Mandami tanta vita – Paolo
Di Paolo
Febbraio
1926. Moraldo arriva a Torino per una sessione di esami, si porta dietro una
strana rabbia e una valigia più pesante di quanto gli sembrasse alla partenza
da Casale Monferrato. Dagli anziani coniugi Bovis, che lo ospitano, Moraldo
apre la valigia e scopre che deve averla scambiata con quella di un fotografo
di strada. Come per chiudere un conto in sospeso, Moraldo si mette ancora una
volta sulle tracce di un suo coetaneo. Si chiama Piero. Moraldo gli ha scritto
due lettere senza ottenere risposta, l'ha visto passare all'università
circondato dal gruppo dei suoi amici. Qualcuno li definisce l'Accademia dei
Patiti, ma Moraldo ammira quella vivacità intellettuale proteste, riunioni,
giornali, libri. Ma l'ammirazione, nel silenzio, diventa invidia, e l'invidia
diventa rancore. A volte si trova a spiarlo mentre passa sotto i portici, senza
avere il coraggio di avvicinarlo. Ma adesso di Piero, a Torino, non c'è
traccia. Con i suoi occhiali di miope, che sempre gli sfuggono dal volto, Piero
ha percepito la minaccia e il pericolo di restare. Lo strappo non è facile: c'è
Ada da lasciare sola, con il piccolo Paolo che ha appena un mese. Mentre Piero
cerca una sistemazione e si ammala, Moraldo incontra il fotografo che ha preso
la sua valigia. È una ragazza: leggera, disinvolta e imprendibile come un
fantasma. Ma sarà proprio lei a tenere i fili del destino. Fino all'istante in
cui Piero e Moraldo staranno finalmente per sfiorarsi.
Editore: Feltrinelli
Pagine: 160
Prezzo: € 13,00
Voto: 









Leggere
questo romanzo è come guardare un film di altri tempi, ambientato negli
spietati anni del fascismo e della censura della stampa. È la fotografia della
vita di due uomini diversi, Moraldo e Piero, che vivono il sogno della
scrittura, nonostante tutto sembri giocare a loro sfavore. Piero ha lasciato
Torino per cercare un futuro migliore a Parigi, dove lo raggiungeranno presto
Ada, la giovane moglie, e Paolo, il loro figlioletto neonato. Moraldo vive
invece la realtà universitaria, arriva a Torino proprio quando Piero la sta
“abbandonando”, si accorge di aver scambiato la valigia con un fotografo e si
rende conto che ha perso i libri per l’imminente esame. Sistemata la questione
dello scambio di bagaglio con un incontro, Moraldo si trova davanti Carlotta, fotografa
disillusa, quasi annoiata e anticonformista, prototipo della donna autorevole e
autonoma, reale identità di quell’ uomo che aveva immaginato essere il
proprietario delle fotografie. Lui è confuso dai suoi comportamenti, ma si
perde in lei volentieri dopo averle scattato una foto. Piero invece vive di
Kant e filosofia, incontra vecchi amici e pensa ad Ava mentre cammina e scruta
il Louvre rischiararsi delle prime luci del mattino. Sopporta l’esilio
scrivendo e leggendo Croce, sottovalutando la malattia che lo sta lentamente
consumando.
Il
romanzo di Di Paolo è molto particolare, un racconto che è intervallato dalle
lettere che Piero spedisce ad Ava da Parigi. In esso si alternano le speranze e
le sconfitte dei due protagonisti, in un contesto storico grave e difficile che
scatena l’immaginario dei due. Sono semplici storie di vita reale che
raccontano la difficoltà di dar sfogo alla propria creatività in un tempo
difficile quale quello del primo dopoguerra. Il personaggio di Piero, tra
l’altro, pare sia riconducibile alla figura di Piero Gobetti, letterato
italiano morto giovanissimo, del quale Di Paolo avrebbe letto il carteggio con
la moglie e tentato di riproporlo nel modo più fedele possibile, nonostante gli
intermezzi narrativi. Si tratta di una storia con pochi dialoghi, sostituiti da
flussi di coscienza che fanno immediatamente pensare alla narrativa di Joyce,
che in alcuni passi abbandona la prosa per lasciar spazio alla poesia: le
parole sono calcolate, indelebili e, mai come in questo romanzo, hanno il loro
peso. Mi ha colpito, a pagina 108, una profonda riflessione sul mondo
dell’editoria che credo rispecchi perfettamente la situazione attuale, nella
quale si parla non solo di crisi, ma anche di svalutazione della cultura e
deperimento di ideali:
«Questo è il bello di
fare l’editore, il compito grande delle tipografie: fare esistere le parole, le
idee. Con un occhio ai conti, quattro librerie modello per stare dietro alle
oscillazioni del mercato, si può fare tutto, senza rinunciare a fare cultura. La crisi è sempre esistita e continuerà, è
soltanto un alibi».
La
scrittura di Piero è impegnata, nei suoi scritti si ode l’eco della
RIVOLUZIONE, scritta in maiuscolo sul titolo di un giornale, la parola diventa onnipotente
così come l’editore stesso che diventa un dio impegnato nell’atto della
creazione. Moraldo, anche lui scrittore, non ha lo stesso spirito di iniziativa
di Piero, non ha che una becera considerazione dei suoi scritti, tant’è che ha
quasi paura che Carlotta li abbia letti mentre questi erano in suo possesso a
causa dello scambio di valigie. Non si reputa virile, almeno quando pensa alla
ragazza, convinto di avere fatto una brutta impressione lasciando a lei
l’iniziativa. L’unica cosa che sembra riuscire a decidere è quella di tracciare
caricature sul suo quaderno, rendendosi sempre più conto che la gente indossa
maschere che poi diventano pian piano il loro stesso viso. Per il resto vive di
occasioni perdute e rimpianti che lo lacerano, anche se prende una decisione
che forse ci fa ribaltare questa convinzione (almeno per un breve istante).
Di
Paolo ci racconta con ritmo incalzante che a tratti diventa lento, due
personalità, due vite differenti, il diverso modo di affrontare la vita e
l’impegno civile, l’amore e le delusioni, in un romanzo appassionante dove la
vera protagonista è la parola, viva e semanticamente ricca di significato. Un
romanzo breve eppure davvero ricco, che vi consiglio vivamente di leggere.
È
nato nel 1983 a Roma. Nel 2003 entra in finale al Premio Campiello Giovani e,
con i racconti Nuovi cieli, nuove carte,
al Premio Italo Calvino. È autore tra l’altro di Ogni viaggio è un romanzo (2007) e di Raccontami la notte in cui sono nato (2008). Per Feltrinelli ha
pubblicato Dove eravate tutti (2011,
Premio Mondello e Premio Vittorini) e, nella collana digitale Zoom, La miracolosa stranezza di essere vivi
(2012).
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