venerdì 30 marzo 2012

Il tempio degli otaku: cinquantasettesimo appuntamento "Capitain Tsubasa"



A cura di Surymae Rossweisse


Salve a tutti, e benvenuti ad un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Durante le scorse settimane ci siamo concentrati su opere mai arrivate in Italia, o poco conosciute. In questa e la prossima settimana, però, il trend cambierà.
Oggi parliamo di una serie che sono sicura che tutti i nati tra gli anni '80 e '90 hanno visto, e sicuramente ricordano tutt'ora. Le ragioni? Sicuramente le numerose repliche di Mamma Mediaset hanno giovato, ma voglio credere che sia più che altro per l'argomento a cui noi italiani teniamo tantissimo e per i plateali ed esilaranti errori di fisica e di logica di cui era disseminata. Una band demenziale, i Gem Boy, le hanno pure dedicato una canzone: e come dargli torto? E siccome i migliori killer tornano sul luogo del delitto, noi andiamo dove è iniziato il fenomeno: dal manga. Fate un caloroso benvenuto a “Capitan Tsubasa” - meglio noto come “Holly e Benji” - di Yoichi Takahashi!

NB: Come in tante serie contemporanee, Mamma Mediaset ha storpiato tutti i nomi dei protagonisti; io, però, userò quelli originali – scelta condivisa anche dall'editore italiano, la Star Comics.

Tsubasa Ozoora si trasferisce in una piccola cittadina insieme alla madre. Per via dei ripetuti traslochi – il padre è capitano di una nave – non ha mai potuto farsi degli amici fissi, eccetto uno: il pallone.
Il nostro capita piuttosto bene, perché la nuova città ha ben due squadre di calcio. La migliore è la Shutetsu, che ha tra le sue file un portiere molto talentuoso, Genzo Wakabayashi. L'altra è la Nankatsu, che lontana dall'eccellenza della prima viene sempre battuta impietosamente.
Tsubasa è un bambino che adora le sfide; forse anche troppo. Già il primo giorno, infatti, gli viene la brillante idea di provocare lo spocchioso Genzo, facendogli sapere che ha tutte le intenzioni di segnare alla sua porta. Dopodiché si iscrive alla Nankatsu, dove con l'aiuto del suo coach personale Roberto Hongo cercherà di inculcare agli altri giocatori qualche nozione di calcio.
Siccome l'anime l'abbiamo visto tutti, non la tirerò molto lunga. Dopo una lunghissima partita, Tsubasa raggiunge gli obiettivi che si era prefissato: condurre la sua squadra alla vittoria e sopratutto vincere contro Wakabayashi.  Ma questo è solo l'inizio del suo cammino...
 
La mole – 37 volumi – potrebbe ingannare, ma non è così: “Capitan Tsubasa” non è un'opera ambiziosa, e nemmeno complessa. La trama è talmente labile che Yoichi Takahashi avrebbe potuto interromperla in qualsiasi momento senza fare danni, e priva di qualsivoglia suspense.
La strada di Tsubasa è in discesa, ed il lettore più smaliziato lo sa benissimo. E' vero che la Nankatsu vince con grande fatica, superando grandi difficoltà e spesso arrivando ai tempi supplementari, ma è chiaro che alla fine la spunterà: tant'è vero che a parte qualche pareggio sparuto perderà soltanto una volta. Gli opponenti sono l'uno più forti – ed irrealistici – degli altri, ma mai quanto il nostro eroe, che risponderà tono su tono agli attacchi fino alla prevedibile fine.
Potremmo quasi dire che Tsubasa è un deus ex machina vivente. Nel manga si parla tanto dell'importanza dello spirito di squadra, ma in realtà i giocatori decisivi sono sempre gli stessi, al massimo due o tre per team. Ci sono alcuni personaggi in grado di muoversi in relativa autonomia, come ad esempio il sopraccitato Genzo, ma alla fine chi fa le azioni decisive è sempre il nostro protagonista, a tal punto che le rare volte che si infortuna la sua squadra non sa come fare. Il bello è che hanno il coraggio di fare la lezioncina al cattivo di turno sull'importanza dell'amicizia ed il giocare insieme...
 Anche parlando dei personaggi è evidente già sin dal titolo chi fa la parte da leone. Sento un coro chiedermi: e Genzo? Ecco, come dire... è stata Mamma Mediaset a promuoverlo a co-protagonista, ma nell'originale è “solo” un personaggio primario come tanti: anzi, sono più le partite che non riesce a giocare perché infortunato che quelle che svolge.
In generale, comunque, nel manga l'introspezione psicologica è altalenante. Alcuni personaggi hanno un carattere decisamente tridimensionale: si capisce le loro ragioni e crescono man mano che la storia va avanti. E' quasi scontato citare, in quest'occasione, Kojiro Hyuga, o Mark Lenders se preferite, le cui cause per il comportamento antisportivo sono indagate con cura. Oppure il portiere della squadra di quest'ultimo, Ken Wakashimazu, che ha delle pressioni in famiglia affinché lasci il calcio. Questa caratterizzazione è sorprendente per un lavoro di debutto, tanto più così privo di pretese.
Altri personaggi, però, non se la cavano così a buon mercato, e purtroppo nell'elenco ci sono anche Tsubasa ed il suo caro amico Taro Misaki (Tom Becker). Va bene avere il carattere semplice, ma c'è un limite a tutto: andateglielo a spiegare, però. Passano gli anni: affinano la tecnica ma continuano a pensare sempre le stesse cose – non molte a dire il vero. E per un protagonista è grave, perché il rischio di creare un Gary Stu è davvero alto; e purtroppo Takahashi non riesce ad evitarlo.
Insomma, “Capitan Tsubasa” non è un'opera priva di pecche. I dialoghi, oltre ad essere sparuti, a volte sono così stupidi da essere divertenti, ed i personaggi per essere bambini hanno dei concetti morali decisamente alti. Le pecche in medicina e fisica sono troppo numerose e radicate per essere elencate, anche se hanno contribuito a formare la leggenda. Chi non si è mai chiesto, almeno una volta, quanto caspita fosse lungo quel campo di calcio? Su Internet si trova anche una dimostrazione  con tutti i crismi, se siete ancora interessati al dilemma.
Non dobbiamo avere il dente avvelenato, però, cerchiamo di guardare al lato positivo delle cose. Se “Capitan Tsubasa” mantenesse quei personaggi caramellosi ma non le idiozie scientifiche ed i dialoghi scheletrici, come sarebbe? Ve lo dico io: una noia mortale, soprattutto per chi (come me) non sopporta il calcio. Meglio invece goderci quello che abbiamo, ossia un'opera semplice con cui si può passare un ottimo quarto d'ora divertendosi.

Il tratto di Yoichi Takahashi è semplicissimo, molto anni '80. Le proporzioni sono un po' sballate – ma che razza di muscoli hanno quei ragazzini? - i retini non danno sfumature ma soltanto il senso della corsa, i personaggi hanno capigliature impossibili ed hanno fisionomie molto simili, infatti si rischia di confondere qualcuno. Però è uno stile personale e fa il suo effetto, legandosi alla storia e rendendola facile da leggere. Insomma, riassume in sé le caratteristiche dell'opera...

...E' per oggi è tutto, cari amici. Arrivederci alla prossima puntata, con “Il tempio degli Otaku”!








1 commento:

  1. Io non ho letto il manga però ho visto numerosissime volte il cartone. A volte diventava un pò noioso per via dei tanti incidenti ed il campo sembrava interminabile. Però rimane uno dei miei cartoni preferiti. Come personaggio mi piacevano Tom e Mark.

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