
A cura di Surymae Rossweisse
Oggi parliamo di una serie che
sono sicura che tutti i nati tra gli anni '80 e '90 hanno visto, e sicuramente
ricordano tutt'ora. Le ragioni? Sicuramente le numerose repliche di Mamma
Mediaset hanno giovato, ma voglio credere che sia più che altro per l'argomento
a cui noi italiani teniamo tantissimo e per i plateali ed esilaranti errori di
fisica e di logica di cui era disseminata. Una band demenziale, i Gem Boy, le
hanno pure dedicato una canzone: e come dargli torto? E siccome i migliori
killer tornano sul luogo del delitto, noi andiamo dove è iniziato il fenomeno:
dal manga. Fate un caloroso benvenuto a “Capitan Tsubasa” - meglio noto come
“Holly e Benji” - di Yoichi Takahashi!
NB: Come in tante serie
contemporanee, Mamma Mediaset ha storpiato tutti i nomi dei protagonisti; io,
però, userò quelli originali – scelta condivisa anche dall'editore italiano, la Star Comics.
Il nostro capita piuttosto bene,
perché la nuova città ha ben due squadre di calcio. La migliore è la Shutetsu , che ha tra le
sue file un portiere molto talentuoso, Genzo Wakabayashi. L'altra è la Nankatsu , che lontana
dall'eccellenza della prima viene sempre battuta impietosamente.
Tsubasa è un bambino che adora le
sfide; forse anche troppo. Già il primo giorno, infatti, gli viene la brillante
idea di provocare lo spocchioso Genzo, facendogli sapere che ha tutte le
intenzioni di segnare alla sua porta. Dopodiché si iscrive alla Nankatsu, dove
con l'aiuto del suo coach personale Roberto Hongo cercherà di inculcare agli
altri giocatori qualche nozione di calcio.
Siccome l'anime l'abbiamo visto
tutti, non la tirerò molto lunga. Dopo una lunghissima partita, Tsubasa
raggiunge gli obiettivi che si era prefissato: condurre la sua squadra alla
vittoria e sopratutto vincere contro Wakabayashi. Ma questo è solo l'inizio del suo cammino...
La mole – 37 volumi – potrebbe
ingannare, ma non è così: “Capitan Tsubasa” non è un'opera ambiziosa, e nemmeno
complessa. La trama è talmente labile che Yoichi Takahashi avrebbe potuto
interromperla in qualsiasi momento senza fare danni, e priva di qualsivoglia
suspense.
La strada di Tsubasa è in
discesa, ed il lettore più smaliziato lo sa benissimo. E' vero che la Nankatsu vince con grande
fatica, superando grandi difficoltà e spesso arrivando ai tempi supplementari,
ma è chiaro che alla fine la spunterà: tant'è vero che a parte qualche pareggio
sparuto perderà soltanto una volta. Gli opponenti sono l'uno più forti – ed
irrealistici – degli altri, ma mai quanto il nostro eroe, che risponderà tono
su tono agli attacchi fino alla prevedibile fine.
Potremmo quasi dire che Tsubasa è
un deus ex machina vivente. Nel manga si parla tanto dell'importanza dello
spirito di squadra, ma in realtà i giocatori decisivi sono sempre gli stessi,
al massimo due o tre per team. Ci sono alcuni personaggi in grado di muoversi
in relativa autonomia, come ad esempio il sopraccitato Genzo, ma alla fine chi
fa le azioni decisive è sempre il nostro protagonista, a tal punto che le rare
volte che si infortuna la sua squadra non sa come fare. Il bello è che hanno il
coraggio di fare la lezioncina al cattivo di turno sull'importanza
dell'amicizia ed il giocare insieme...
In generale, comunque, nel manga
l'introspezione psicologica è altalenante. Alcuni personaggi hanno un carattere
decisamente tridimensionale: si capisce le loro ragioni e crescono man mano che
la storia va avanti. E' quasi scontato citare, in quest'occasione, Kojiro
Hyuga, o Mark Lenders se preferite, le cui cause per il comportamento antisportivo
sono indagate con cura. Oppure il portiere della squadra di quest'ultimo, Ken
Wakashimazu, che ha delle pressioni in famiglia affinché lasci il calcio.
Questa caratterizzazione è sorprendente per un lavoro di debutto, tanto più
così privo di pretese.
Altri personaggi, però, non se la
cavano così a buon mercato, e purtroppo nell'elenco ci sono anche Tsubasa ed il
suo caro amico Taro Misaki (Tom Becker). Va bene avere il carattere semplice,
ma c'è un limite a tutto: andateglielo a spiegare, però. Passano gli anni:
affinano la tecnica ma continuano a pensare sempre le stesse cose – non molte a
dire il vero. E per un protagonista è grave, perché il rischio di creare un
Gary Stu è davvero alto; e purtroppo Takahashi non riesce ad evitarlo.
Non dobbiamo avere il dente
avvelenato, però, cerchiamo di guardare al lato positivo delle cose. Se
“Capitan Tsubasa” mantenesse quei personaggi caramellosi ma non le idiozie
scientifiche ed i dialoghi scheletrici, come sarebbe? Ve lo dico io: una noia
mortale, soprattutto per chi (come me) non sopporta il calcio. Meglio invece
goderci quello che abbiamo, ossia un'opera semplice con cui si può passare un
ottimo quarto d'ora divertendosi.
...E' per oggi è tutto, cari
amici. Arrivederci alla prossima puntata, con “Il tempio degli Otaku”!
Io non ho letto il manga però ho visto numerosissime volte il cartone. A volte diventava un pò noioso per via dei tanti incidenti ed il campo sembrava interminabile. Però rimane uno dei miei cartoni preferiti. Come personaggio mi piacevano Tom e Mark.
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