mercoledì 17 aprile 2013

Recensione: Sotto il cielo di Buenos Aires di Daniela Palumbo




Sotto il cielo di Buenos Aires - Daniela Palumbo

Angela Maria, Ines, Estela, Luna: giovani donne lontane, generazioni diverse, nomi tramandati di madre in figlia. Una donna e sua figlia, partite dall'Italia alla ricerca della fortuna in Argentina, incontrano lungo il percorso la crudele mano di una dittatura sanguinaria. Una bambina cresciuta troppo in fretta convive con la paura di ritrovare le sue vere origini e un fratello perduto. Una ragazza, in Spagna, dovrà ricostruire il rapporto con una madre distante e le proprie radici dimenticate. Storie migranti legate da un invisibile filo rosso che attraversa mezzo secolo e due continenti, in cui giovani donne in apparenza diverse e lontane, diventano protagoniste di alcuni dei momenti più difficili della storia contemporanea e prendono parte a un unico viaggio che si chiama "famiglia". Età di lettura: da 10 anni.
Editore: Mondadori
Pagine: 252
Prezzo: 15.00 €





Voto: 

Ho sempre considerato l'Argentina un paese molto affascinante: immenso, immoto nella vastità della pampa e brulicante nelle grandi città come Buenos Aires, una terra passionale di musica e di ballo, il celeberrimo tango che adoro. Ma l'Argentina non è fatta solo di tangueros e guachos e ha conosciuto anche momenti storici estremamente drammatici.
Quando ho iniziato a leggere “Sotto il cielo di Buenos Aires”, romanzo per ragazzi della giornalista e scrittrice Daniela Palumbo, tutto ciò che sapevo del dramma dei desaparecidos era vago e fumoso: negli anni '70 il paese era dominato da una feroce dittatura militare e i dissidenti scomparivano letteralmente nel nulla, dopo essere stati sequestrati e torturati. Ignoravo come il regime si fosse insediato e soprattutto ignoravo il dramma degli orfani e delle Abuelas di Plaza de Mayo. Grazie al bel libro della Palumbo sono venuta a conoscenza di un pezzo di storia terribile, di un dramma umano che ha colpito più generazioni, dalle nonne ai nipoti. Leggendo le vicende dei protagonisti ho pensato a come la letteratura contribuisca a mantenere vivi fatti e vicende e a rendere omaggio alle vittime, sottraendole all'oblio.
La storia ha inizio in Italia, nell'Abruzzo degli anni '50, dove vive Ines con i genitori Angela Maria e Antonio. La famiglia è a servizio presso alcuni signorotti locali: la vita è dura e non sembrano esserci né prospettive né possibilità di riscatto: il destino pare segnato e andare via, emigrare lontano è l'unica possibilità per sperare in una vita migliore. Grazie ad alcuni parenti già a Buenos Aires, i tre riescono a ottenere la “chiamata”, una sorta di autorizzazione al trasferimento, e a raggiungere così il nuovo continente. Non ho potuto non immedesimarmi in ciò che descrive la ragazzina durante la traversata: la fatica e l'insofferenza a viaggiare stipati in terza classe, la delusione nello scoprire che anche fra disperati ci si comporta male, l'emozione di sentire per la prima volta la voce del mare... e Daniela Palumbo ci racconta tutto questo proprio immaginando le lunghe lettere scritte da una dodicenne ai propri affetti lasciati in patria, con l'ingenuità, la freschezza e l'entusiasmo tipici di quell'età. Poi finalmente la nave approda in terra argentina e, nonostante le difficoltà iniziali, la vita sembra finalmente sistemarsi per il verso giusto, almeno fino al 1978 quando sembra che il destino torni a “chiedere il conto”. È proprio in quell'anno, infatti, che  ritroviamo Ines, ormai adulta, sposata, madre di Estela e Pablo e in attesa di un terzo figlio, ferma nella propria palese ostilità nei confronti del governo dei militari, che si rivelerà una condanna per lei e la sua famiglia. E proprio nel capitoletto “Il sequestro” scopro come si diventava desaparecidos: un'auto a fari spenti nella notte si ferma davanti alla casa designata, alcuni militari in borghese che “si arrampicano sui muri come ragni pelosi, per bloccare eventuali fuggiaschi” (pag. 123), e si portano via, disintegrandola, un'intera famiglia, lasciando come sola testimone una ragazzina, Estela. I capitoli seguenti ben descrivono i tanti aspetti agghiaccianti della vicenda dei desaparecidos: nessuno sapeva niente sulla fine dei sequestrati che parevano davvero spariti nel nulla, le madri e le nonne intraprendevano ogni tipo di iniziativa per sapere qualcosa dei figli, ma dai più venivano considerate pazze e rischiavano la repressione della polizia. Al gruppo della Abuelas (nonne in spagnolo) si aggiunge anche Angela Maria: Ines era incinta di 5 mesi al momento del sequestro e pure lei, come le altre nonne, vuole disperatamente sapere che fine avesse fatto il bambino. Era nato? Di fatto nessuno lo sapeva e la ricerca della verità era ormai l'unica ragione di vita per quelle donne.
Ci addentriamo ancora più profondamente nell'orrore dei desaparecidos con un ulteriore salto temporale fino al 1992, dove facciamo la conoscenza di due personaggi solo apparentemente nuovi: Marcela e Horacio. A prima vista (o forse dovrei dire lettura) sono solo due adolescenti tormentati, ma ben presto si intravede la ragione della loro angoscia. Arrivata a questo punto del libro, ho capito quale era la fine dei figli delle desaparecidas: venivano strappati dalle braccia delle madri e “ridistribuiti” alle famiglie dei militari. Ho volutamente utilizzato il termine “ridistribuiti” perché a un certo punto del libro la Palumbo fa pronunciare a uno dei personaggi secondari la parola “pacco”, alludendo all'arrivo in casa di uno di quei bambini.

(pag. 138)
La madre la sentiva appena, una curiosità si era affacciata negli occhietti stretti e premeva sulla lingue.
                    Ma tu lo sai come è questo... pacco? Magari non ti piace... - disse con una risatina di scherno.

Il passato però non si può né scordare né cambiare, quindi la doppia “identità” figli dei desaparecidos emerge comunque e non senza conseguenze sulla serenità e sulla vita futura dei due ragazzi, soprattutto di Marcela/Luna, dilaniata dalla consapevolezza di aver vissuto fino a quel momento in mezzo alle bugie. Fa impressione leggere quanto devastante sia una scoperta del genere e quanta ambivalenza ci possa essere in un adolescente, ancora comprensibilmente legato alla “famiglia” che l'ha cresciuto, anche se spesso si tratta degli stessi aguzzini che gli hanno impedito di crescere nella propria.
La vicenda si chiude quasi come un cerchio ai giorni nostri, dove ancora una volta è una ragazzina, Ines, la chiave di volta per riconciliare la storia di una famiglia, poter accantonare (per quanto possibile) i fantasmi del passato e riprendersi il diritto di credere nel futuro.
Devo fare i miei complimenti a quest'autrice, perché è riuscita in meno di 300 pagine a restituire al lettore un quadro verosimile di una vicenda che ancora non si può dire completamente superata (come ben descritto nell'interessante postfazione di Jorge Ithurburu, Referente in Italia delle Abuelas de Plaza de Mayo), descrivendo il dolore con un linguaggio lieve, non esasperato, adatto ai ragazzi molto giovani, un libro perfetto da leggere anche a scuola, se si usa ancora!
Per quanto mi riguarda, d'ora in poi, quando sentirò parlare di Argentina non penserò solo alla pampa e al tango...



Daniela Palumbo
Daniela Palumbo è nata a Roma nel 1965. Giornalista e scrittrice, ha cominciato a pubblicare libri per ragazzi nel 1998 con un testo sulla disabilità. Vive a Milano dove lavora per il mensile "Scarp de' Tenis", storico giornale di strada della Caritas Ambrosiana. Con il libro Le valigie di Auschwitz (Piemme) ha vinto i premi Battello a Vapore, Gigante delle Langhe, Laura Orvieto, Le Terre del Magnifico.

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