martedì 23 aprile 2013

Francesco Maino si aggiudica il Premio Calvino



Si è da poco conclusa la XXVI edizione del premio Italo Calvino (qui la XXV), che quest'anno -in linea con la costante crescita degli esordienti – ha contato ben 570 manoscritti inediti pervenuti alla giuria.
Il premio è stato istituito nel 1985 a Torino, in onore dello scrittore omonimo, è aperto a qualsiasi categoria ed è gestito da un'associazione senza scopo di lucro. L'idea è quella di aiutare giovani e meritevoli scrittori a farsi conoscere dall'editoria e dal pubblico dei lettori.

Durante la cerimonia di premiazione, svoltasi il 19 aprile a Torino, la giuria -composta da Irene Bignardi, Maria Teresa Carbone, Matteo Di Gesù, Ernesto Ferrero e Evelina Santangelo- ha messo sul podio Cartongesso, il testo di Francesco Maino:

per la sua natura felicemente ibrida (non è un romanzo né un saggio né un pamphlet) ‒ un difficile azzardo che nulla toglie alla sua capacità di coinvolgimento ‒ e per la straordinaria potenza inventiva della lingua.” (fonte: premiocalvino.it)

Una menzione speciale è stata riservata a I costruttori di ponti di Simona Rondolini: la protagonista, di famiglia altoborghese ‒ un perfetto esempio del complesso di Elettra: ama il padre e odia la madre ‒, realizza dapprima una full immersion nella musica di Mahler eseguita dal padre direttore d’orchestra, per poi annullarsi in una macabra esperienza lavorativa ‒ resa con icastica e allucinata evidenza ‒ in un’azienda che tratta carne di coniglio. Solo alla fine riuscirà a recuperare un incerto e fragile equilibrio.

Come fossi solo di Marco Magini ha ottenuto la seconda menzione speciale: ci precipita nell’incubo del massacro di Srebrenica, raccontato da tre personaggi: un giudice del Tribunale penale internazionale, un soldato olandese del contingente Onu di interposizione, un miliziano serbo-bosniaco. La forza del libro è nella materia stessa e nell’abilità dell’autore di penetrare nelle tre psicologie con somma sinteticità; riuscitissima la rappresentazione della violenza etnica, cui tutti sembrano destinati a subordinarsi, in un vortice di ataviche pulsioni e di cedimenti della volontà. Anche qui, comunque, è in scena un’umanità mentalmente fragile e indifesa, pronta a discendere la china dell’autodissolvimento e della rinuncia a scegliere.

Potete trovare gli altri finalisti e la trama delle loro opere sul sito del Premio Calvino.


Cartongesso - Francesco Maino
Testo di grande originalità, non propriamente definibile romanzo, ma sicuramente opera letteraria. E un'invettiva viscerale e drammatica, dai toni profetici (non a caso viene citato l'Ecclesiaste), ricchissima e creativa sul piano del linguaggio (una mescolanza tra italiano colto e "grezzo" veneto) contro l'essenza e la realtà del Veneto attuale (una sorta di "waste land"), un'invettiva che ne aggredisce la mutazione antropologica e ambientale, allargandosi peraltro all'Italia intera, alla sua classe politica, alle sue carceri, alla sua giustizia, al suo sistema universitario... Questo grido doloroso, violento e sarcastico, da un certo momento in poi, si intreccia, fondendovisi, con la condizione esistenziale dello stesso autore/narratore.
Un’invettiva, come si e detto, ma anche un congedo che l'autore mette in atto mascherandosi dietro la figura di Michele Tessari, un avvocato quarantenne affetto da disturbo bipolare, male che ben metaforizza il lancinante odio-amore provato per la propria terra. La rampogna impietosa fa infatti emergere, per converso, il grande amore per un passato temporalmente vicino, ma lontano
anni-luce, nello spirito, dall'oggi. Tutto ciò rende il vituperante autore/narratore ‒ che guarda i veneti "cogli occhi dell'angelo annunciatore", naturalmente di disgrazia ‒ incapace di divincolarsi, incapace di cercare un altrove. Questo avvocato, che avvocato non vorrebbe essere, percorre incessantemente, come un criceto impazzito, i cinquanta chilometri fitti di moribondi capannoni, che separano Venezia ‒ la Serenissima, vista non come cartolina artistica, ma come sede
dell'"infetto" tribunale in cui il protagonista talvolta lavora ‒ da Insaponata di Piave (in realtà, San Dona di Piave), dove ha lo studio-monolocale-carcere in cui vive.
Il suo odio profondo si scaglia contro tutto ciò che il Veneto e diventato, passando rapidamente da una condizione di miseria e lotta per la sopravvivenza ad una ricchezza senza cultura, i cui unici valori sono, ovviamente, la pecunia, la villetta, il suv, ma anche il cibo nostrano, il "bianchetto alle nove del mattino". Il nuovo umanesimo e "l'umanesimo della mescita, il rinascimento dell'aperitivo". Il culto delle radici e dell'identità, come si intuisce, viene marchiato come strumento
di omologazione, all'interno, e di esclusione, verso l'esterno: ecco cosa significa essere "paroni a casa nostra".
In tale contesto soprattutto la lingua si e corrotta: "Persa la lingua, ossia i dialetti, oggi a Insaponata si parla il grezzo, un idioma tecnico para-dialettale di consumo, privo di bellezza indigena, totalmente impreciso, perennemente impreciso, involgarito dalla cantilena locale, buono solo per la sopravvivenza dei consumi di massa, ma senza anima, forza evocativa e un minimo di poetica. Il grezzo e diventato la lingua ufficiale dello stato etnico del Mesovenetorientale." E a tale lingua guasta l'autore fa il verso nella sua scrittura.
Il senso di un fallimento totale e apocalittico pervade il libro. Unica sicurezza, la madre, che non basta, pero, a salvare il narratore/autore da un suicidio che e insieme reale e metaforico. Il cartongesso del titolo e cosi il compendio del "venetismo" attuale: un materiale fasullo, senza storia, sfaldabile, vile.

Francesco Maino è nato nel 1972 a Motta di Livenza, nella Marca Trevigiana. Oggi risiede a San Donà di Piave e fa l'avvocato penalista a Venezia. Tra carceri e tribunali, ha spesso la possibilità di frequentare una variegata e policroma umanità. Insegna diritto, alcune ore la settimana, ad un corso regionale per estetiste. Prima di esercitare l'avvocatura è stato aiuto necroforo per una ditta di onoranze funebri.

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