lunedì 22 aprile 2013

Recensione: Barbablù di Amélie Nothomb




Barbablù – Amélie Nothomb
La belga Saturnine cerca un alloggio a Parigi, e dopo varie ricerche sembra capitarle un colpo di fortuna: Grande di Spagna don Elemirio Nibaly Milcar le offre la possibilità di condividere il suo alloggio ad un prezzo irrisorio.
L'uomo è piuttosto stravagante, come dimostra ad esempio la scelta di affittare la casa soltanto a giovani donne, ma altrettanto ricco. Innamorato sin da subito di Saturnine, non si fa infatti scrupoli a farle sontuosi regali: lei però non si fida. Cosa ne è stato, infatti, delle sette precedenti coinquiline, di cui non si hanno più notizie? E cosa nasconde il passato di Don Elmirio?
Editore: Voland
Pagine: 112
Prezzo: 14,00 euro








Voto: 



Chi scrive questa recensione ha avuto molti incontri ravvicinati con Amélie Nothomb, alcuni decisamente a buon fine, altri meno. Uno dei luoghi comuni più in voga nell'arte è che le ultime opere non siano mai all'altezza dei primi lavori, e purtroppo la nostra sembra confermare questa diceria. Saranno i ritmi da stacanovista – almeno un romanzo l'anno, senza contare tutti gli scarti rimasti nei cassetti - sarà il mestiere, ma spesso i suoi ultimi lavori mi hanno lasciato l'amaro in bocca al momento della lettura. Ad eccezione di “Una forma di vita”, salvato dall'elemento autobiografico, abbiamo nell'ordine un ottimo spunto sprecato tra un bicchiere di champagne e l'altro (Causa di forza maggiore), una storia a base di allucinogeni e progetti omicidi (Il viaggio d'inverno), ed un tentativo di rinnovarsi che però non dà i risultati sperati (Uccidere il padre). Come si pone “Barbablù”, la sua ultima fatica, in questo trend negativo?

La belga Saturnine cerca un alloggio a Parigi, e dopo varie ricerche sembra capitarle un colpo di fortuna: Grande di Spagna don Elemirio Nibaly Milcar le offre la possibilità di condividere il suo alloggio ad un prezzo irrisorio.
L'uomo è piuttosto stravagante, come dimostra ad esempio la scelta di affittare la casa soltanto a giovani donne, ma altrettanto ricco. Innamorato sin da subito di Saturnine, non si fa infatti scrupoli a farle sontuosi regali: lei però non si fida. Cosa ne è stato, infatti, delle sette precedenti coinquiline, di cui non si hanno più notizie? E cosa nasconde il passato di Don Elemirio?

“Barbablù” è il ventesimo romanzo pubblicato dalla Nothomb, e non è da escludersi che questo sia stato un fattore importante nel rendere il libro così come lo conosciamo. Un aficionado della scrittrice belga infatti riconoscerà tra le pieghe della storia diversi elementi familiari. Ad esempio l'impostazione della trama ricorda molto da vicino quella di “Igiene dell'assassino”, suo primo romanzo. E così via per altre minuzie, la più evidente delle quali è lo smodato uso di champagne da parte dei protagonisti, esattamente come nel sopraccitato “Causa di forza maggiore”. Francamente non si capisce quanto siano piazzate lì volontariamente – d'altronde la Nothomb si autocita, anche in maniera sfacciata, molto spesso – e quanto no. In ogni caso questa autoreferenzialità non inficia minimamente il libro nel suo svolgimento.

Andando nello specifico nel romanzo, non esiste una vera e propria trama degna di questo nome, a tal punto che si potrebbe quasi portarla in teatro senza dover effettuare pesanti cambiamenti di sceneggiatura. A parte il capitolo iniziale ed altre scene sparse “Barbablù” è fatto esclusivamente da dialoghi. Saturnine ed Elemirio non fanno altro che parlare, letteralmente: i gesti che compiono durante le conversazioni non vengono descritti ma si intuiscono soltanto dalle battute. Le loro sono vere e proprie schermaglie verbali – anche qui da intendersi in senso letterale - che impiegano tutte le energie di chi le fa, di chi le scrive e di chi le legge. Sopratutto nella prima parte, infatti, può essere difficile mantenere costante la concentrazione e non spazientirsi di fronte a quello che sembra, anche se non è, un unico dialogo. Come in un incontro di boxe che si protrae particolarmente per le lunghe, soltanto poche righe all'inizio dei capitoli fanno da pausa per tirare il fiato e riprendere con un altro round.
Vi chiederete di cosa parlino esattamente Saturnine ed Elemirio per tutto questo tempo. Tanto per cominciare, il nodo centrale della trama viene introdotto sin da prima del loro incontro. Saputa questa informazione tutto il romanzo è speso in come questa influenzi il rapporto tra i due protagonisti. Elemirio è quello che detta i ritmi, sia dando le sue spiegazioni sull'accaduto sia cercando di sedurre la nostra eroina. Ma le apparenze ingannano: davvero i ruoli sono così ben definiti?

E' un po' difficile parlare di introspezione psicologica con un intreccio così scarso, ma vale la pena provarci. La scelta di tagliare tutti gli orpelli, infatti, si dimostra sulla lunga distanza azzeccata, perché mette in risalto soltanto la coppia protagonista.
Saturnine è quella che ne beneficia di più. Per una buona metà del romanzo è fermissima sulle sue posizioni, totalmente insensibile agli incantesimi del mostro: non si fa né ingannare dalle sue belle parole né tanto meno spaventare dalla situazione, in uno spirito di sacrificio che forse sorprende anche se stessa. A proposito, qualcuno potrebbe vedere delle somiglianze tra lei e Pannonique, l'imperturbabile protagonista di “Acido Solforico” (naturalmente sempre della Nothomb), e non ha tutti i torti. Tuttavia un certo avvenimento scuote la sua sicurezza, facendola vacillare non poco. Al lettore il piacere di scoprire come risolverà l'impasse.
Elemirio invece non compie un tale percorso psicologico. E' assolutamente sincero ed assolutamente radicato su una morale che definire deviata è un eufemismo, costituita in egual modo da follia, valori cristiani ed attaccamento alla propria nazione d'origine. La non-trama avrà i suoi effetti anche su di lui, ma fino ad un certo punto.

Lo stile di Amélie Nothomb è funzionale alle esigenze della storia, e si mantiene sempre sugli ottimi livelli che i suoi lettori abituali conoscono bene. Le descrizioni sono dosate con il contagocce, non c'è una sola scena mostrata invece che raccontata: le intrusioni del narratore nella vicenda sono minime, come se essa si facesse da sola. Il linguaggio, invece, è piuttosto ricercato, come dimostra la scelta di termini come “rodomontate”, sebbene la struttura semplice delle frasi impedisca che diventi troppo pesante.

“Barbablù” non è tra i migliori romanzi di Amélie Nothomb, in quanto i troppi richiami ad altri romanzi – e i dialoghi alle volte un po' troppo pesanti – gli impediscono di stare del tutto in piedi da solo. Tuttavia, rispetto alle sue opere più recenti, è un deciso passo avanti. E' ancora presto per capire se questo risultato positivo è passeggero o destinato a durare, tuttavia fa ben sperare per il futuro.

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