A cura di Surymae Rossweisse
Ciao a tutti, e benvenuti ad
un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Oggi parliamo di anime; la serie
di questa settimana è della seconda metà degli anni '90, ma per ambientazioni,
impostazione, ecc. quasi non sembrerebbe. Mentre tante sue coetanee – Neon
Genesis Evangelion, ad esempio, o “La rivoluzione di Utena”, di cui abbiamo
anche parlato – cercavano di rompere gli schemi e staccarsi dal passato con
l'inserimento di tematiche delicate, simbologie complesse e tanta psicanalisi,
questa invece percorre il percorso opposto, con una fierezza ed una tenacia
ammirevole. Non stupitevi, quindi, se accanto a viaggi interplanetari troverete
un'ambientazione da Far West, e nemmeno se la colonna sonora pesca a piene mani
dal jazz, genere che di solito non viene molto utilizzato negli anime. Non ci
fate caso, per carità, e prendete così come viene quest'anime: “Cowboy Bebop”,
diretto da Shinichiro Watanabe. Buona lettura (e visione)!
Siamo nell'anno 2071. Per colpa
di un disastro interspaziale la
Terra è diventata praticamente inabitabile, ma i (pochi)
sopravvissuti non si sono scoraggiati, decidendo di emigrare nei pianeti del
sistema solare, Marte in primis. Sono passati quasi cinquant'anni
dall'incidente, ed ormai la tecnologia rende perfettamente agibile la vita
nello spazio.
A queste innovazioni, però, si
abbina una cosa che non cambierà mai: la criminalità. Per combatterla l'ISSP
(Inter Solar System Police) ripristina il vecchio sistema delle taglie usato
nel Far West. L'anime segue le varie avventure di un gruppo di cacciatori di
taglie. All'inizio i componenti sono solo due: il nerboruto Jet Black, ex
poliziotto, e lo stravagante Spike Spiegel, che tra le altre cose odia gli
animali, le donne ed i bambini. Indovinate chi saranno gli altri che si
uniranno al gruppo? Naturale: un animale – il cane Ein – una donna, l'avida
Faye Valentine, ed un bambino, il genietto Edward (che a dispetto del nome è
una femminuccia). Tutti insieme i cinque daranno la caccia ai più disparati
criminali, tra tanti fallimenti e, soprattutto, i loro tragici passati...
L'anime è formato da ventisei
episodi, quasi tutti autoconclusivi – a parte alcuni, collegati fra loro. Ho
già avuto modo di dire la mia sul formato autoconclusivo, anche se allora
parlavo di manga. Ma siccome voglio occupare più spaz... ehm, è sempre meglio
rinfrescarsi la memoria, tanto vale ripeterlo. In breve, il gioco è bello
quando dura poco. E' un formato pericoloso, perché il suo essere indefinito
lascia spazio a tantissime divagazioni: la trama principale – spesso
frammentaria, come in questo caso – può
essere interrotta tutte le volte che si vuole. In fondo, finito un episodio non
se ne parla più, quindi l'economia della storia non ne viene molto scalfita.
Magari gli sceneggiatori avevano
pensato a tutto questo, perché “Cowboy Bebop” è una serie abbastanza breve. Il formato autoconclusivo, per una volta, non solo non è un
ostacolo, ma si dimostra anche l'unico disponibile: non annoia, e considerato
l'argomento si presta bene alla sinossi. Non temete: ci sarà anche spazio per
parlare di cose serie, come ad esempio i passati dei protagonisti.
Un'altra delle cose più evidenti
di “Cowboy Bebop” - e che lo rendono unico nel suo genere – è l'ambientazione,
sempre in bilico tra passato e futuro. E' vero che siamo nel 2071, eppure i
nostri cacciatori di taglie vedranno posti simili a quelli che noi del 2011
conosciamo bene: ampie distese sabbiose di terra interrotte soltanto da strade
deserte, casinò, e persino dei lunapark – con delle mascotte che assomigliano
parecchio alle creazioni di Walt Disney. Tutto questo, però, visto dagli occhi
di navicelle spaziali: ed è qui che sta la principale differenza. Persino le
armi da loro utilizzate sono delle comuni pistole, uguali in tutto e per tutto
a quelle di oggi. Ma nessuno di loro sa che cos'è, ad esempio, una
videocassetta. Questo, per qualcuno, potrebbe essere un difetto: o la serie è
ambientata ai giorni nostri oppure nel futuro. Eppure, strano a dirsi, il mix è
intrigante e funziona. Anzi: uno quasi non si accorge di tutti gli anacronismi
presenti, e dire che Watanabe (e il suo staff) non si fanno in quattro per
nasconderli. Questo perché la storia è solida, indipendentemente da quando si
svolge.
Anche i temi trattati seguono
questo schema; ed è un altro punto di forza dell'anime. La salvaguardia delle
specie in via d'estinzione, i virus informatici, oscuri giochi di potere... e
questi sono solo alcuni degli argomenti affrontati nella serie. Se tante serie
contemporanee imbellettavano tematiche tutto sommato comuni – la solitudine, la
comunicazione tra le persone, ecc. - di filosofia fino al punto di renderle
quasi irriconoscibili, Cowboy Bebop non si nasconde dietro ad un dito e le
affronta in maniera semplice ma efficace. Di conseguenza lo spettatore non deve
sforzarsi per capire il significato
delle singole scene/episodio: ha già tutti gli strumenti per farlo.
Sono estremamente semplici anche
i personaggi. Tutti, soprattutto i protagonisti, hanno poche caratteristiche
basilari ed in base a quelle agiscono. Fine. Non si può proprio parlare di
personalità tridimensionali, introspezione psicologica, ecc: o almeno, non nel
senso stretto. Sorpresi, vero? In genere rompo talmente tanto le scatole con
l'introspezione psicologica che quando non la cito c'è qualcosa che non va. La
fine del mondo si sta forse avvicinando? No, state tranquilli. Continuo a
pensare che sia sempre meglio dare più caratteristiche possibili ai propri
personaggi – ma senza essere troppo pedanti: altrimenti si crea una schiera di
Mary Sue e Gary Stu! - ma si può anche scegliere la strada opposta. Strada più
pericolosa: nella smania di risparmiare i “pochi tratti basilari” possono
diventare davvero troppo pochi, creando così un cast monotono e noioso.
La cosa che veramente conta,
però, è la coerenza del singolo personaggio. Va bene dargli due o tre
caratteristiche, ma devi farlo agire coerentemente a queste, e solo a queste:
altrimenti cade in contraddizione, infastidendo il lettore/spettatore. Ed è qui
che “Cowboy Bebop” eccelle. Un ottimo esempio sono i vari criminali: ognuno di
loro ha la sua ragione per commettere cattive azioni, ed è esattamente quello
che fa, senza ripensamenti dell'ultimo minuto per ragioni di spettacolo.
L'attivista per i diritti degli animali crede che alla violenza si risponda con
la violenza; l'uomo con la mente da bambino trova estremamente divertente fare
del male; il drogato ha iniziato un gioco più grande di lui, ecc. ecc. Durano
solo per lo spazio di un episodio, ma si fanno ricordare per come siano
granitici nella loro causa; ed è facile comprenderli, anche se quasi sempre
sbagliano il metodo.
Discorso analogo per i quattro –
più uno – protagonisti. Jet è determinato nel combattere per la giustizia, e
prosegue senza tentennamenti anche quando è in pericolo di vita per questo;
Spike è ossessionato dal suo passato, quindi le sue azioni sono fatte per
quello; Faye dietro all'indole calcolatrice cova dei dubbi su sé stessa e su
gli altri, e non manca di dimostrarlo; ed Edward... beh, lei è un po' (un bel
po') pazza, perciò si comporta da tale. Sono così solidi che ti ci affezioni:
li conosci bene, quindi sai che cosa farebbero e cosa no. Sì, d'accordo, sono
anche stereotipi ambulanti: e allora? L'importante è che funzionino, e questi
lo fanno alla perfezione.
Il comparto tecnico è, per gli
standard dell'epoca, estremamente curato e gradevole. Il character design non fa gridare al miracolo, ma è bello a vedersi; gli effetti speciali sono fatti
abbastanza bene, e la fotografia è sempre adatta alle scene. La regia di Shinichiro
Watanabe è probabilmente uno dei fiore all'occhiello della serie: sempre
personale, ma al servizio della storia. Ci un po' per abituarcisi, ma finisce
per piacere, eccome. Idem con patate per la colonna sonora, importantissima:
spesso, più che da commento, fa da motore per le scene. E' anche piuttosto
variegata: non solo jazz - perché
credete che la serie si chiami “Bebop”, eh? - ma anche tanti altri generi.
Tutti calzanti alla perfezione, poi. Cosa si potrebbe volere di più?
E per oggi è tutto, cari amici.
Arrivederci alla prossima settimana, con “Il tempio degli Otaku”!
Il manga non mi è piaciuto granchè, ma l'anime lo adoro!! Adesso che me lo hai rimesso in mente mi rocca riguardarlo haha!
RispondiEliminabellissimo questo anime!in assoluto il mio preferito di sempre!
RispondiElimina