venerdì 25 novembre 2011

Il tempio degli Otaku: Trentanovesimo appuntamento "Cowboy Bepop"


A cura di Surymae Rossweisse


Ciao a tutti, e benvenuti ad un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Oggi parliamo di anime; la serie di questa settimana è della seconda metà degli anni '90, ma per ambientazioni, impostazione, ecc. quasi non sembrerebbe. Mentre tante sue coetanee – Neon Genesis Evangelion, ad esempio, o “La rivoluzione di Utena”, di cui abbiamo anche parlato – cercavano di rompere gli schemi e staccarsi dal passato con l'inserimento di tematiche delicate, simbologie complesse e tanta psicanalisi, questa invece percorre il percorso opposto, con una fierezza ed una tenacia ammirevole. Non stupitevi, quindi, se accanto a viaggi interplanetari troverete un'ambientazione da Far West, e nemmeno se la colonna sonora pesca a piene mani dal jazz, genere che di solito non viene molto utilizzato negli anime. Non ci fate caso, per carità, e prendete così come viene quest'anime: “Cowboy Bebop”, diretto da Shinichiro Watanabe. Buona lettura (e visione)!

Siamo nell'anno 2071. Per colpa di un disastro interspaziale la Terra è diventata praticamente inabitabile, ma i (pochi) sopravvissuti non si sono scoraggiati, decidendo di emigrare nei pianeti del sistema solare, Marte in primis. Sono passati quasi cinquant'anni dall'incidente, ed ormai la tecnologia rende perfettamente agibile la vita nello spazio.
A queste innovazioni, però, si abbina una cosa che non cambierà mai: la criminalità. Per combatterla l'ISSP (Inter Solar System Police) ripristina il vecchio sistema delle taglie usato nel Far West. L'anime segue le varie avventure di un gruppo di cacciatori di taglie. All'inizio i componenti sono solo due: il nerboruto Jet Black, ex poliziotto, e lo stravagante Spike Spiegel, che tra le altre cose odia gli animali, le donne ed i bambini. Indovinate chi saranno gli altri che si uniranno al gruppo? Naturale: un animale – il cane Ein – una donna, l'avida Faye Valentine, ed un bambino, il genietto Edward (che a dispetto del nome è una femminuccia). Tutti insieme i cinque daranno la caccia ai più disparati criminali, tra tanti fallimenti e, soprattutto, i loro tragici passati...

L'anime è formato da ventisei episodi, quasi tutti autoconclusivi – a parte alcuni, collegati fra loro. Ho già avuto modo di dire la mia sul formato autoconclusivo, anche se allora parlavo di manga. Ma siccome voglio occupare più spaz... ehm, è sempre meglio rinfrescarsi la memoria, tanto vale ripeterlo. In breve, il gioco è bello quando dura poco. E' un formato pericoloso, perché il suo essere indefinito lascia spazio a tantissime divagazioni: la trama principale – spesso frammentaria, come in  questo caso – può essere interrotta tutte le volte che si vuole. In fondo, finito un episodio non se ne parla più, quindi l'economia della storia non ne viene molto scalfita.
Magari gli sceneggiatori avevano pensato a tutto questo, perché “Cowboy Bebop” è una serie abbastanza breve. Il formato autoconclusivo, per una volta, non solo non è un ostacolo, ma si dimostra anche l'unico disponibile: non annoia, e considerato l'argomento si presta bene alla sinossi. Non temete: ci sarà anche spazio per parlare di cose serie, come ad esempio i passati dei protagonisti.
Un'altra delle cose più evidenti di “Cowboy Bebop” - e che lo rendono unico nel suo genere – è l'ambientazione, sempre in bilico tra passato e futuro. E' vero che siamo nel 2071, eppure i nostri cacciatori di taglie vedranno posti simili a quelli che noi del 2011 conosciamo bene: ampie distese sabbiose di terra interrotte soltanto da strade deserte, casinò, e persino dei lunapark – con delle mascotte che assomigliano parecchio alle creazioni di Walt Disney. Tutto questo, però, visto dagli occhi di navicelle spaziali: ed è qui che sta la principale differenza. Persino le armi da loro utilizzate sono delle comuni pistole, uguali in tutto e per tutto a quelle di oggi. Ma nessuno di loro sa che cos'è, ad esempio, una videocassetta. Questo, per qualcuno, potrebbe essere un difetto: o la serie è ambientata ai giorni nostri oppure nel futuro. Eppure, strano a dirsi, il mix è intrigante e funziona. Anzi: uno quasi non si accorge di tutti gli anacronismi presenti, e dire che Watanabe (e il suo staff) non si fanno in quattro per nasconderli. Questo perché la storia è solida, indipendentemente da quando si svolge.
Anche i temi trattati seguono questo schema; ed è un altro punto di forza dell'anime. La salvaguardia delle specie in via d'estinzione, i virus informatici, oscuri giochi di potere... e questi sono solo alcuni degli argomenti affrontati nella serie. Se tante serie contemporanee imbellettavano tematiche tutto sommato comuni – la solitudine, la comunicazione tra le persone, ecc. - di filosofia fino al punto di renderle quasi irriconoscibili, Cowboy Bebop non si nasconde dietro ad un dito e le affronta in maniera semplice ma efficace. Di conseguenza lo spettatore non deve sforzarsi per capire  il significato delle singole scene/episodio: ha già tutti gli strumenti per farlo.
Sono estremamente semplici anche i personaggi. Tutti, soprattutto i protagonisti, hanno poche caratteristiche basilari ed in base a quelle agiscono. Fine. Non si può proprio parlare di personalità tridimensionali, introspezione psicologica, ecc: o almeno, non nel senso stretto. Sorpresi, vero? In genere rompo talmente tanto le scatole con l'introspezione psicologica che quando non la cito c'è qualcosa che non va. La fine del mondo si sta forse avvicinando? No, state tranquilli. Continuo a pensare che sia sempre meglio dare più caratteristiche possibili ai propri personaggi – ma senza essere troppo pedanti: altrimenti si crea una schiera di Mary Sue e Gary Stu! - ma si può anche scegliere la strada opposta. Strada più pericolosa: nella smania di risparmiare i “pochi tratti basilari” possono diventare davvero troppo pochi, creando così un cast monotono e noioso.
La cosa che veramente conta, però, è la coerenza del singolo personaggio. Va bene dargli due o tre caratteristiche, ma devi farlo agire coerentemente a queste, e solo a queste: altrimenti cade in contraddizione, infastidendo il lettore/spettatore. Ed è qui che “Cowboy Bebop” eccelle. Un ottimo esempio sono i vari criminali: ognuno di loro ha la sua ragione per commettere cattive azioni, ed è esattamente quello che fa, senza ripensamenti dell'ultimo minuto per ragioni di spettacolo. L'attivista per i diritti degli animali crede che alla violenza si risponda con la violenza; l'uomo con la mente da bambino trova estremamente divertente fare del male; il drogato ha iniziato un gioco più grande di lui, ecc. ecc. Durano solo per lo spazio di un episodio, ma si fanno ricordare per come siano granitici nella loro causa; ed è facile comprenderli, anche se quasi sempre sbagliano il metodo.
Discorso analogo per i quattro – più uno – protagonisti. Jet è determinato nel combattere per la giustizia, e prosegue senza tentennamenti anche quando è in pericolo di vita per questo; Spike è ossessionato dal suo passato, quindi le sue azioni sono fatte per quello; Faye dietro all'indole calcolatrice cova dei dubbi su sé stessa e su gli altri, e non manca di dimostrarlo; ed Edward... beh, lei è un po' (un bel po') pazza, perciò si comporta da tale. Sono così solidi che ti ci affezioni: li conosci bene, quindi sai che cosa farebbero e cosa no. Sì, d'accordo, sono anche stereotipi ambulanti: e allora? L'importante è che funzionino, e questi lo fanno alla perfezione.

Il comparto tecnico è, per gli standard dell'epoca, estremamente curato e gradevole. Il character design non fa gridare al miracolo, ma è bello a vedersi; gli effetti speciali sono fatti abbastanza bene, e la fotografia è sempre adatta alle scene. La regia di Shinichiro Watanabe è probabilmente uno dei fiore all'occhiello della serie: sempre personale, ma al servizio della storia. Ci un po' per abituarcisi, ma finisce per piacere, eccome. Idem con patate per la colonna sonora, importantissima: spesso, più che da commento, fa da motore per le scene. E' anche piuttosto variegata: non solo jazz  - perché credete che la serie si chiami “Bebop”, eh? - ma anche tanti altri generi. Tutti calzanti alla perfezione, poi. Cosa si potrebbe volere di più?

E per oggi è tutto, cari amici. Arrivederci alla prossima settimana, con “Il tempio degli Otaku”!


2 commenti:

  1. Il manga non mi è piaciuto granchè, ma l'anime lo adoro!! Adesso che me lo hai rimesso in mente mi rocca riguardarlo haha!

    RispondiElimina
  2. bellissimo questo anime!in assoluto il mio preferito di sempre!

    RispondiElimina

Grazie per aver condiviso la tua opinione!

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...