Il
Signore degli Anelli e il Silmarillion tra contaminazione e purificazione
di Lavinia Scolari
2. Divinità e personaggi contaminatori
Dopo aver rapidamente passato in rassegna i
personaggi positivi riconducibili al motivo fondante della purificazione, l’attenzione
va ora spostata sui personaggi negativi espressione della contaminazione.
Tre di essi sono l’essenza stessa della
contaminazione intesa come corruzione totale e perenne: Melkor, Sauron, il re
di Angmar – tutti e tre legati dal rapporto verticale padrone/servo (come
Sauron era stato servo di Melkor, così il re di Angmar è il servo di Sauron).
Il quarto personaggio è Denethor, figura tragica e ambivalente, dai segni
distintivi stratificati, il quale, nondimeno, finisce comunque per decadere,
corrompersi, soggiogato dalla perfidia del Nemico.
Melkor e
Sauron
Melkor, “He who arise in Might”, è detentore delle
medesime qualità di potenza e conoscenza degli altri Ainur, tuttavia egli
sovverte il suo stesso potere volgendolo in azioni di “violenza e tirannia” a
causa della sua cupidigia nei confronti della Terra di Mezzo. La bramosia di
Melkor è tesa a spodestare il dominio benefico di Manwë per fondare un nuovo
potere, crudele e oppressivo.
La comprensione egli la trasformava in sottigliezza, onde pervertire e sottomettere alla propria volontà quanto gli servisse, fino a divenire mentitore svergognato. Cominciò con il desiderio di Luce, ma quando non poté impadronirsene in esclusiva, calò, tra fuoco e ira, in una grande fiammata, nel profondo della tenebra. E della tenebra si servì soprattutto nelle sue malvagie opere su Arda, riempiendo di paura tutte le creature viventi. (J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion ed. it. Torino, Bompiani, 2000, p. 31)
In tutte le imprese di Melkor il Morgoth in Arda, in tutte le sue diramate opere e negli inganni della sua astuzia, Sauron aveva parte, ed era meno perfido del suo padrone, solo in quanto a lungo servì un altro anziché se stesso. (J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, cit., p. 31)
Un agente della contaminazione di Melkor è la
rocca di Utumno, che ne sparge il veleno per tutta Arda, nel pieno della sua
prima età e nel rigoglio dei frutti seminati da Yavanna.
Allora Melkor diede mano agli scavi per la costruzione di una grande fortezza in profondo sotto la Terra, sepolta da scure montagne in luoghi dove i raggi di Illuin erano freddi e deboli. La rocca fu detta Utumno; e, benché i Valar nulla ancora ne sapessero, la malvagità di Melkor e la perfida influenza del suo odio ne esalavano, si che la Primavera di Arda ne fu guasta. Verdi cose s’ammalarono e marcirono, e fiumi restarono intasati da erbacce e limo e si formarono maremme, fetide e attossicanti, vivai di mosche; e foreste crebbero buie e perigliose, ricettacoli di paura; e bestie divennero mostri grevi di corna e zanne, e tinsero la terra di sangue. (J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, cit., p. 37)
Anche nei secoli successivi, l’oscurità che
Morgoth trama nel cuore della sua nera roccaforte si sparge per il mondo sino a
raggiungere la regione del Dor-lómin, un tempo incontaminata. Il vento infatti,
conduce con sé un alito pestilenziale e la gente si ammala e perisce. Fra
coloro che vengono avvelenati dal malefico fiato che si innalza da Angband vi
sono Túrin e Urwen, sua sorella.[1] Ma laddove il primogenito di
Húrin si risveglia dalla contaminazione dell’alito infetto, la piccola perde la
vita a causa del virulento contagio.
L’episodio, che è il primo doloroso evento del
racconto, funge da segno iniziale del ruolo nocivo e velenoso che Angband
svolgerà per l’intera storia, colpendo Húrin e la sua discendenza attraverso
una corruzione che non è soltanto pestilenziale, ma anche più profondamente
oscura.
L’opera corruttrice di Melkor si rivolge
biecamente anche contro gli amati Figli di Ilúvatar, gli Elfi, simbolo della
vita immortale, della luce e del sogno. Egli, infatti, non si lascia sfuggire
il loro avvento sulla Terra, desideroso di traviarli e sopraffarli.
Così, con l’ausilio delle tenebre e dell’inganno,
Melkor cattura alcuni tra gli Elfi meno accorti, e li trascina con sé nelle sue
prigioni per deturparli e mutilarli al fine di sfigurare le creature di
Ilúvatar e, dal loro perturbamento, dare inizio alla turpe schiatta degli
Orchi.
Pure, questo è tenuto per vero dai sapienti di Eressëa, che tutti coloro dei Quendi che caddero nelle mani di Melkor, prima che Utumno fosse distrutto, vi furono imprigionati e, per mezzo di lente arti crudeli, corrotti e resi schiavi; e così Melkor originò l’orrenda razza degli Orchi, a invidia e scherno degli Elfi, dei quali in seguito furono i più accaniti avversari. Gli Orchi infatti vivevano e si moltiplicavano a mo’ dei Figli di Ilúvatar; mentre nulla che avesse vita di per sé o anche solo sembianza di vita, poté mai produrre Melkor a causa della sua ribellione nello Ainulindalë prima dell’Inizio: così affermano i sapienti. (J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, cit., p. 55)
Un ulteriore motivo dell’odio e dell’ostilità di
Melkor nei confronti degli Elfi sono i Silmaril, le gemme della luce sacra di
Valinor.
Chiunque dimorasse ad Aman fu ricolmo di meraviglia e piacere per l’opera di Fëanor, e Varda consacrò i Silmaril, si ché in seguito nessuna carne mortale, nessuna mano impura, nulla di malvagio potesse toccarli senza bruciare ed avvizzire; e Mandos predisse che i destini di Arda, terra, mare e aria, erano racchiusi nei Silmaril. Il cuore di Fëanor era legato a doppio filo a quelle cose da lui stesso prodotte. (J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, cit., pp. 76-77)
Così, prima che i Valar ne fossero consapevoli, la pace di Valinor fu attossicata.(J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, cit., p. 78)
La fine della pace viene delineata come un
avvelenamento della stessa attraverso la frode della lingua di Melkor. Questi
gioisce in cuor suo per il successo dei suoi astuti disegni, volti soprattutto
alla conquista dei Silmaril, per i quali Fëanor sviluppa un invincibile
desiderio.
Di tutti i terrori che mai fossero piombati sul Beleriand prima della caduta di Angband, il più spaventoso fu la follia di Carcharoth, e ciò perché il potere del Silmaril era dentro di lui.(J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, cit., p. 225)Nulla lo ostacolava, e non lo fermò neppure il potere di Melian steso sulle frontiere della contrada, poiché era spinto dal fato e dalla forza del Silmaril che aveva, a proprio tormento, dentro le viscere.(J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, cit., p. 228)
Ma la potenza del Silmaril non è solo letale per
chi lo brama in modo oscuro e turpe. Il Lupo si scaglia in una tumultuosa
lotta, che lo vede sconfitto. Tuttavia ha il tempo di mordere con le sue zanne
terribili il figlio di Barahir, ferendolo mortalmente. Una volta spirato
Carcharoth, il Silmaril da lui ingerito viene recuperato e la sua luce
salvifica si effonde su Beren riconducendolo miracolosamente alla vita e
permettendogli di concludere con successo la sua ricerca. Il Silmaril infonde
follia in Carcharoth col suo solo contatto, ma risana e strappa dalla morte
Beren, anche se per poco tempo. Pertanto, esso mostra di essere dotato di due
poteri differenti, eppure complementari: quello della contaminazione e quello
della purificazione.
[1] La
stirpe degli Uomini, i Secondogeniti di Ilúvatar, si destò ad Oriente della
Terra di Mezzo. Fra costoro sorsero tre casate possenti, i cui appartenenti
erano detti Edain, con termine che in lingua Sindarin
indica gli Atani, cioè i Secondi,
come gli Elfi chiamavano gli Uomini. Le
case in questione erano la Casa di Bëor, la Casa di Hador e la Casa di Haleth.
Húrin è il signore del Dor-lómin, una terra di Uomini ricca e rigogliosa. Suo
padre discendeva dalla casa di Hador e sua madre da quella di Haleth. Egli
sposa Morwen, della Casa di Bëor, e da lei ha un figlio che chiama Túrin e una
figlia di nome Urwen.
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