E’ di un ritorno primigenio che
parla il film Quando la notte di
Cristina Comencini, una regressione quasi primordiale alle figure di uomo e
donna e alle sfere contrapposte di due universi che si sfiorano, si
compenetrano e si allontanano, rimanendo tuttavia indissolubilmente legate. Marina
(Claudia Pandolfi) è un donna forte e bella, madre di un bambino sofferente che non può soggiornare
al mare e ha difficoltà anche in montagna. Lasciata dal marito sola in vacanza,
subisce lo scontro con il burbero Manfred (Filippo Timi) che prova una forte
avversione per le donne, conseguenza dell’abbandono da parte della madre quando
era piccolo. Le loro personalità, opposte e ferree, cozzano e si attraggono, sullo
sfondo di un ambientazione brulla e aspra che la Comencini si preoccupa
di curare: la montagna e la piccola comunità, nucleo chiuso e compatto dove le
chiacchiere rumoreggiano e rimbalzano. Marina è una madre affettuosa ma i
problemi di salute del figlio, che si sveglia la notte in preda a pianti
isterici, mettono alla prova i suoi nervi. E’ durante una di queste notti che la
loro vita cambierà per sempre: Manfred, che abita al piano inferiore a quello
di Marina, sente improvvisamente il bambino smettere di piangere dopo un colpo
secco e lei urlare. Precipitandosi nell’appartamento troverà il piccolo Marco gravemente
ferito alla testa, e lo porterà in ospedale. La verità sembra spaventosa ma
Manfred premerà per venirne a capo: la confessione di Marina avviene mentre l’uomo,
avuto un incidente che lo lascerà claudicante a vita, si trova in ospedale. Il
legame tra madre e figlio non deve essere sciolto, anche laddove rappresenta un
sottile tagliente filo che lei ha usato dalla parte pericolosa. E Manfred
mantiene il segreto, allontanandosi definitivamente da Marina ma rimanendo
legato a lei –anche a distanza di quindici anni- da questa verità
inconfessabile.
Le tematiche forti della
Comencini –presenti prima nel libro da lei scritto, dopo nella trasposizione
cinematografica- pesano gravemente sulla coscienza dello spettatore: l’aspetto
nevrotico della maternità e della sua solitudine viene riscoperto nei lati più
oscuri e torbidi, così come la scelta di Manfred di non denunciare l’accaduto pone
seri interrogativi sulla moralità di quest’azione, compiuta in nome di un
legame inestinguibile e indissolubile, lo stesso che a lui è stato negato.
Inquietante è soprattutto la
riflessione sull’instabilità del tutto umana della protagonista, in cui molte
madri, pur non ammettendolo, potrebbero riconoscersi. Il film della Comencini
vuole appunto sottolineare, spingendo magistralmente nel baratro del dubbio,
quanto il sentimento ambivalente tra madre e figlio possa essere spinto al
limite.
Non meno importante –anzi,
predominante- è la soffocante ambientazione montana, per cui è stato scelto il paesino di Macugnaga sul Monte Rosa. Una location che ha messo in serie
difficoltà la troupe della regista, impegnata a girare in luoghi difficili
fisicamente da raggiungere, tanto da rendere necessario l’uso di un elicottero.
L’interpretazione nervosa di Tomi
rende pregnante un personaggio silenzioso e scontroso, mentre la morbida
femminilità della Pandolfi contrasta con le scene notturne di isterica gravità.
I dialoghi asciutti, i gesti rigidi, la scenografia rude rendono il film pieno
di significato.
Quando la notte, aspramente criticato al festival di Venezia ma
accolto molto positivamente dal pubblico, ha persino rischiato la censura ai
minori di quattordici anni, per la tematica della violenza –che nel film non è
comunque ripresa- di una madre sul figlio. Uscito lo scorso 28 ottobre, lo
troverete nelle sale italiane con il peso della sua agghiacciante normalità.
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