venerdì 19 aprile 2013

Il tempio degli otaku #85: "L'uomo che cammina" e "Gourmet"





Salve a tutti, e benvenuti ad un'altra puntata de “Il Tempio degli Otaku”! Almeno a casa mia, sembra finalmente arrivata la primavera, sostituendo un inverno durato un po' troppo a lungo. Quale tempo migliore per fare una passeggiata, magari abbandonando le automobili, e rilassarsi un attimo? Curioso poi che questa atmosfera si sposi alla perfezione con l'opera di cui parliamo questa settimana; anzi, le due opere. L'autore è sempre lo stesso, Jiro Taniguchi, di cui tanto abbiamo parlato nel corso di questa rubrica, e il tema dei due manga è sempre lo stesso: la poesia delle piccole cose. In uno si manifesta nel mangiare fuori casa, nell'altro appunto girovagando senza meta, ma il risultato è sempre uguale. Ecco a voi “L'Uomo che Cammina” e “Gourmet” di Jiro Taniguchi!

Nessuno dei due volumetti ha una vera e propria trama, ed è anche per questo – oltre al fatto che effettivamente in un'edizione sono stati raccolti insieme – che ho deciso di optare per la doppia recensione. Ne “L'uomo che cammina” il protagonista, di capitolo in capitolo, va in un diverso posto, a volte in compagnia, a volte da solo, osservando con curiosità e estrema tranquillità tutto quello che incontra. In “Gourmet” invece il protagonista, costretto a viaggiare frequentemente per lavoro, si ritrova in ogni capitolo in un locale diverso, e quindi a dover “affrontare” persone diverse a seconda dell'ambiente.

Pur condividendo un tema di fondo simile, questi manga non sono uguali tra loro, anzi hanno delle differenze stimolanti. Quella più lampante è la sceneggiatura, e non solo perché quella di “Gourmet” - a dire il vero non eccezionale – non è affidata a Taniguchi. In quest'ultimo manga, ad esempio, ci vengono comunicati tutti i pensieri del nostro protagonista, che tra l'altro non perde occasione per osservare e parlare gli altri clienti del locale prescelto. L'uomo che cammina, invece, fa l'esatto contrario: comunica alla moglie che vuole fare una passeggiata (e la risposta standard è un secco “Va bene”), qualche volta parla al suo cane, punto.
Ho deciso di partire nell'analisi da un fatto così di scarsa importanza perché secondo me è quello che mette più in risalto il principale punto di contrasto dell'opera: i due personaggi principali. Il primo è un uomo estremamente rilassato, con un sacco di tempo libero a disposizione – forse un pensionato, anche se non sembra molto vecchio – l'altro invece è un lavoratore indefesso, che pur amando il suo lavoro è infastidito che spesso non trovi il tempo per mangiare come si deve. L'uno esce di casa per piacere personale – portare a spasso il cane, prendere un libro in biblioteca... - l'altro si fa guidare dal suo esigente stomaco da un locale all'altro, prendendo la faccenda molto seriamente. L'uno è più concentrato sull'ambiente che sulle persone, mentre l'altro è piuttosto incuriosito dagli altri, anche se saziarsi è naturalmente la priorità.

In poche parole, sono due persone completamente diverse, che però a sorpresa hanno una cosa in comune:  un'estrema curiosità nei confronti del mondo. Ciò è più evidente nell'uomo che cammina, che non solo ha una grande cultura (lo vediamo più volte con un libro in mano, in genere di architettura) ma si fa spesso prendere in contropiede dalle piccole cose, come uno stormo di uccelli o un acquazzone improvviso. Questo stupore, però, non porta mai alla rabbia o all'insoddisfazione: se il nostro si trova sotto la pioggia senza un ombrello, ad esempio, questi continua a camminare come se niente fosse, al limite mettendosi a correre fino al riparo più vicino. Ma senza mai perdere quell'aria rilassata che lo contraddistingue, quell'aria da persona che è soddisfatta della sua vita anche solo per il fatto di essere vivo.
L'uomo che mangia – chiamiamolo così – invece ha un modo più sotterraneo di esprimere il medesimo concetto. Anche lui ama le cose semplici e la bella vita, ma a causa del suo lavoro l'unico modo in cui lo può far vedere è la passione per il cibo. Uno stimolo normale come lo stomaco che brontola diventa quasi una scusa per osservare il mondo: un chioschetto isolato a Osaka – città di cui si dice che gli abitanti siano piuttosto stupido – gli mostra gente volgare, un locale isolato in campagna lo fa preoccupare per il vecchietto solitario che lo gestisce, un ristorante di pesce gli fa conoscere delle signore che prima si ingozzano di pesce e poi fanno le splendide davanti a mariti e figli dicendo che non hanno fame, ecc. ecc. Non avesse il mestiere di venditore che lo fa girare in lungo e in largo, probabilmente anche il nostro uomo sarebbe felice come quello dell'altra storia, e senza dubbio si godrebbe una vita più tranquilla: ma non potendo rinunciare al lavoro, il cibo diventa l'unico momento tutto per sé, in cui finalmente può fare quello che vuole.
GourmetCome avrete capito, questi non sono i tipici manga tutti azioni e fanservice a cui purtroppo siamo abituati: sono più di nicchia, meno improntati all'intrattenimento e più alla riflessione. Nonostante la scarsità di dialoghi, ad esempio, “L'uomo che cammina” ha un ritmo molto lento, che può rendere difficoltosa, e alle volte noiosa, la lettura: come una pellicola al rallentatore, le vignette non esprimono azioni fluide, ma movimenti talmente lenti da sembrare quasi statici. Lo stesso si può dire di “Gourmet”, le cui cadenze veloci della sceneggiatura servono a poco quando si pensa che il momento clou dei capitoli è, senza giri di parole, vedere una persona che mangia. Tra i due, comunque, è “L'uomo che cammina” il più ostico, ed il protagonista di certo non aiuta. Personalmente, non ho potuto fare a meno di chiedermi come facesse ad avere così tanto tempo libero, e capirete che questo ha spezzato molto la magia dell'opera. Inoltre, la sua tranquillità è così immutabile da risultare, a momenti, quasi irritante. E' più facile comprendere il protagonista di “Gourmet”, la cui vita è senza dubbio più realistica.

Difficile dire qualcosa sul tratto di Taniguchi che non sia già stato detto e ridetto, alle volte anche da me. Tuttavia in queste due opere il nostro dà il meglio di sé, mostrando in maniera lampante tutte le sue doti artistiche: un ottimo intuito per le inquadrature da usare, dando così un'impronta molto cinematografica alla storia. Le tavole sono costruite nei minimi dettagli: non ci sono errori di prospettive, gli sfondi sono tutti presenti e disegnati in maniera realistica, i retini vengono usati soltanto quando ce n'è bisogno – e credetemi, non sono cose scontate. Menzione d'onore per “Gourmet”: vi sfido a non provare fame di fronte a quei cibi...

… E per oggi è tutto, cari amici: arrivederci alla prossima volta, con “Il Tempio degli Otaku”!

1 commento:

  1. Ho letto entrambi i volumetti, nonostante non siano nei miei gusti, e mi sono piaciuti :) Personalmente preferisco "Gourmet", e, giuro, mi fa venire una fame terribile.

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