Voto: 









Lucky è un killer metodico e “pulito”,
assunto dieci anni prima da un uomo di cui nemmeno lui conosce la vera identità,
ma che gli assicura di essere dalla parte del bene e che chiama l “Uomo Giusto”.
Al termine di un omicidio che pare scuoterlo, Lucky si trova sul punto di
iniettarsi una miscela letale. A fermarlo è però un giovane che dà mostra di
conoscerlo intimamente e lo invita a desistere dal suo intento. Si tratta di
Malchiah, un angelo che lo ha osservato in questi anni e che adesso gli offre
la possibilità di redimersi compiendo delle buone azioni. Ma di semplici buone
azioni non si tratta, perché Lucky si ritroverà catapultato nel XIII secolo per
salvare la vita di una coppia di ebrei, accusati di aver ucciso la figlia e
vittime dell’ennesima persecuzione.
Come ho già accennato, il
capitolo più tragico e meglio riuscito è quello riservato al passato di
Lucky-Toby O’ Dare, talentuoso suonatore di liuto, orfano di padre galeotto e
sfortunato figlio di una madre alcolizzata. Come è facile intuire, la sua
storia non ha un lieto fine. L’assunzione da parte dell’Uomo Giusto gli conferisce
quasi un posto nel mondo, un’identità fissa, ma sono il posto e l’identità di
un letale cecchino. La Rice
scrive bene, e questo lo sappiamo tutti. Un tempo lo avrei considerato un
apprezzamento troppo riduttivo per la grandissima scrittrice di Intervista col vampiro, ma in Angel, possiamo dire che, semplicemente,
scrive bene. Spesso la sua narrazione è stata giudicata troppo “pesante” o
filosofica, ma, al contrario, in questo libro pecca di un’inusuale leggerezza. La
prima parte, più lenta, risulta la più interessante. La seconda (dal salto
temporale in poi) è invece più scorrevole ma meno approfondita, salvo la
narrazione della storia di un personaggio coinvolto. La risoluzione della “missione”,
forse a causa della lunghezza poco estesa del romanzo che costringe a
sintetizzarla, risulta poco convincente e l’intero episodio non riesce a
coinvolgere emotivamente il lettore, che si trova ad assistervi con una
composta indifferenza. Terribilmente
scontato, è, invece, il finale, in cui Lucky, dimessosi dalla professione di killer,
vuole scrivere un libro sulla sua esperienza trascendentale intitolato con il
nome del romanzo che teniamo in mano.
Una nota di demerito va inoltre alla
ricostruzione storica insufficiente –appena accennata- e ai personaggi un po’
stereotipati, ma, soprattutto all’assenza delle figure cui è dedicata la saga:
gli angeli. A parte la comparsa di Malchiah, infatti, non abbiamo né nessun
ingerenza né nessuna descrizione dei servitori di Dio.
Il romanzo risulta insomma
piacevole e ben scritto, scorrevole, con picchi di interesse e altri di
indifferenza ma, purtroppo, non sono questi gli aggettivi che pensavo avrei
riservato ad una scrittrice del calibro di Anne Rice…
bella recensione. libro interessante
RispondiEliminaNon me lo leggo nemmeno pagata.
RispondiElimina@Luigi87: grazie:)
RispondiElimina@sakura87: non avevo dubbi XD
Che delusione... Son cresciuta con Lestat, Pandora, Armand ed ora la Rice scrive di Angeli?
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