Voto:
“Le emozioni difettose” non era
il titolo adatto per il romanzo di Laurie Halse Anderson, autrice di
Wintergirls e del fortunato Speak, da cui è stato tratto un film con Kerstin
Stewart.
Catalyst (questo il titolo originale) di emozioni ne ha ben poche,
esattamente come la sua frigida e asettica protagonista, Kate. Piccolo genio
della chimica, orfana di madre e figlia di un reverendo che dimentica di essere
un padre presente, Kate Malone ha un solo scopo nella vita: andare al MIT, il
Massachussetts Institute of Technology. Quello che non è un semplice desiderio (ma
una volontà ferrea e morbosa) diviene pericolosamente ossessiva a causa della
folle decisione di non scegliere altri college a cui iscriversi. Kate vive
quindi giorni di forte tensione aspettando la lettera di ammissione, una
tensione che scarica correndo, bruciando suole e polmoni in un atto quasi autolesionista.
Al centro dei pensieri di Kate c’è
quindi esclusivamente se stessa, Il MIT, se stessa (x2) e di nuovo il MIT.
Pensieri felici, pensieri felici. MIT, MIT, MIT. Il mio pianeta. La mia
gente. Mi vedo aprire la busta: <<Siamo lieti di informarla…>>. Mi
vedo fare jogging nel campus di Cambridge, entrare nel laboratorio di chimica e
indossare gli occhiali di protezione e il mio camice, perfettamente inamidato,
taglia S.
Mi ammetteranno. Devono farlo. Non ci sono altre possibilità.
A turbare il quieto (e noioso)
vivere di Kate è Teri Litch, una compagna di scuola verso cui esiste una
reciproca antipatia –da piccole “giocavano” alla parte del carnefice e della
vittima- che, andata a fuoco la casa, va a vivere con lei insieme al fratellino
di tre anni per intercessione del reverendo Malone. Da questo fastidio,
occasione di confronto con una nuova realtà, Kate non impara pressoché nulla. Ancora
una volta il suo unico pensiero è il MIT che, si scopre, ha frequentato anche
la madre. Eppure dei sentimenti verso questa figura precocemente scomparsa,
accennata come se fosse una zia lontana e a cui non vengono dedicate più di
poche righe, non si parla.
Le emozioni di questo romanzo, in
sostanza, tacciono. La loro descrizione, che rimane abbozzata, non basta a
trasmettere delle forti impressioni sul lettore. Sembra anzi che l’apatia di
Kate coinvolga anche chi legge il romanzo, così che, essendo la narrazione
interamente incentrata nella testa della ragazza, risulta noioso e statico fino
al punto di svolta (ovvero a 2/3 del libro). Quando finalmente ci aspettiamo un
risvolto emotivo, però, questo non arriva e Kate continua ad avere per la testa
il MIT. Non importa quello che le succede intorno, non le importano le
tragedie, gli errori umani, la morte e la vita: lei deve andare al MIT. Non vi
è quindi una crescita da parte della protagonista, che alla fine deciderà
finalmente di fermarsi e prendere una pausa (“Ho corso troppo. Le mie gambe
hanno bisogno di riposo”) non –secondo me- per libera scelta, ma perché
costretta dagli eventi.
Facendo un paragone con
Wintergirls (decisamente superiore) mi sono accorta che l’errore della Anderson
è stato quello di voler introdurre un’altra protagonista, Teri Litch. E’
innegabile che sia una figura centrale, ma, poiché la narrazione è affidata all’egocentrica
Kate, non le viene lasciato spazio ed il romanzo perde un’occasione di
approfondimento. A differenza di Wintergirls, in cui unici protagonisti sono Lia
e i suoi disturbi alimentari, Le emozioni
difettose sposta infatti malamente l’attenzione su un’altra figura, senza
darle però modo di parlare e di esprimere adeguatamente rabbia e dolore. Questo
non fa altro che rafforzare l’impressione di una storia superficiale, scritta
male e piena di particolari superflui – elementi che rispecchiano la
personalità di Kate.
Il binomio realtà-apparenza (la Kate buona e la Kate cattiva di cui leggiamo
nel retro del romanzo) viene anch’esso tralasciato e non porta a nessun punto
utile. La nostra rimane quindi ingabbiata dentro se stessa, dentro la Kate cattiva che finge di
essere una Kate buona, senza che peraltro questo aspetto subisca una maggiore indagine:
un altro esempio di superficialità ed occasioni sprecate.
I personaggi secondari subiscono
la stessa sorte, lo stile ogni tanto regala qualche sporadica perla, ma rimane
per lo più piatto e lineare come la trama. Uno young adult che non fornisce
spunti positivi ed educativi ma che si affossa, assieme alla sua protagonista,
in un circolo soffocante e vizioso, alla cui fine sarete morti di noia o di
depressione.
Concordo con tutto quello scritto nella tua recensione.
RispondiEliminaPurtroppo il libro non mi ha preso per nulla nonostante le speranze che vi avevo riposte!
Purtroppo è un romanzo molto vuoto e per lo più sterile, forse a causa della stessa protagonista
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