Ben trovati al secondo ed ultimo
appuntamento con il nostro viaggio sui rapporti tra letteratura e televisione. Nella puntata precedente abbiamo parlato delle serie tv di genere paranormal,
comedy e drama, oggi ci occupiamo di
quelle che invece hanno un alone storico- epico, che attraggono una larga fetta
di pubblico, le più famose delle quali sicuramente sono quelle che riprendono
il ciclo arturiano focalizzandosi sul
mito di Merlino e le leggende di Avalon: sto parlando ad esempio dello
sfortunato “Camelot”, che ha chiuso
i battenti dopo solo una stagione e narrava le vicende relative alla
costruzione del mito del regno di Re Artù dopo la morte di Uther Pendragon, ispirato
al ciclo di romanzi “La morte di Artù”, composto da Thomas Malory alla fine del Quattrocento. Le vicende narrate sono
un po’ diverse da quelle che abbiamo conosciuto attraverso altri film, nei
quali fondamentale è il triangolo
amorosa tra Ginevra, Re Artù e per il suo primo cavaliere Sir Lancillotto:
in questa versione ella è promessa sposa di Leontes, uno dei primi cavalieri di
Artù, ma già prima delle nozze mostra interesse verso il suo sovrano che, pur a
malincuore, si trova a benedire il loro matrimonio. Ma Leontes avrà vita breve
perché morirà in battaglia e Artù si troverà a consolare quella che crede
essere Ginevra, ma in realtà è Morgana resasi uguale a lei con un incantesimo.
Mi ha affascinato il modo in cui è stato trattato il mito di Excalibur, con Merlino che si rende
responsabile della morte della bambina che porta il nome della spada e che
diventerà la dama del lago. Peccato per questo telefilm, che aveva i
presupposti per diventare un vero cult, ma che è stato forse criticato per la
presenza di scene molto erotiche che cozzavano con l’anima dello show. Ad ogni
modo ve lo consiglio per ammirare un’inedita Eva Green nei panni di Morgana e Joseph Fiennes nelle vesti di Merlino.
Un altro telefilm molto amato
sulle vicende del mago più famoso della storia è “Merlin”, che ci racconta di un Merlino inedito e giovane, che muove
i primi passi nel mondo della magia, le cui capacità sono sconosciute al
principe Artù (del quale è il servo) perché nel regno l’uso della magia è punito
con
Non spostiamoci dalla scena
fantasy per trattare di un altro telefilm conclusosi solo alla seconda
stagione, tratto dal famosissimo ciclo di romanzi di undici volumi de “La spada della verità” ( “The Sword of
Truth” in originale) di Terry Goodkind.
La serie televisiva, conosciuta in America come “The Legend of the Seeker”, è
liberamente ispirata alla vicenda letteraria, e racconta di un mondo immaginario nel quale esiste un confine magico,
un velo, che non permette alla magia di passare oltre e si lotta perché una
terra vinca sull’altra, nell’eterna battaglia tra bene e male. In questo mondo
esiste una Depositaria, Kahlan, che sta cercando di salvare le Terre Centrali e
ha bisogno dell’aiuto del mago Zed per nominare un nuovo Cercatore (che guarda
caso sarà Richard, un guardiano dei boschi che l’ha già aiutata), ossia un uomo
che si serva della spada della verità per contrastare l’avanzata delle armate
del cattivone di turno, Darken Rahl. Tutto questo potrebbe risultare molto
interessante, se nonché il continuo
utilizzo dello slowmotion per le scene di battaglia renda la visione quasi
noiosa nonostante ci siano dei rari momenti di ilarità che ricordano
vagamente “Hercules” e “Xena: Principessa Guerriera”, sempre dello stesso
regista Sam Raimi. Inoltre, i
romanzi presentano numerose scene di crudeltà, che ben si allontanano dal
prodotto televisivo che sembra far parte di un preciso format di programmi dal
sapore alquanto… commerciale. Ben diversa sarebbe stata la sua sorte se i
produttori avessero deciso per una serie più cruda, visto il recente successo
de “Il trono di Spade” ( “Game of
Thrones”), ispirato alle “Cronache del ghiaccio e del fuoco” (“A Song of Ice
and Fire”) di George R. R. Martin.
Che dire, spero che questa ultima
puntata vi sia piaciuta e abbia creato nuovi spunti sia per le vostre letture
che per i vostri momenti davanti al piccolo schermo. Io vi consiglio una
visione in lingua originale, perché alcune sfumature vengono a mancare nelle
traduzioni italiane, soprattutto se avete una buona dimestichezza con
l’inglese.
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