Scritto da Surymae Rossweisse
Salve a tutti, e benvenuti ad
un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Oggi ci addentriamo in due aspetti della società giapponese che non emergono tanto spesso nei manga/anime: la
politica e la malavita organizzata, la yakuza. Non bisogna essere Einstein per
capire perché non se ne parli molto: come la mafia a casa nostra – e le sue
connessioni con la politica – è un argomento scomodo, non esattamente l'ideale
per un'opera di evasione come dovrebbe essere un manga. E poi si sa: è sempre
meglio nascondere sotto il tappeto la polvere, se non si riesce a pulirla.
Invece questa serie non si tira
indietro, ed anzi il suo tema centrale è proprio quello. Il coraggio non gli
manca, non trovate? Scoprite quanto in “Sanctuary” di Buronson (sceneggiatura)
e Ryoichi Ikegami (disegni)!
Due ragazzi, Akira Hojo e Chiaki
Asami, dopo aver passato l'inferno in terra con la guerra civile in Cambogia
riescono ad arrivare in Giappone, e quindi alla salvezza. Quello che trovano,
però, non è come se lo aspettavano. Un paese ricco, senza dubbio, ma proprio
questo è il problema: la sua popolazione, non più abituata a lottare per il
proprio benessere, dà per scontate le cose importanti della vita e pensa solo
ed esclusivamente al lavoro. I giovani, poi, sono anche peggio: amorfi, con
un futuro uguale a quello dei genitori,
senza la minima voglia di mischiare le carte in tavola. I pochi che vogliono
modificare questa situazione vengono inevitabilmente schiacciati dall'attuale
classe dirigente, refrattaria a qualsiasi cambiamento e attaccata in maniera
morbosa alle loro poltrone.
Asami e Hojo decidono di provarci
comunque, attuando il “Santuario”: una scalata ai vertici del Sol Levante. Non
per potere personale, ma per costruire un nuovo paese, che lotti non solo per
le minuzie, che abbia giovani valorosi, pieni di voglia di migliorare sé stessi
e l'ambiente in cui vivono. Come? Il primo prosegue gli studi, ambendo a
diventare un politico; l'altro invece adotta metodi più cattivi, diventando uno
yakuza. La ripartizione delle responsabilità è dettata dal loro gioco
preferito, la morra cinese, ma potete stare certi che il loro obiettivo, e gli
ostacoli che si troveranno davanti, non saranno giochi da ragazzi...
Una delle prime cose che si può
notare in “Sanctuary” è come i due protagonisti vengano dipinti in modo quasi
simpatetico. Strano, non credete? Parliamo sempre di un politico ed un mafioso.
Però quello che fa la differenza è quello a cui ambiscono: quello sì, nobile.
Se volete, il “Santuario” è un gesto altruista: loro, a causa della loro
esperienza di vita, conoscono già le cose per cui vale la pena lottare, ma la
stragrande maggioranza dei loro cittadini no. Vogliono cambiare lo stato delle
cose non perché non sanno cosa fare, non perché vogliono soltanto avere un po'
di potere tra le mani, ma per amore del Giappone.
Ciò però non toglie che i loro
metodi siano moralmente discutibili: nessuno dei due – soprattutto Hojo – si fa
remore ad usare la violenza. Tutto è lecito, basta che sia per il Santuario.
Ovviamente il lettore non è affatto tenuto a condividere le loro azioni, ma ciò
non toglie che, sotto sotto, è difficile non provare simpatia – o almeno
comprensione – per i nostri. Due anti-eroi allo stato puro, costituiti al
cinquanta per cento sia da parti eroiche sia da cattivi. Quasi quasi, ci
vorrebbero un Hojo ed un Asami anche per la nostra Italia...?
Scherzo, scherzo. A proposito di
violenza: concentriamoci sul braccio violento della leg... ehm, sugli yakuza. Sarebbe stato facile, per Buronson, adottare tutti gli stereotipi sui
malavitosi giapponesi – ignoranti, stupidi, avanzi di galera senza arte né
parte – e appiccicarli su tutti i suoi personaggi. Beh, non l'ha fatto, e
quindi ci ritroviamo una vasta gamma di persone e caratteri, il cui unico punto
in comune è probabilmente la cieca fedeltà per i loro capi. Abbiamo così coloro
che sono diventati yakuza per riconoscenza, come uno dei sottoposti di Hojo,
Tashiro; quelli che semplicemente non avrebbero potuto fare altro nella vita,
ad esempio lo scellerato Tokai (che però nasconde anche, molto in fondo, un
lato gentile); quelli che volevano soltanto migliorare le condizioni di vita
della propria madre, e poi si sono fatti prendere la mano.
Ed i capi: i filosofici, simili
per ambizioni ad Akira, gli strateghi, gli indipendentisti... una grande
umanità, eterogenea e ben caratterizzata. Sono tanti, e forse graficamente vi
sarà difficile riconoscerli ad un primo sguardo: tuttavia saranno quasi
impossibili da confondere l'un l'altro, e magari rimarranno anche impressi
finita la lettura.
Adesso è giunto il momento di
parlare dei cari, vecchi politici. Vecchi in senso letterale, visto che – come in Italia – quasi tutti i parlamentari
con cui si trova a che fare Asami sono dei veri e propri veterani. Il più
temibile è senza dubbio Isaoka: uomo vecchissimo e potentissimo, tutt'altro che
disposto a lasciare ai giovani lo scranno. Manipolatore, anche lui con parecchi
scheletri nell'armadio: tutti lo sanno, eppure nessuno riesce a smuoverlo. Un
personaggio senza dubbio negativo, eppure affascinante e realistico: ci sono
tantissimi Isaoka nella realtà. Forse per questo, quindi, è uno di quelli il
cui carattere è più complesso e sfaccettato: un degno alleato per l'astuto
Asami, hanno la stessa determinazione eppure la usano per motivi totalmente
diversi. Attenzione, però: scordatevi la solita manfrina tutta giapponese del
“siamo-dalla-parte-opposta-ma-ti-ammiro-e-ti-sono-amico”. No. Assolutamente no.
Il vecchio è intenzionato a distruggere il giovane, e viceversa. Decisamente
più realistico della pappardella qui citata. Eppure chissà, forse i due sono
persino più simili di quello che sembra...
Anche se non al così, comunque,
anche gli altri politici sono caratterizzati con cura. Penso ad esempio al
piccolo Yoshikawa, uno dei primi alleati di Asami; ad Hanaguchi, l'ambiguo
lacchè di Isaoka, a Sengoku, il cui padre si è suicidato per colpa indovinate
di chi? Ma certo, del vecchio!
In generale, comunque, tutto il
cast, anche quello che non fa parte né della yakuza né della politica, ha
un'ottima caratterizzazione. L'esempio più lampante è Kyoko Ishihara,
poliziotta dapprima intenzionata a mettere in gattabuia Hojo, ma di cui poi si
innamora perdutamente. Lo so: questa storia è piuttosto stereotipata, ma è
comunque trattata con cura e con realismo – anche considerando che si tratta di
uno sceneggiatore uomo che approfondisce i pensieri di una donna.
Ma soprattutto nel corso della
storia subisce un cambiamento non indifferente. All'inizio sembra la classica
Mary Sue – personaggio perfetto in
tutto: competente ed appassionata del suo lavoro, comanda degli uomini, a volte
è anche una testa calda. L'amore cambia sempre tutto, anche l'acerba Kyoko, che
finalmente conosce la passione, si “scongela” e cerca un difficile equilibrio
tra il suo dovere ed il suo cuore. A onor del vero la loro storia viene tirata
un po' troppo per le lunghe, soprattutto per quanto riguarda il suo sbocciare,
ma non occupa molto spazio nella trama. E alla fine, ci si ritrova a tifare per
la scongelata poliziotta...
Dopo tante righe su Buronson,
adesso dedichiamoci del disegnatore di “Sanctuary”, Ryoichi Ikegami.Dotato di
uno stile piuttosto caratteristico e personale, si adatta perfettamente alla
storia. Usa parecchio il bianco e il nero, ma soprattutto il grigio: l'ideale
per Hojo ed Asami, così ambigui. Tutto è disegnato in maniera assai
dettagliata, dalle fisionomie delle tonnellate di personaggi agli ambienti.
Menzione d'onore anche per le inquadrature, particolari ma sempre puntuali.
Nello specifico spesso vengono inquadrati gli occhi: chissà perché. Forse
perché sono lo specchio dell'anima...
E con questo è tutto, cari amici.
Arrivederci alla prossima settimana, con “Il tempio degli Otaku”!
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