madre che lo invitava a pensare a qualche desiderio importante, sicuro che si sarebbe presto realizzato. Fu l’ultima volta che vide i suoi genitori. Alla fine della festa, la macchina che avrebbe dovuto riportarli al lavoro, sbandando sulla strada ghiacciata, era finita contro un albero secolare e si era incendiata distruggendo definitivamente i corpi dei suoi cari. Nonostante gli anni trascorsi e malgrado la corazza di impassibilità con la quale aveva tentato di coprire le sue afflizioni, il giorno del suo compleanno continuava ad essere particolarmente doloroso: il ricordo della sua ultima festa e la nostalgia dei suoi genitori, si acuivano parecchio in quella ricorrenza. Non c’era stata più nessuna festa nella vita di Samuel Alexandro Emanuele Horowitz, degli Horowitz di Gerico.

Nessun commento:

Posta un commento

Grazie per aver condiviso la tua opinione!

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...