E' arrivato il turno di un altro Christmas tales, questa volta di Barbara Risoli, l'autrice italiana molto presente online con all'attivo pubblicazioni fantasy e romance storico, l'ultimo dei quali è uscito è La giustizia del sangue, edito da 0111 edizioni. Amministra i blog gemelli Barbara Risoli e Il sovrano lettore e Oro e argento è il racconto -per cui la ringrazio- che ha voluto regalarci :)
ORO E ARGENTO
di
Barbara Risoli
La neve
copiosa cadeva sul mondo e le sue vergogne, mischiandosi con lo scintillio
delle luci ingannevoli. Il Natale era ormai alle porte. La gente, simile ad
antichi Mirmidoni, non smetteva di camminare in cerca della felicità, al suono
sordo di banconote e monete che si spacciavano per campanellini. Un lieve,
quanto gelido, vento sfiorava la città distratta, in corsa per un successo
effimero che era il sorriso di una sera. Poi tutto sarebbe tornato come prima:
caotico, stressante e assurdo. Il Natale era dunque una pausa per gli uomini,
senza riflessioni, colma di vino e spumante, di cibo e panettone. Cosa si
festeggia a Natale? In pochi lo rammentavano.
La sagoma scura, avvolta in un
prezioso cappotto, rasentava i muri addobbati in cerca di una svolta, un
vicolo, un posto che non fosse luce in quelle ore frenetiche. Accanto, un altro
uomo, piccolo, vestito modestamente, in antitesti con quello che sembrava il
suo padrone. Trovarono una strada fangosa che immetteva in una via scura e
maleodorante. L’uomo più alto si fermò e strinse lo sguardo. Un gesto della
spalla indusse l’altro ad accendere una torcia elettrica per far giungere il
fascio di luce più distante. C’era qualcosa, o meglio, qualcuno. L’uomo alto
entrò nel vicolo, che pareva una grotta maledetta; il servo vicino a lui. Con
il capo gli ordinò di illuminare un mucchio di niente e quel niente rivelò d’essere
umano. L’uomo alto non era solito sporcarsi le mani e il servo sollevò il volto
del barbone per mostrarglielo. Era una donna. L’uomo alto si chinò per
guardarla meglio e lei aprì gli occhi assonnati dal freddo. La morte era certa
lì vicino. Ne fu certa. Vide la morte e le sorrise, svelando una dentatura
bianca, nonostante la vita che conduceva. L’uomo alto annuì e fece per
andarsene. Il servo lo raggiunse sulla via illuminata, sotto la neve adesso
intensa.
- Lei. Domani – precisò il
padrone, cogliendo nel servo una sorta d’impazienza.
- Perché? – chiese il piccoletto,
tremando per il gelo.
- Lei. Da me. Domani. Come sai tu
– non lo soddisfò, non gli doveva delle spiegazioni. Scomparve nella folla e il
servo si voltò verso la donna che si era nuovamente addormentata.
La stanza era
buia. Cadde carponi, entrando prudentemente. Si era ribellata alla costrizione
di seguire l’ometto che l’aveva letteralmente rapita e che si era brutalmente imposto,
trascinandola con sé sotto la neve e nello sfavillio del Natale che lei
detestava. Non aveva risposto alle sue domande, come non aveva ascoltato le
suppliche di lasciarla, di non farle del male. Ma era debole, da giorni non
mangiava decentemente, le forze erano quelle che erano e una volta finite, si
era lasciata prendere, accettando ancora il destino avverso che il Cielo
continuava a riservarle. Sarebbe morta, lo sapeva. Uccisa.
Le luci della stanza si accesero
e l’accecarono, si rannicchiò in un angolo, le ginocchia al petto come se
potessero difenderla. Piano riaprì gli occhi cisposi e scrutò tutto intorno.
Una stanza delle torture. Strinse i denti osservando lettini, sedie, apparecchi
lucidi, una vasca, una doccia, tutto molto ricco, ma pericoloso. Tremò e lasciò
che le lacrime scendessero lente sul volto sporco di vita e dolore. Perché? Lei
non aveva più chiesto nulla, perchè ancora le veniva imposto il male? Scosse il
capo scarmigliato, i lunghissimi capelli erano un rovo lurido che in qualche
modo la difendevano. Entrò qualcuno che parlottò con l’omino, il quale spiegò
sommessamente una marea di cose, diede ordini, disposizioni, indicò un
apparecchio e poi un altro. Pianse e singhiozzò, sussurrò di avere pietà, offrì
se stessa pur di uscire da quel luogo terribile. Avanzò verso di lei una donna,
una bella donna, biondissima come era stata lei un tempo, slanciata, i tacchi a
battere il tempo contato. Alzò il volto lordo e si fissarono. La donna le sorrise
amichevole. Falsa! Falsa! L’avrebbe torturata con l’ometto e le sorrideva.
Bastarda, maledetta! Scalciò tentando di colpirla, ma lei fece un passo
indietro e sorrise nuovamente. Si chinò ardita su di lei e le sollevò il mento,
non celando un senso di fastidio per l’odore insopportabile che emanava.
- Sarai bellissima – le sussurrò
con la voce suadente di un angelo e lo scintillio degli occhi azzurri la
atterrì. Serrò le labbra secche. Scosse nuovamente il capo. Pianse, tentò di
scalciare, ma l’ultimo brandello di forze venne a mancare e probabilmente
svenne, mentre l’ometto entrava nella stanza spingendo un carrello ricolmo di
cibo. Avvelenato. O drogato. Il buio.
Il fuoco
schioppettata nel camino in marmo bianco e le monachelle sembravano angeli
ribelli che schernivano l’uomo, mentre le osservava incantato: le lunghe gambe
su uno scanno di velluto ricamato in oro, il corpo asciutto su una poltrona
damascata argentea. Fumava pigramente un buon sigaro e sorseggiava senza entusiasmo
del whisky di prima qualità. Intorno a lui la follia. Tutto era ricco. Il
grandioso albero di Natale, posto nell’angolo della sala, era d’argento e ogni ninnolo
in oro zecchino, scintillante e invitante. I tappeti erano d’oro, il tavolo
imbandito con piatti rifiniti in argento e posate anch’esse d’oro. Cristallo
era il vetro per lui, diamanti i soprammobili incastonati di pietre preziose.
L’abito stesso che indossava, elegante e ricercato, portava una firma
costosissima. Guardò il Rolex al polso e poi il pendolo antico accanto al
camino acceso. La vigilia di Natale. Un’altra. Era in ritardo l’ospite, ma il
servo glielo aveva detto. Sorrise tra sé e finì il liquore, appoggiando il
bicchiere rilucente sul tavolino in marmo rosa. Si alzò, raggiunse la finestra
e guardò oltre. Non smetteva di nevicare, la terrazza era stata pulita, ma
ancora i fiocchi attecchivano. Lo trovò romantico. Scorse nel buio il giungere
della propria auto, una fuoriserie nera che era l’invidia dei passanti, quando
la guidava. Sorrise ancora e percepì nel petto un battito senza ritmo. Era
stupido provare una cosa simile. Ascoltò i movimenti, le voci, i passi sulla
grande scala e poi nel corridoio. Non si mosse, continuò a dare le spalle alla
porta che si aprì.
L’ometto le
era stato appiccicato da quando l’aveva rapita e costretta a mangiare, si era
imposto ed era stato cattivo quando, preso dallo sconforto per le sue
ribellioni, le aveva dato uno schiaffo in pieno viso, invitandola a non dire
più una parola, se ci teneva alla vita. Lei si era spaventata e aveva così
accettato ogni cosa. All’inizio non aveva capito e non avrebbe voluto fare ciò
che la donna bellissima le aveva imposto a sua volta. Era stato tutto molto
lento pur con il tempo contato, l’avevano anche indotta al sonno, ovviamente
contro la sua volontà. Era adirata, ma non abbastanza. Astiosa guardò l’ometto
che fece spallucce seccato. Poi guardò la sala. Senza fiato. Le forze
riconquistate mancarono ancora e per poco le gambe non cedettero. Che scherzo
era? Spaventata indietreggiò, ma era già in trappola, la porta chiusa e l’omino
scomparso. Il cuore iniziò a battere così forte da farle girare la testa o
forse la testa girava per il lusso sfrenato, esagerato, pacchiano che l’aggredì
accecandola, cancellando in un attimo il suo vicolo, la sua vita, la sua
miseria. Si osservò istintivamente, come per verificare d’essere all’altezza e
ammirò il lungo abito di seta bianca che le era stato assegnato, con le sue
rifiniture in argento che lo rendevano simile a quello di una sposa. Era troppo
scollato, troppe trasparenze lasciavano intuire ciò che, nonostante tutto, era.
Solo dopo un po’ si accorse di
non essere sola. Saltellò all’indietro e cercò di aprire la porta che era stata
chiusa a chiave. Quasi scardinò e si stampò sul legno dipinto in oro. Solo allora
il padrone di casa di voltò e la vide, come lei vide lui. Non dissero nulla, si
fissarono e basta. Non era bellissima. Non era altissima. Non era una modella.
Era una donna, una bella donna, agghindata a festa e per questo affascinante,
invitante e dolcissima.
Lei lo guardò senza abbandonare
la paura che la scuoteva feroce e non potè negare una bellezza insolita, tenebrosa,
spaventosa per certi versi, eppure così intensa. Si chiese dove si trovasse, cosa
stesse accadendo. Le torture previste non erano state torture, le costrizioni
imposte si erano rivelate doni inattesi. Avevano fatto di lei una principessa,
come in un magnifico sogno. Osservò l’albero di Natale. Era Natale.
L’uomo l’aveva
invitata a sedersi a tavola con lui senza una parola, galante e convincente
anche grazie a un fascino misterioso che non mancò di placarla, pure nella
diffidenza che tutto le incuteva. L’aria onirica che la circondava e
l’abbassarsi delle luci, come per una regia ben congeniata, l’aveva messa un
po’ sulle difensive, ma il vedersi servire buon vino e piatti deliziosi da
cameriere sorridenti, aveva fatto da deterrente a qualsiasi remora. Sembrava
davvero una principessa, ma restava ciò che lui aveva trovato solo il giorno
prima nel fango di una strada, restava quella che veniva definita, senza troppi
commenti, una barbona. Il passato distante non lo aveva dimenticato e i modi
educati in lei erano riemersi, lasciando lo sconosciuto perplesso e
piacevolmente compiaciuto. Colse in lui più di una volta un sorriso o uno
sguardo ammirato. Aveva ricambiato con un gesto del capo e, quando giunse il
dolce accompagnato da champagne francese, decise di parlare per prima. Piluccò
la fetta di torta alla crema senza entusiasmo, prese fiato e alzò il volto, illuminato
dal lume di una candela tra loro. Nel contempo, lui aveva fatto la stessa cosa
e i loro occhi si scontrarono. Fu una scintilla che attraversò entrambi.
- Dove mi trovo? – esordì la
giovane donna.
- Nella mia casa – rispose lui
ovvio, senza sottolineare la stupidità della domanda. Lei annuì frettolosa, i
capelli acconciati a oscillare intorno al viso truccato e levigato.
- Chi sei… - e fece per
correggersi.
- Puoi darmi del tu, sei l’ospite,
sei tu che decidi – la interruppe, come se le leggesse il pensiero, ma non era
possibile.
- Si – sussurrò senza senso. La
voce dell’uomo era profonda, la colpiva senza un motivo, o meglio, aveva
addosso troppi segni per potersi concedere un interesse che andasse oltre lo
scrocco di una cena luculliana. Era quella che era, se lo ripeteva continuamente,
mentre sentiva il calore dell’ambiente scaldarla.
- Parlami di te – la salvò da un
imbarazzo che peggiorò. Fu però veloce nello spogliarsi di retorica e timidezza
ed ebbe uno sguardo freddo che lo turbò.
- Sai bene chi sono – sbottò e
assaggiò con decisione la torta deliziosa.
- Come posso? – la contraddisse.
Lei quasi si seccò.
- Sono una poveraccia – si
autodefinì, cercando un termine secondo lei meno brutale. L’uomo ridacchiò
divertito e si appoggiò allo schienale della sedia sorseggiando un calice di
champagne.
- Io no – le fece notare ironico
e oscuro. Interrogativa ei alzò un sopraciglio.
- Siamo diversi – concluse
alzandosi. Nel momento in cui lo fece, una musica lenta e soave iniziò a
diffondersi nell’aria. Lo osservò, mentre gettava un ceppo nel camino e s’irrigidì
quando avanzò per invitarla palesemente a ballare. Fu lei questa volta a
ridacchiare.
- Buon Natale – si sentì dire. Lo
scrutò.
- Vogliamo ballare? – insistette.
- Per quale motivo? – ribattè
imprevista.
- Mai chiedere il motivo di
un’emozione, vivila e poi si vedrà – le sussurrò all’orecchio.
. Che cosa vuoi in cambio di
tutto questo? – andò al sodo deludendolo un po’. Non le stava facendo del male,
l’uomo non comprese il motivo del suo improvviso astio.
- Sono io che ti darò qualcosa in
cambio – parò il colpo e quasi con la forza, ma era una forza vellutata, la
indusse ad alzarsi e le avvolse la vita in un ballo lento e suadente, romantico
e intriso, adesso, di luci soffuse, aromi dolci e invitanti, una specie di
magia che inevitabilmente la incantò, rendendola facile preda, imprudente ed
emozionata.
Qualcosa accadde, qualcosa di
soprannaturale, annullando il tempo, lo spazio, la logica, la resistenza. Si
realizzò un sogno, quello di sentirsi felice, di non pensare a nulla, di
percepire semplicemente il sapore dolce e invitante dell’amore. Non poteva
essere amore quell’abbraccio, quel ballo, quegli sguardi persi e frementi. Chi
era quell’uomo e chi era quella donna? Non si conoscevano, quasi nulla in comune,
quasi… tranne la solitudine.
Non parlarono, mentre si
lasciavano cullare da una melodia sconosciuta proveniente da una dimensione che
nessuno dei due aveva mai immaginato. La donna lo fissava incredula mentre
l’uomo percepiva dentro il desiderio di farla felice, di strapparle un sorriso,
un sospiro. Non ci pensò molto, lento avvicinò il volto aspettandosi che si
ritraesse, ma non lo fece e il bacio che li unì fece loro vedere bagliori,
baleni di incredibile che si mischiarono con lo scintillio prezioso di una sala
folle per lusso e ricchezza. Erano avvolti dal magnifico, ma non erano
magnifici, entrambi con la loro disperazione, con il loro dolore, opposti
eppure così simili nel silenzio della vita che li aveva portati a incontrarsi.
Ancora una volta, il destino. Ancora una volta, l’illogicità delle cose. Lei lo
osservò arrossendo, tutto si era aspettata meno che quell’emozione che già era
nostalgia perché lo sapeva, lo immaginava, che si trattava solo di una
concessione alla quale avrebbe dovuto rinunciare, come Cenerentola allo
scoccare della mezzanotte. Il tempo era passato come dilatato e scoccarono le
due, il pendolo antico li avvisò e li fece sorridere, dopo che il languore li
aveva resi più arditi eppure timidi e prudenti.
Mi piace questo racconto, è iniziato come un thriller per poi assumere connotazioni romance. Non vedo l'ora di leggere la seconda parte per saperne di più sul misterioso sconosciuto. =)
RispondiEliminaGrazie, Emy... sei molto gentile. Spero di non deluderti. Bacio!!!
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