sabato 6 luglio 2013

Recensione: Mandami tanta vita di Paolo Di Paolo



Mandami tanta vita – Paolo Di Paolo

Febbraio 1926. Moraldo arriva a Torino per una sessione di esami, si porta dietro una strana rabbia e una valigia più pesante di quanto gli sembrasse alla partenza da Casale Monferrato. Dagli anziani coniugi Bovis, che lo ospitano, Moraldo apre la valigia e scopre che deve averla scambiata con quella di un fotografo di strada. Come per chiudere un conto in sospeso, Moraldo si mette ancora una volta sulle tracce di un suo coetaneo. Si chiama Piero. Moraldo gli ha scritto due lettere senza ottenere risposta, l'ha visto passare all'università circondato dal gruppo dei suoi amici. Qualcuno li definisce l'Accademia dei Patiti, ma Moraldo ammira quella vivacità intellettuale proteste, riunioni, giornali, libri. Ma l'ammirazione, nel silenzio, diventa invidia, e l'invidia diventa rancore. A volte si trova a spiarlo mentre passa sotto i portici, senza avere il coraggio di avvicinarlo. Ma adesso di Piero, a Torino, non c'è traccia. Con i suoi occhiali di miope, che sempre gli sfuggono dal volto, Piero ha percepito la minaccia e il pericolo di restare. Lo strappo non è facile: c'è Ada da lasciare sola, con il piccolo Paolo che ha appena un mese. Mentre Piero cerca una sistemazione e si ammala, Moraldo incontra il fotografo che ha preso la sua valigia. È una ragazza: leggera, disinvolta e imprendibile come un fantasma. Ma sarà proprio lei a tenere i fili del destino. Fino all'istante in cui Piero e Moraldo staranno finalmente per sfiorarsi.
Editore: Feltrinelli
Pagine: 160
Prezzo: € 13,00


Voto: 

Leggere questo romanzo è come guardare un film di altri tempi, ambientato negli spietati anni del fascismo e della censura della stampa. È la fotografia della vita di due uomini diversi, Moraldo e Piero, che vivono il sogno della scrittura, nonostante tutto sembri giocare a loro sfavore. Piero ha lasciato Torino per cercare un futuro migliore a Parigi, dove lo raggiungeranno presto Ada, la giovane moglie, e Paolo, il loro figlioletto neonato. Moraldo vive invece la realtà universitaria, arriva a Torino proprio quando Piero la sta “abbandonando”, si accorge di aver scambiato la valigia con un fotografo e si rende conto che ha perso i libri per l’imminente esame. Sistemata la questione dello scambio di bagaglio con un incontro, Moraldo si trova davanti Carlotta, fotografa disillusa, quasi annoiata e anticonformista, prototipo della donna autorevole e autonoma, reale identità di quell’ uomo che aveva immaginato essere il proprietario delle fotografie. Lui è confuso dai suoi comportamenti, ma si perde in lei volentieri dopo averle scattato una foto. Piero invece vive di Kant e filosofia, incontra vecchi amici e pensa ad Ava mentre cammina e scruta il Louvre rischiararsi delle prime luci del mattino. Sopporta l’esilio scrivendo e leggendo Croce, sottovalutando la malattia che lo sta lentamente consumando.

Il romanzo di Di Paolo è molto particolare, un racconto che è intervallato dalle lettere che Piero spedisce ad Ava da Parigi. In esso si alternano le speranze e le sconfitte dei due protagonisti, in un contesto storico grave e difficile che scatena l’immaginario dei due. Sono semplici storie di vita reale che raccontano la difficoltà di dar sfogo alla propria creatività in un tempo difficile quale quello del primo dopoguerra. Il personaggio di Piero, tra l’altro, pare sia riconducibile alla figura di Piero Gobetti, letterato italiano morto giovanissimo, del quale Di Paolo avrebbe letto il carteggio con la moglie e tentato di riproporlo nel modo più fedele possibile, nonostante gli intermezzi narrativi. Si tratta di una storia con pochi dialoghi, sostituiti da flussi di coscienza che fanno immediatamente pensare alla narrativa di Joyce, che in alcuni passi abbandona la prosa per lasciar spazio alla poesia: le parole sono calcolate, indelebili e, mai come in questo romanzo, hanno il loro peso. Mi ha colpito, a pagina 108, una profonda riflessione sul mondo dell’editoria che credo rispecchi perfettamente la situazione attuale, nella quale si parla non solo di crisi, ma anche di svalutazione della cultura e deperimento di ideali:
«Questo è il bello di fare l’editore, il compito grande delle tipografie: fare esistere le parole, le idee. Con un occhio ai conti, quattro librerie modello per stare dietro alle oscillazioni del mercato, si può fare tutto, senza rinunciare a fare cultura. La crisi è sempre esistita e continuerà, è soltanto un alibi».
La scrittura di Piero è impegnata, nei suoi scritti si ode l’eco della RIVOLUZIONE, scritta in maiuscolo sul titolo di un giornale, la parola diventa onnipotente così come l’editore stesso che diventa un dio impegnato nell’atto della creazione. Moraldo, anche lui scrittore, non ha lo stesso spirito di iniziativa di Piero, non ha che una becera considerazione dei suoi scritti, tant’è che ha quasi paura che Carlotta li abbia letti mentre questi erano in suo possesso a causa dello scambio di valigie. Non si reputa virile, almeno quando pensa alla ragazza, convinto di avere fatto una brutta impressione lasciando a lei l’iniziativa. L’unica cosa che sembra riuscire a decidere è quella di tracciare caricature sul suo quaderno, rendendosi sempre più conto che la gente indossa maschere che poi diventano pian piano il loro stesso viso. Per il resto vive di occasioni perdute e rimpianti che lo lacerano, anche se prende una decisione che forse ci fa ribaltare questa convinzione (almeno per un breve istante).

Di Paolo ci racconta con ritmo incalzante che a tratti diventa lento, due personalità, due vite differenti, il diverso modo di affrontare la vita e l’impegno civile, l’amore e le delusioni, in un romanzo appassionante dove la vera protagonista è la parola, viva e semanticamente ricca di significato. Un romanzo breve eppure davvero ricco, che vi consiglio vivamente di leggere.





Paolo Di Paolo
È nato nel 1983 a Roma. Nel 2003 entra in finale al Premio Campiello Giovani e, con i racconti Nuovi cieli, nuove carte, al Premio Italo Calvino. È autore tra l’altro di Ogni viaggio è un romanzo (2007) e di Raccontami la notte in cui sono nato (2008). Per Feltrinelli ha pubblicato Dove eravate tutti (2011, Premio Mondello e Premio Vittorini) e, nella collana digitale Zoom, La miracolosa stranezza di essere vivi (2012).


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