Salve a tutti, e benvenuti ad
un'altra puntata de “Il Tempio degli Otaku”! Almeno a casa mia, sembra finalmente arrivata la primavera, sostituendo un inverno durato un po' troppo a
lungo. Quale tempo migliore per fare una passeggiata, magari abbandonando le
automobili, e rilassarsi un attimo? Curioso poi che questa atmosfera si sposi
alla perfezione con l'opera di cui parliamo questa settimana; anzi, le due
opere. L'autore è sempre lo stesso, Jiro Taniguchi, di cui tanto abbiamo
parlato nel corso di questa rubrica, e il tema dei due manga è sempre lo
stesso: la poesia delle piccole cose. In uno si manifesta nel mangiare fuori
casa, nell'altro appunto girovagando senza meta, ma il risultato è sempre
uguale. Ecco a voi “L'Uomo che Cammina” e “Gourmet” di Jiro Taniguchi!
Nessuno dei due volumetti ha una
vera e propria trama, ed è anche per questo – oltre al fatto che effettivamente
in un'edizione sono stati raccolti insieme – che ho deciso di optare per la
doppia recensione. Ne “L'uomo che cammina” il protagonista, di capitolo in
capitolo, va in un diverso posto, a volte in compagnia, a volte da solo,
osservando con curiosità e estrema tranquillità tutto quello che incontra. In
“Gourmet” invece il protagonista, costretto a viaggiare frequentemente per
lavoro, si ritrova in ogni capitolo in un locale diverso, e quindi a dover
“affrontare” persone diverse a seconda dell'ambiente.
Pur condividendo un tema di fondo
simile, questi manga non sono uguali tra loro, anzi hanno delle
differenze stimolanti. Quella più lampante è la sceneggiatura, e non
solo perché quella di “Gourmet” - a dire il vero non eccezionale – non è
affidata a Taniguchi. In quest'ultimo manga, ad esempio, ci vengono comunicati
tutti i pensieri del nostro protagonista, che tra l'altro non perde occasione
per osservare e parlare gli altri clienti del locale prescelto. L'uomo che
cammina, invece, fa l'esatto contrario: comunica alla moglie che vuole fare una
passeggiata (e la risposta standard è un secco “Va bene”), qualche volta parla
al suo cane, punto.
Ho deciso di partire nell'analisi
da un fatto così di scarsa importanza perché secondo me è quello che mette più
in risalto il principale punto di contrasto dell'opera: i due personaggi
principali. Il primo è un uomo estremamente rilassato, con un sacco di
tempo libero a disposizione – forse un pensionato, anche se non sembra molto
vecchio – l'altro invece è un lavoratore indefesso, che pur amando il suo
lavoro è infastidito che spesso non trovi il tempo per mangiare come si deve.
L'uno esce di casa per piacere personale – portare a spasso il cane, prendere
un libro in biblioteca... - l'altro si fa guidare dal suo esigente stomaco da
un locale all'altro, prendendo la faccenda molto seriamente. L'uno è più
concentrato sull'ambiente che sulle persone, mentre l'altro è piuttosto
incuriosito dagli altri, anche se saziarsi è naturalmente la priorità.
In poche parole, sono due persone
completamente diverse, che però a sorpresa hanno una cosa in comune: un'estrema
curiosità nei confronti del mondo. Ciò è più evidente nell'uomo che
cammina, che non solo ha una grande cultura (lo vediamo più volte con un libro
in mano, in genere di architettura) ma si fa spesso prendere in contropiede
dalle piccole cose, come uno stormo di uccelli o un acquazzone improvviso. Questo
stupore, però, non porta mai alla rabbia o all'insoddisfazione: se il nostro si
trova sotto la pioggia senza un ombrello, ad esempio, questi continua a
camminare come se niente fosse, al limite mettendosi a correre fino al riparo
più vicino. Ma senza mai perdere quell'aria rilassata che lo contraddistingue,
quell'aria da persona che è soddisfatta della sua vita anche solo per il fatto
di essere vivo.
L'uomo che mangia – chiamiamolo
così – invece ha un modo più sotterraneo di esprimere il medesimo concetto.
Anche lui ama le cose semplici e la bella vita, ma a causa del suo lavoro
l'unico modo in cui lo può far vedere è la passione per il cibo. Uno stimolo
normale come lo stomaco che brontola diventa quasi una scusa per osservare il
mondo: un chioschetto isolato a Osaka – città di cui si dice che gli abitanti
siano piuttosto stupido – gli mostra gente volgare, un locale isolato in
campagna lo fa preoccupare per il vecchietto solitario che lo gestisce, un
ristorante di pesce gli fa conoscere delle signore che prima si ingozzano di
pesce e poi fanno le splendide davanti a mariti e figli dicendo che non hanno
fame, ecc. ecc. Non avesse il mestiere di venditore che lo fa girare in lungo e
in largo, probabilmente anche il nostro uomo sarebbe felice come quello dell'altra
storia, e senza dubbio si godrebbe una vita più tranquilla: ma non potendo
rinunciare al lavoro, il cibo diventa l'unico momento tutto per sé, in cui
finalmente può fare quello che vuole.
Come avrete capito, questi non
sono i tipici manga tutti azioni e fanservice a cui purtroppo siamo abituati:
sono più di nicchia, meno improntati all'intrattenimento e più alla
riflessione. Nonostante la scarsità di dialoghi, ad esempio, “L'uomo che
cammina” ha un ritmo molto lento, che può rendere difficoltosa, e alle volte
noiosa, la lettura: come una pellicola al rallentatore, le vignette non
esprimono azioni fluide, ma movimenti talmente lenti da sembrare quasi statici.
Lo stesso si può dire di “Gourmet”, le cui cadenze veloci della sceneggiatura
servono a poco quando si pensa che il momento clou dei capitoli è, senza giri
di parole, vedere una persona che mangia. Tra i due, comunque, è “L'uomo che
cammina” il più ostico, ed il protagonista di certo non aiuta. Personalmente,
non ho potuto fare a meno di chiedermi come facesse ad avere così tanto tempo
libero, e capirete che questo ha spezzato molto la magia dell'opera. Inoltre,
la sua tranquillità è così immutabile da risultare, a momenti, quasi irritante.
E' più facile comprendere il protagonista di “Gourmet”, la cui vita è senza
dubbio più realistica.
Difficile dire qualcosa sul tratto
di Taniguchi che non sia già stato detto e ridetto, alle volte anche da me.
Tuttavia in queste due opere il nostro dà il meglio di sé, mostrando in maniera
lampante tutte le sue doti artistiche: un ottimo intuito per le inquadrature da
usare, dando così un'impronta molto cinematografica alla storia. Le tavole sono
costruite nei minimi dettagli: non ci sono errori di prospettive, gli sfondi
sono tutti presenti e disegnati in maniera realistica, i retini vengono usati
soltanto quando ce n'è bisogno – e credetemi, non sono cose scontate. Menzione
d'onore per “Gourmet”: vi sfido a non provare fame di fronte a quei cibi...
… E per oggi è tutto, cari amici:
arrivederci alla prossima volta, con “Il Tempio degli Otaku”!
Ho letto entrambi i volumetti, nonostante non siano nei miei gusti, e mi sono piaciuti :) Personalmente preferisco "Gourmet", e, giuro, mi fa venire una fame terribile.
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