A cura di Surymae Rossweisse
Salve a tutti, e benvenuti ad
un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Vorreste un manga di semplici comprensione, con una trama lineare e personaggi ancora più lineari? Ottimo,
perché la serie di questa settimana... è l'esatto contrario. Di sicuro il mangaka
deve aver fatto una grande fatica nel produrla, ma i suoi sforzi sono stati
riconosciuti: ha vinto numerosi premi, è stata trasposta in anime – pure con
più episodi dello standard – ed ha avuto un grande contributo nell'affermarlo
come autore. E tutto questo, udite udite, è stato meritato. Incredibile!
Che altro dirvi? Se lo facessi,
vi direi già tutto quello che c'è da sapere, rovinandovi la lettura. Molto
meglio lasciare parlare il manga: si tratta di “Monster” di Naoki Urasawa – sì,
è una nostra vecchia conoscenza. Buona lettura, in tutti i sensi!
Düsseldorf, 1986. Il medico
giapponese Kenzou Tenma sta vivendo un periodo d'oro: astro nascente della
neurochirurgia, è adorato dai suoi pazienti e gode del favore del direttore
dell'ospedale, il dottor Heinemann, con la cui figlia Eva è fidanzato. La
gloria e la fama sono a portata di mano, ma
quello che gli interessa più di tutto è fare il suo lavoro, ossia
salvare vite umane. Per questo, quando ordini dall'alto gli ingiungono di non
operare un bambino che è stato sparato alla testa a favore del sindaco della
città – arrivato dopo di lui – si ribella, lasciando l'uomo nelle mani di altri
medici.
A tale gesto eroico, però, si
accompagnano conseguenze drammatiche. Tanto per cominciare, il politico muore.
Il bimbo, Johan Liebert, sopravvive, ma è una magra consolazione. Davvero
magra. Proprio quando questi si riprende, infatti, e Tenma si scopre
improvvisamente attorniato da nemici e single – Eva, disgustata da quanto è
successo, lo ha lasciato – i medici che più lo avevano ostracizzato, Heinemann
in testa, muoiono in maniera misteriosa e violenta. Non solo: Johan sparisce
così come sua sorella Anna, ricoverata nell'ospedale in stato catatonico. Tenma
viene sospettato degli omicidi, ma le accuse decadono.
Nove anni dopo. Tutto sembra
essere tornato alla normalità: Kenzou continua ad operare nello stesso ospedale. Uno dei suoi pazienti è un criminale, Adolf Junkers, che sembra avere
immensamente paura di “un mostro”. Tenma, nonostante tutto, si avvicina a lui:
ma una notte la guardia alla porta di Junkers viene uccisa, e lui sparisce. Il
dottore, sul posto, lo trova infine minacciato da una pistola: è il mostro,
spiega il criminale mentre lo implora di non avvicinarsi, se non vuole morire.
Ma il “mostro” non ha alcuna intenzione di ucciderlo: è Johan Liebert, il
bambino che aveva salvato. Junkers, però, non è così fortunato, e il dottore è
costretto a vederlo morire.
Il nostro è comprensibilmente
scioccato, ma questo è solo l'inizio. Un ispettore federale, Lunge, connette il
caso di nove anni prima a questo, e deduce che sia stato lui l'autore di quelle
stragi: “autore” che non può in nessun modo provare la propria innocenza.
L'unica che potrebbe aiutarlo, Eva, non ne ha la minima intenzione, perché ancora
arrabbiata con lui a distanza di tutti questi anni. L'unica cosa che può fare
il dottore è cercare di rimediare all'errore fatto, ossia salvare colui che
sarebbe diventato il mostro. Si dà così alla macchia con l'intento di trovare
Johan ed ucciderlo. Tempistica perfetta: quest'ultimo si avvicina sempre di più
alla sorella – che adesso si chiama Nina, e vive serenamente – e soprattutto fa
partire il suo grande piano per rimanere l'ultimo uomo sulla Terra...
Se dovessi inquadrare “Monster”
in un genere, la prima cosa che direi sarebbe “thriller”... ma limitarsi a
questo è riduttivo. Per carità, la definizione è azzeccata: parliamo di
omicidi, investigazioni, tonnellate di misteri e di rivelazioni scomode. Ma
Urasawa non ha preso soltanto il canovaccio di un comune thriller, l'ha
ambientato in Germania, aggiunto un po' di lievito ed infornato il tutto.
Guardando attentamente la struttura della trama, infatti, si scopre un genere
molto più antico del giallo: la favola. In ogni storia vi sono questi elementi:
l'eroe – che desidera qualcosa, l'antagonista, i rispettivi sostenitori
(aiutanti ed oppositori) e lo svolgimento è spesso caratterizzato da elementi
magici.
Riflettiamo ora su “Monster”.
L'eroe è Tenma, che desidera riparare al suo principale errore e porre fine al
piano omicida di Johan; quest'ultimo, invece, è chiaramente l'antagonista,
almeno fino a prova contraria. Tutti e due hanno persone che li appoggiano:
dalla parte di Kenzou sono persone che hanno visto da vicino le atrocità di
Liebert o comunque condividono con lui una parte del suo passato – Nina, uno
psichiatra il cui migliore amico e paziente è stato manipolato psicologicamente
dal mostro fino a costringerlo a suicidarsi, reduci dell'orfanotrofio in cui ha
passato l'infanzia; Johan, invece, trae a sé uomini politici, pezzi grossi
della società e Roberto, il suo servitore più fedele, che per lui farebbe
veramente di tutto. Per quanto riguarda l'elemento fantastico, invece,
ovviamente non troverete, fate, orchi, ecc., o almeno non in senso letterale.
Tuttavia alcuni eventi non sono esattamente plausibili, più che altro quelli
che riguardano Johan – un esempio non troppo spoiler: come ha fatto a fuggire
dall'ospedale? E la sorella, dove è andata? Anche tutta l'organizzazione
dell'orfanotrofio – il temutissimo Orfanotrofio 511, i cui abitanti sono stati
uccisi tutti guarda caso durante il soggiorno del nostro amico – non è
realistica. E per fortuna... Non solo: anche nella storia, poi, vengono
menzionate delle favole. Favole tutt'altro che edificanti, che giocano un ruolo
cruciale nel definire la personalità e gli obiettivi del mostro: ma non fatemi
dire altro, per carità. Comunque, è un'altra prova che la mia non è una teoria
campata per aria.
Parlando di paragoni, però, ci si
può spingere ancora più in là. Durante la storia, i tratti caratteristici di
Tenma vengono estremizzati fino a renderli quasi sovrannaturali: quasi
messianici, dati la loro natura positiva. Chiunque lo incontri ne viene
quantomeno colpito: l'esempio più lampante è Eva. Figlia di un ricco medico,
viziata e superficiale, colui che la conquisterà è proprio Kenzou, non
esattamente un casanova. Anche successivamente lui rimarrà il suo grande amore,
in base al quale rischierà la vita anche quando – dice – lo odia e lo vorrebbe
vedere marcito in prigione. Lo stesso Johan, poi, si rifiuta di ucciderlo,
sebbene ne abbia più volte la possibilità: nonostante sappia che è il più
vicino a scoprire la verità, ed è tremendamente determinato nell'ostacolare i
suoi piani, gli è riconoscente per l'operazione fattagli.
Ma il discorso non finisce qui.
Anche sui personaggi secondari Tenma svolge un effetto positivo: con una sola
parola è in grado di modificare la loro vita per il meglio, dandogli fiducia
nel futuro. E questo capita praticamente a tutti, anche quelli più disillusi o
marci. Inoltre, egli non giudica mai nessuno: incontra più volte la feccia
della società, ma saranno state pochissime – e tutte giustificate – le volte in
cui ha dato mostra del suo disprezzo. Non odia nessuno, nemmeno Johan e Lunge,
i suoi principali persecutori (anche se per motivi diversi) ed è disponibile a
dare una seconda possibilità a tutti. Come dite? Vi ricorda un certo Gesù
Cristo? Che coincidenza, anche a me...
Di conseguenza se Kenzou è il
messia Johan è l'Anticristo, il suo opposto. Sono l'uno il contrario dell'altro
anche fisicamente – l'uno è asiatico, mentre l'altro, se fosse vissuto nella
Germania di Hitler, sarebbe stato l'ariano perfetto – ma soprattutto
moralmente. Il titolo “Monster” si riferisce a Johan, naturalmente, anche se
verso la fine uno quasi si chiede se i mostri non siano chi lo ha reso così.
All'inizio della storia uno potrebbe rimanere quasi deluso dal suo operato: non
appare praticamente mai, perché fa sempre fare i lavori sporchi ai suoi lacchè.
E me lo chiami mostro, questo? Certo: perché siamo sempre nel discorso
archetipico. Urasawa gioca col lettore, instillandogli terrore psicologico nei
riguardi di Johan: non appare mai, e mano a mano che scopriamo il suo passato
capiamo quanto è pericoloso. Quando finalmente lo fa temiamo per i poveri
personaggi ignari: sappiamo che la loro vita sta per prendere una piega molto,
molto brutta. In genere per quelli che non muoiono – ma sono tanti, ahimè, a
rimetterci – la situazione si mette sempre a posto (vi ricordate il discorso
della seconda possibilità?), ma ci impiegheranno parecchio a ritrovare la loro
serenità.
Proprio questi personaggi,
secondari che più secondari non si può, sono una delle cose migliori in “Monster”. Ci sarebbe ancora tanto da dire – l'orfanotrofio, ad esempio – ma si
rischia sempre nel cadere nello spoiler selvaggio, perciò preferisco glissare.
I personaggi, dicevo. Tutti loro, anche e soprattutto i protagonisti, sono
caratterizzati benissimo, ma a mio personale parere Urasawa si supera con
quelli che sono meno sotto i dei riflettori. Persone comuni, in cui è facile
identificarsi, che all'improvviso si ritrovano nell'occhio del ciclone: la loro
vita tranquilla viene distrutta, le loro priorità vengono riviste pesantemente,
e sono costretti a notare come il mondo non sia tutto bello. L'esempio lampante
è l'agente Suk, che nel giro di pochissimo tempo perderà il suo mentore,
scoprirà che questi era corrotto, che la donna che ha puntato nasconde diversi
scheletri nell'armadio, mentre sua madre
è in ospedale e rischiando di perdere sia il posto di lavoro che l'esistenza.
Povero ragazzo. Oppure Karl: è finalmente pronto a farsi riconoscere dal suo
padre perduto, ma Johan si mette in mezzo, con conseguenze veramente
pericolose. E ancora, anche se per fortuna il mostro non le si avvicina, la
giovanissima dottoressa asiatica che lavora con alacrità anche se le condizioni
sono tutto tranne che migliori... Oppure... tutto il cast?
Il tratto di Urasawa è piuttosto
personale e, soprattutto, variegato. Un sito inglese che raccoglie tutti gli
stereotipi delle opere di finzione – è interessante, sapete? - lo chiama “cast
di fiocchi di neve”; ed in effetti, a parte poche eccezione, tutti i personaggi
sono ben distinguibili fra loro. L'uso dei retini è maturo, e gli sfondi sono
curati nei minimi particolari: curatissima, in particolare, l'ambientazione
germanica. Quasi quasi, ti viene voglia di andarci anche tu...
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per aver condiviso la tua opinione!