
L'autrice, Eleonora Caruso, non è nuova del panorama editoriale: ha già pubblicato con Indiana editore Comunque vada non importa (recensione), storia di una otaku italiana che stenta a prendere il controllo della sua vita fino al crollo del fratello a cui è legata.
Col nostro sangue hanno dipinto il cielo, invece, è una short story ambientata in Giappone e legata a un contesto particolare, quello degli "host", ovvero degli escort nipponici (soprattutto uomini) che si intrattengono con donne sole e bisognose di attenzioni.
Peculiare è la capacità della Caruso di racchiudere, in sole trentasei pagine, il frammento di un mondo estremamente complesso e dalle difficili implicazioni emotive. Il suicidio di una affezionata cliente del protagonista, Shun, ci proietta in modo assoluto dentro le logiche quasi disumanizzate di questo mestiere - che, a maggior ragione, non includono necessariamente il commercio di sesso, ma si limitano a fare sentire amati e speciali i paganti. Eppure anche la prostituzione dei propri sentimenti lascia indelebili cicatrici in persone che vengono considerate, in tutti i casi, oggetti attraverso cui soddisfare il proprio ego. Ed ecco che il protagonista è già considerato merce vecchia a soli venticinque anni e, malato di due ulcere, viene incoraggiato ad andare in pensione.
I personaggi che ruotano attorno a Shun, e lui stesso, sono descritti molto realisticamente attraverso un linguaggio schietto e allo stesso tempo intenso, che fa uso di termini specifici giapponesi il cui significato è riportato alla fine in un glossario - scelta che io mi sarei astenuta dal fare, ma che è con tutta evidenza indirizzata a rendere il racconto più fruibile per il lettore occidentale.
La struttura si dimostra originale: quello che viene riportato come primo capitolo è, in realtà, il penultimo in ordine cronologico, mentre la narrazione si alterna con repentini cambi di scene che mostrano una Tokyo cinica e avvolta da una nebbia di solitudine. Sono forse i dialoghi, brillanti e pungenti, a palesare l'anima spietata del racconto, soprattutto quelli che contrappongono Shun e Toru, un personaggio candido e ancora non intaccato dalla crudeltà della vita.
Si snoda così una storia di grande potenza espressiva, capace di aprire una finestra su un paesaggio a noi quasi sconosciuto, ma dalle tinte forti e universali.
Ho avuto il piacere di fare qualche domanda e Eleonora Caruso su Col nostro sangue hanno dipinto il cielo, che spero chiarisca alcuni degli interrogativi che possono sorgere attorno a questo magnifico racconto.
Questo è un racconto che ho pensato molto tempo fa, appena prima di andare a Tokyo per la prima volta, e siccome da allora si è evoluto moltissimo, direi che la genesi non c’entra più molto col risultato finale… un dettaglio per tutti: l’avevo pensato come a una commedia romantica. Non sembra possibile, vero?
2. Sei appassionata del mondo nipponico – così come lo era Darla, protagonista del tuo libro uscito per Indiana – e con quest'ultimo lavoro confermi un'ispirazione ormai ben radicata nella tua produzione. Cosa ami del Giappone e quali sono le caratteristiche che maggiormente ti attraggono?
La cultura occidentale è fortemente legata ai concetti di bene e male, positivo e negativo, inizio e fine. La cultura orientale, invece – in questo caso quella giapponese –, è estremamente relativista, in un modo che addirittura confonde. Questo è un aspetto che mi affascina da quando ero piccola e che ho fatto un po’ mio, nella vita come nelle storie.
3. Il tema della morte e del suicidio, però, aleggia per tutto il racconto, donandogli un'atmosfera particolarmente cupa. È un Giappone immaginato, un Giappone realistico e verosimile? Pensi che la stessa storia potrebbe essere raccontata in qualsiasi altra parte del mondo o senza il Giappone Col nostro sangue hanno dipinto il cielo non potrebbe esistere?
Per quanto mi riguarda, se una storia può essere decontestualizzata troppo facilmente c’è qualcosa che non va. Ho un grande rispetto per i luoghi e quando penso a una trama la sua scenografia non è secondaria, ma primaria, perché modifica la trama stessa. Quindi no, anche se ha (o almeno spero!) degli elementi di riflessione indubbiamente universali, “Col nostro sangue” come la conosci poteva ambientarsi solo a Tokyo.
4. Shun e Toru sono due personaggi opposti, il primo cinico e il secondo più idealista. Quale dei due ti rispecchia maggiormente?
Nessuno dei due, fortunatamente, ma dovendo scegliere ti direi Toru. Nonostante quello che dice Shun, credo che sia molto più realista e maturo di lui.
5. Shun, di origine francese, rappresenta anche la fusioni di due mondi. Cosa credi che erediti da quello occidentale?
Il bisogno di distinguersi come individuo, pur non avendo doti particolari. È una cosa tutta occidentale.
6. La struttura narrativa di Col nostro sangue hanno dipinto il cielo è abbastanza insolita: il tredicesimo capitolo è infatti posto all'inizio del racconto. Cosa volevi evidenziare con questa scelta?
Niente, mi sembrava solo interessante. Sono una persona poco seria, me ne rendo conto! La tredicesima parte è stata la prima che ho scritto, quella dalla quale ho dedotto il resto della storia, quindi ho pensato: se questa è la prima cosa che ho visto io, facciamola vedere come prima cosa anche al lettore.
7. Parliamo della tua scelta editoriale: cosa ti ha spinto a orientarti verso Speechless Books e come è stato gestito il lavoro di editing e pubblicazione?
È stato Speechless a contattarmi e io ho detto di sì molto semplicemente perché seguo il loro lavoro e lo trovo fantastico. Non sempre la serietà è scontata, in questo ambiente, invece le ragazze che si sono occupate di questo progetto mi hanno sorpresa per la loro professionalità e precisione. Sono contenta di aver regalato loro questo racconto, avrei solo voluto che fosse migliore.
8. Infine, qual è l'idea che tu stessa hai della scrittura e del mestiere dello scrittore?
Non so mai rispondere a queste domande. Scrivere non è qualcosa che fai, è qualcosa che sei.
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