lunedì 29 luglio 2013

Recensione: Una stanza piena di sogni di Ruta Sepetys



Una stanza piena di sogni – Ruta Sepetys
New Orleans. Josie ha diciassette anni, ma non sa cosa sia un abbraccio. Non ha mai conosciuto l'affetto di una carezza, non ha mai ascoltato il suono di una voce dolce. Sua madre è una prostituta e l'ha sempre trattata come un'estranea. Eppure, da sempre, Josie custodisce un segreto, un luogo speciale tutto suo: la stanza sopra la libreria del quartiere, dove lavora. Lì si rifugia nei pochi momenti liberi delle sue giornate. Lì, tra le pagine di Charles Dickens, Jane Austen e Francis Scott Fitzgerald, immagina un futuro lontano. Quando, un giorno, nel negozio entra Hearne, un uomo misterioso con la passione per le poesie di Keats, Josie per la prima volta crede che il sogno di una nuova vita potrebbe diventare realtà. Hearne è diverso da tutti. Hearne si preoccupa per lei, le chiede come sta, le offre parole di conforto. È come il padre che non ha mai avuto. Ma, quando tutto sembra possibile, anche scappare da New Orleans, Hearne viene ucciso. La vita ha deciso di mettere ancora una volta alla prova Josie. Non solo Hearne non c'è più, ma a venire accusata della sua scomparsa è la madre della ragazza. Adesso Josie deve scegliere. Scegliere tra la donna che non le ha mai dato amore, e la fuga. Scegliere tra il cuore e la speranza. Gettare la paura alle spalle e spiccare il volo. Perché a volte si può volare anche con un'ala ferita.
Editore: Garzanti
Pagine: 320
Prezzo: € 17,60




Voto: 



Una stanza piena di sogni (in originale Out of the Easy, che non traduco col vero significato perché rischierei di svelarvi il finale) è la storia di Josie Moraine, una ragazza che vive in una piccola stanza sopra la libreria in cui lavora insieme a Patrick, il figlio del proprietario, e fa da domestica nella casa di appuntamenti di Willie, donna austera e affarista. Fin da piccola, la ragazza ha dovuto cavarsela da sola, ignara di chi fosse suo padre e costretta a rimediare agli errori della madre, anche lei prostituta alle dipendenze di Willie e personaggio assai opportunista, che non ha mai amato la figlia e anzi le ruba spesso i risparmi per gozzovigliare con uomini facoltosi, il più delle volte dei gangster. Ma quando alla libreria arriva Hearne, un misterioso uomo del Tennessee, Josie comincia a fantasticare che si tratti del padre mai conosciuto e, spinta dalla conversazione con l’uomo, inizia a credere di poter lasciare New Orleans e ottenere prestigiosa istruzione universitaria. Tutto sembra andar bene fin quando Hearne non viene ritrovato morto e quella che sembra una morte accidentale viene dichiarato un caso d’omicidio nel quale è implicata la madre di Josie. Come spesso accade, la polizia comincia a sospettare la complicità della ragazza, mentre una serie di eventi continua a sconvolgerle l’esistenza, e quando crede di aver raggiunto i suoi sogni, le sue ali vengono immediatamente tarpate. Ma, nonostante tutto, la speranza rimane nei suoi sogni, quando vede strade e luoghi lontani mai visti, la sua unica possibilità di fuga.

Tantissimi personaggi colorano questo romanzo di formazione che ha il sapore di David Copperfield di Charles Dickens (“onni-citato” nell’opera insieme al poeta Keats), in una vera e propria analisi etnografica della New Orleans degli anni Cinquanta: c’è il quartiere elitario e ricco, dove vivono gli uomini colti e di buon gusto, il quartiere dei neri e quello della classe operaia, il malfamato Quartiere Francese – dove si svolge l’azione. Incontriamo la burbera Willie, donna che gestisce il commercio del sesso ma che sembra veramente affezionata a Josie, abituata al lusso e a viaggiare sulla sua luccicante Cadillac nera che ha battezzato come Mariah. Louise, madre di Josie, è una donna becera e interessata ai beni materiali, senza un reale istinto materno e nata per la sua professione. Poi c’è Cokie, autista di taxi di colore che ha sempre una parola di conforto per la protagonista, insieme a Sadie, la cuoca della casa di piacere, muta ma capace di dimostrare una grande profondità d’animo. Poi c’è Jesse, un ragazzo che fa il fioraio e, per arrotondare la paga, ripara auto, che sembra essere attratto da Josie, che affettuosamente chiama Motor City (poiché lei è nata a Detroit). Infine ci sono Charlie e Patrick, il primo uno scrittore proprietario della libreria e da tempo affetto da una patologia neurologica degenerativa, il secondo un ragazzo molto sensibile che ama scommettere con Josie che tipo di libri acquisteranno i clienti e suonare il pianoforte. Altri personaggi si insinuano nella storia della ragazza, alcuni più importanti, altri meno, splendidamente dipinti su uno scenario vivido e lucente, a tratti cupo e spaventoso, che riesce a rapire il lettore e renderlo parte di una narrazione fluida e rocambolesca.

Ho trovato interessante, inoltre, le tematiche affrontate: si parla di omosessualità, razzismo, criminalità e rispettabilità, ed ogni argomento è ben amalgamato alla storia e affrontato con la delicatezza del caso, rilevando le mille facce della realtà e soprattutto focalizzando l’attenzione su quando sia importante la reputazione che si ha, non dovuta necessariamente a quello che si è, ma al peso che hanno le scelte degli altri sulla propria vita.

Avevo adocchiato questo romanzo a gennaio, quando ve ne avevo parlato nella mia rubrica dedicata alle uscite internazionali, e da allora sono rimasta in attesa della versione italiana. Ho amato sin dalla prima pagina lo stile della Sepetys che, sospeso tra cronaca, romanzo storico e romanzo di appendice, ne riprende il ritmo cadenzato in episodi in alcuni casi autoconclusivi. La parola è utilizzata magistralmente, sebbene non ci siano stratagemmi linguistici particolari. Ho apprezzato il modo in cui, nella traduzione italiana, alcune espressioni gergali tipiche del Quartiere francese siano state tradotte. Il romanzo sembra un vero e proprio tributo alla letteratura dickensiana, ai suoi tempi complessi e rocamboleschi, alla sua scrittura immediata eppure impregnata di significato. La lettura è veloce, soprattutto nelle ultime cento pagine, e gli eventi si susseguono in modo inaspettato; non c’è tempo per fare supposizioni su quello che succederà, perché l’autrice riesce a smontarle in men che non si dica. La fine potrebbe sembrare scontata, ma io direi che è lineare con la storia. 

Come in ogni romanzo dickensiano, infine, ad un certo punto della narrazione si utilizza un deus ex machina, non rappresentato da un personaggio, ma da una situazione. Non vi svelo nulla!

Consiglio questo romanzo a chi ama la letteratura classica, a chi ha sempre sognato di lavorare in una libreria, a chi ha già apprezzato lo stile della Sepetys in Avevano spento anche la luna e a chi ha voglia di una storia “vera”. Questo romanzo non vi deluderà di certo.

domenica 28 luglio 2013

On my wishlist (32)

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Tantissimo tempo è trascorso dall'ultima volta che ho aggiornato questa rubrica e nel frattempo diversi libri hanno rimpinguato la mia wishlist. Sto scoprendo l'amore per la saggistica - declinata in giornalismo, critica letteraria e antropologia - quindi troverete un po' di titoli corrispondenti a questa voce: Sesso e temperamento è uno scritto dell'antropologa Margaret Mead, volto a sottolineare, attraverso la sua esperienze tra i "selvaggi", quanto la differenza di genere sia culturale e non biologica; Esercizi di cronaca è il collage di una serie di interventi di Vincenzo Consolo, il giornalista e scrittore siciliano deceduto lo scorso anno; La nascita della tragedia di Nietzsche, invece, dovreste conoscerlo tutti: non c'è un motivo preciso per cui vorrei leggerlo, mi piacerebbe solo provare Nietzsche "dal vivo" e questo è il titolo che mi attira di più.
Per i classici, ispirata da Pan di Francesco Dimitri (che sto leggendo) mi è venuta voglia di leggerne uno a cui, prima d'ora, non avevo nemmeno pensato: Peter Pan di James Matthew Barrie. Conoscendo il cartone animato Disney e le varie trasposizioni proprio Peter Pan non era nemmeno citato nella lista dei classici da leggere. Ad un tratto, però, è salita la curiosità. Chi di voi lo ha letto?
Secondo titolo è L'uomo senza qualità di Musil. Anche di questo non chiedetemi perché. L'ho visto in libreria nell'edizione Einaudi Tascabili, due volumoni infiniti racchiusi nella loro plastica trasparente, al prezzo da capogiro di 29.00 euro. Ho pensato: lo voglio! Sì, magari, però, quando sarò in pensione.
Tra i contemporanei devo ammettere di non aver trovato granché che mi ispirasse da inserire nella lista dei desideri... Stoner di John Williams, anche se uscito da poco con Fazi, è solo relativamente un contemporaneo (pubblicato per la prima volta nel 1965). Mi ha incuriosito, dopo averne sentito parlare in rete, Miss Charity di Marie-Aude Murail (che comunque è un'autrice che da tempo mi intriga). La citazione di Jane mi fa un po' storcere il naso, ma penso meriti proprio una chance! 



Tra i saggi:

Sesso e temperamento - Margaret Mead
Le ricerche presso tre tribù della Nuova Guinea e l'incontro con modi di pensare estranei alla cultura occidentale hanno suggerito a Margaret Mead la tesi di questo classico dell'antropologia: le differenze fra uomo e donna non dipendono dal sesso, ma dal temperamento individuale; quindi i ruoli abitualmente etichettati come maschili o femminili non sono altro che costruzioni sociali. Sesso e temperamento, pubblicato per la prima volta nel 1935, inizia con straordinario anticipo un dibattito tuttora acceso, proponendo spiegazioni illuminanti a fenomeni come la liberazione sessuale, il movimento femminista, la crisi della coppia, e fornisce una risposta ai pregiudizi che ostacolano, ancora oggi, la comunicazione fra uomo e donna.







Esercizi di cronaca - Vincenzo Consolo
Vincenzo Consolo è stato uno dei grandi scrittori italiani del Novecento. È stato anche un grande giornalista. Dalla sua collaborazione con il rivoluzionario quotidiano siciliano «L'Ora», gli articoli di cronaca nera e inquietante, le inchieste sulla città e i suoi uffici e poi ancora interviste, questioni letterarie, recensioni, ma anche riflessioni civili. Un filo con la Sicilia che continua per moltissimi anni e che si alimenta, oltre che con i ritorni estivi nell’isola, proprio con queste cronache.
«La scrittura non cambia il mondo. Ma è una difesa contro la ferita dell’impotenza. Ne conviene anche Consolo che indossa la cronaca come un linguaggio diverso, moralmente e civilmente allarmato, che non si riconosce nelle narrazioni convenzionali, inadeguate al carico di pena e alle calligrafie del dolore di tante vite “deportate”: avvilite, mortificate, disfatte; dimenticate. Si inoltra nei dintorni oscuri e inospitali della città opulenta, nelle solitudini dei dormitori; si muove lungo gli orli sfumati della vita urbana. Incontra scelleraggine e sordidezza: fattacci di cronaca nera, tragedie familiari, speculazioni omicide. Ridiscende in Sicilia, nei paesi spogliati dall’emigrazione, a inventariare morti e rovine entro un panorama diroccato, abbandonato dallo Stato o affidato all’avidità degli esattori e alle politiche di tale o talaltro onorevole per nulla onorevole. Va per uffici anche. E raccoglie le voci tutte e le scalmane di un pazzo mondo di disservizi e disfunzioni: sgarbato e spiritato; e talmente compresso da sembrare invasato, e come in farsa». Salvatore S. Nigro analizza in questo modo lo stile narrativo di Consolo. E Vittorio Nisticò, direttore de «L’Ora» negli anni più gloriosi, offre questa testimonianza della sua maniera di essere giornalista: «Tuttavia un desiderio di giornalismo, sebbene latente, rimase sempre vivo, e pronto a venir fuori quando si presentava l’occasione buona. Fu così in quei mesi del ’75, quando facendo la spola tra la casa materna di Sant’Agata e la nostra redazione, si buttò con manifesta gioia in un intenso lavoro giornalistico. Partecipando dapprima con articoli e interviste alla campagna per il buon governo e la candidatura di Sciascia, poi nell’estate andando in giro col taccuino del cronista a seguire a Trapani il processo al “mostro di Marsala” (l’uomo che aveva fatto morire tre bimbe), o la vicenda del sequestro di Corleo, il patriarca delle esattorie. In pieno agosto, si era persino spinto, e credo anche divertito, a fare un “viaggio” di osservazione tra gli uffici semideserti di Palermo-capitale. Insomma, un bel bagno mediterraneo di umile giornalismo, mentre tra un servizio e l’altro trovava il luogo e il silenzio dove ripararsi per dare gli ultimi ritocchi a Il sorriso dell’ignoto marinaio: il capolavoro che da lì a qualche mese lo avrebbe consacrato tra gli eredi della grande letteratura che la Sicilia ha dato alla nazione».



La nascita della tragedia - Friedrich Nietzsche
Con La nascita della tragedia, sua prima opera, pubblicata nel 1876, Nietzsche appare subito nella sua unicità, ponendo al pensiero e alla vita nuove esigenze e nuovi criteri. In queste pagine si rivela, in una splendida orchestrazione musicale, dove il respiro wagneriano regola il flusso di una prosa inaudita nella lingua tedesca, quell’intuizione totale della civiltà greca – non accertamento storico, ma al contrario intenzionale riconquista di potenti categorie, quali l’apollineo e il dionisiaco, e, dietro a esse, della perduta saggezza tragica – che aveva guidato Nietzsche agli studi classici e resterà poi per sempre la sua stella polare: qui tale intuizione si presenta in una sorta di «iniziazione letteraria, dove il rituale misterico è sostituito dalla parola stampata». Forma di per sé azzardata e dissestante, sicché appare inevitabile che il libro provocasse grande scandalo nel mondo accademico; così avvenne, e fu un grande filologo, Wilamowitz, ad attaccare direttamente Nietzsche. Ma, anche per quanto riguarda la realtà storica, si può dire che il tempo ha agito in favore di Nietzsche: in questi cento anni, di fatto, il rigore filologico non può vantarsi di aver raggiunto grandi certezze sulle origini della tragedia greca – e, nella tenebra abbagliante di quegli inizi, certe singole osservazioni di Nietzsche e soprattutto la caratterizzazione del dionisiaco, che Nietzsche qui ha descritto per la prima volta nella sua opera, restano indispensabile riferimento.



Tra i classici:

Peter Pan - James Matthew Barrie
Il personaggio di Peter nasce in origine per una commedia: 'Peter Pan' o 'Il ragazzo che non voleva crescere', ancora rappresentata in Inghilterra nelle recite scolastiche natalizie. Peter Pan, simpatico sbruffone che sa suscitare tenerezza, è alla ricerca di una mamma per una schiera di bambini abbandonati o scappati di casa, di cui è capo indiscusso. La trova in Wendy, una assennata ragazzina della borghesia londinese, che si lascia trascinare, con i due fratellini Gianni e Michele, in favolose avventure che sono per Peter l'assoluta quotidianità. Wendy resterà con Peter nell'Isolachenoncè finché la nostalgia di casa non la spingerà a tornare, accettando così implicitamente anche il passaggio dalla fanciullezza all'età adulta.









L'uomo senza qualità - Musil
Robert Musil può essere a giusto titolo considerato il principale romanziere austriaco e una delle voci più significative del Novecento. La sua scrittura, che riassume in sé i contrasti della cultura scientifica e di quella umanistica, oscilla tra la dimensione sovrarazionale e il rigore matematico, tra la visione mistica e gli enunciati delle scienze naturali. La penna ironica e caustica di Musil trasforma la scrittura letteraria nell'utopia della dimensione razionale, superando l'antinomia tra narrazione e descrizione, per approdare alla formula del "romanzo­saggio". È quel che accade nell'"Uomo senza qualità", la sua opera principale, dove il romanzo si dissolve, o meglio muore, per poi resuscitare dalle sue ceneri nella saggistica. Capolavoro indiscusso, ritratto efficace ancora oggi delle contraddizioni vissute dall'uomo nella modernità, lacerato tra il "mondo di ieri" e i nuovi tempi che avanzano con tutta la loro carica distruttiva, il romanzo, che è rimasto incompiuto, apparve nel 1930 a Berlino. L'edizione comprendeva solo il primo libro, mentre gli altri trentatré capitoli sono stati pubblicati nel 1938; gli abbozzi e i frammenti dell'ultima parte vennero pubblicati dalla moglie dello scrittore nel 1943, dopo la sua morte. Questo volume propone, in una nuova e aggiornata versione, la parte edita da Musil dell'"Uomo senza qualità".



Tra i contemporanei:



Stoner - John Williams
William Stoner ha una vita che sembra essere assai piatta e desolata. Non si allontana mai per più di centocinquanta chilometri da Booneville, il piccolo paese rurale in cui è nato, mantiene lo stesso lavoro per tutta la vita, per quasi quarantanni è infelicemente sposato alla stessa donna, ha sporadici contatti con l'amata figlia e per i suoi genitori è un estraneo, per sua ammissione ha soltanto due amici, uno dei quali morto in gioventù. Non sembra materia troppo promettente per un romanzo e tuttavia, in qualche modo, quasi miracoloso, John Williams fa della vita di William Stoner una storia appassionante, profonda e straziante. Come riesce l'autore in questo miracolo letterario? A oggi ho letto Stoner tre volte e non sono del tutto certo di averne colto il segreto, ma alcuni aspetti del libro mi sono apparsi chiari. E la verità è che si possono scrivere dei pessimi romanzi su delle vite emozionanti e che la vita più silenziosa, se esaminata con affetto, compassione e grande cura, può fruttare una straordinaria messe letteraria. È il caso che abbiamo davanti.







Miss Charity - Marie-Aude Murail
Charity è una bambina. È come tutti i bambini, piena di curiosità, assetata di contatti umani, di parole e di scambi. Vuole creare e partecipare alla vita del mondo. Purtroppo, però, una ragazzina della buona società inglese dell'800 deve tacere, non mostrarsi troppo, salvo che in chiesa. Gli adulti che la circondano non fanno attenzione a lei, le sue sorelline sono morte. Allora Charity si rifugia al terzo piano del suo palazzo borghese in compagnia della servitù. Per non morire di noia, alleva dei topini nella nursery, veste un coniglietto, studia dei funghi al microscopio, impara Shakespeare e disegna incessantemente dei corvi, con la speranza che un giorno succeda qualcosa. Così comincia la vita di Charity Tiddler, ragazzina prima e donna poi che fa della libertà un principio di vita e in nome di questa sovverte tutte le regole borghesi della vita vittoriana. Un romanzo attuale nel tema, anche se di ambientazione ottocentesca, in cui l'ironia, il pettegolezzo, un certo tipo di società snob e talvolta grottesca nella sua smania per le apparenze portano la chiara cifra di una Jane Austen contemporanea.

sabato 27 luglio 2013

Incontro e intervista con Paolo di Paolo: "Mentre scrivevo mi rendevo conto che c'erano infinite connessioni con l'oggi. E anzi, posso dire che mi esplodevano fra le mani."




Lo scorso 6 Giugno mi sono recata presso la libreria Modusvivendi di Palermo per assistere ad un incontro con Paolo Di Paolo, finalista del prestigioso Premio Strega 2013 (terzo classificato). Non avevo mai visitato quel luogo, ma in precedenza ero stata affascinata dalle sue ricercate vetrine. L’atmosfera era impregnata di arte e cultura, mentre sui tavoli e negli scaffali campeggiavano libri interessanti, relegando le trovate commerciali nelle collocazioni più recondite in favore di buone letture. 

Mi sono aggirata come un tipo di biblioteca curiosando e aggiornandomi sui volumi candidati ai premi letterari e venendo attratta dal fornitissimo reparto di saggistica. Ho atteso, composta e impaziente, l’inizio dell’incontro, stringendo la mia copia di Mandami tanta vita – che avevo concluso da qualche settimana, e di cui trovate la mia recensione QUI.

Qualcuno nell’attesa discuteva di Pennac e le insegnanti presenti si consultavano sui libri da assegnare per le vacanze agli alunni, altri sfogliavano i romanzi meno recenti dello scrittore romano. Io stringevo in modo fiero il io taccuino e la mia copia di Mandami tanta vita, contenta di non essere impreparata e piacevolmente colpita dalla disponibilità che Di Paolo ha dimostrato al suo arrivo, conversando amabilmente con chi gli poneva le sue domande prima dell’inizio ufficiale dell’incontro.

A prendere per prima la parola è stata la poetessa Beatrice Agnello, che ha riportato il pubblico all’atmosfera del romanzo, la Torino umiliata degli anni Venti, senza dimenticare il confronto con la contemporaneità. I personaggi di Di Paolo, a suo avviso, ricordano non solo una fetta di storia della letteratura, riferendosi chiaramente ai personaggi di Vittorini e Moravia, ma anche al cinema italiano di Fellini, in particolare al film I Vitelloni. Il risultato è «un romanzo di grande sensibilità», conclude la Agnello, «la storia di due personaggi antipodici».

Il microfono è passato a Paolo Di Paolo, che ammette immediatamente di aver scelto di scrivere una storia volendo togliersi dal presente, lavorando su temi che, per evitare di rendere didascalici, ha preferito fungessero da atmosfera. Voleva raccontare la storia di Piero Gobetti, dapprima pensando al genere saggistico, decidendo poi di farne un racconto. Si è parlato dell’importanza che gli scritti di Croce avevano per Gobetti – che gli scrisse una lettera a soli diciassette anni -, con una piccola critica ai programmi universitari che tendono ad escludere l’insegnamento del filosofo. Di Paolo era affascinato dalla vita breve di Gobetti, morto a soli venticinque anni; ha recuperato nel 2008 l’epistolario tenuto con la moglie Ada ed è rimasto conquistato dal “tempo delle lettere”. 

Si è parlato del primo incontro tra i protagonisti del romanzo, Piero e Moraldo: il primo tiene una conferenza sul bolscevismo con dei dotti e il pubblico lo contesta. Si tratta di una verità storica, che Di Paolo ha sfruttato trasformandola in verità immaginaria, aggiungendo al pubblico Moraldo, ragazzo che vuole assomigliare a Gobetti e scisso dalla volontà di avvicinarlo e nello stesso tempo dal rancore per non essere al suo posto. Questo personaggio che ricorda un po’ l’inetto di Svevo è servito per raccontare una diversa sensibilità umana, riuscendo a mettere a nudo due anime molto differenti e svelando la dolcezza sotto l’«aridezza» e l’austerità di Gobetti (emblematica l’esortazione finale di Piero ad Ada: «Mandami tanta vita»).

Alla fine dell’incontro i presenti hanno posto le loro domande e poi si è passato alla “sessione di autografi”. 

In seguito all’incontro e successivamente al risultato ottenuto al Premio Strega, abbiamo avuto l’onore di poter intervistare Paolo Di Paolo.


Interview with...

Paolo di Paolo




1. Il suo ultimo romanzo, “Mandami tanta vita”, è stato candidato al Premio Strega 2013, aggiudicandosi il terzo posto nella cinquina finalista. Un bel risultato, che segue il Premio Mondello Opera italiana e il Superpremio Vittorini 2012 per “Dove eravate tutti”. Si aspettava di arrivare sul podio?

Naturalmente è stata una bella sorpresa. E anche una grande emozione. Lo Strega dà al libro un'ampia visibilità e sono più che soddisfatto del risultato che ho avuto.


2. “Mandami tanta vita” è la storia di due uomini antitetici: Piero e Moraldo, l’uno reale e l’altro immaginario, il primo è risoluto e il secondo è perso nella sua indecisione. Due uomini diversi, che mostrano una diversa sensibilità. Com’è nata l’idea di questo percorso parallelo dei due protagonisti?

Volevo evitare il romanzo storico-biografico tradizionale, trovare un modo diverso per raccontare la storia di un personaggio ispirato a un personaggio storico. Ho inventato così Moraldo, che doveva appunto essere l'opposto di Piero e allo stesso tempo il mio "filtro" romanzesco per accostare la grande personalità di Piero (Gobetti).


3. Piero è, come abbiamo già detto, un personaggio realmente esistito: Piero Gobetti, giornalista italiano antifascista morto alla giovane età di 25 anni. Come si è approcciato alla sua storia? Ha utilizzato delle fonti storiche?

La prima lettura che mi ha avvicinato a Gobetti è stata quella del bellissimo epistolario fra Piero e sua moglie Ada. Sono lettere straordinarie (e il titolo del mio romanzo viene da lì). Poi ovviamente ho letto tantissimo (la bibliografia su Gobetti è sterminata), fino al punto in cui ho sentito che potevo cominciare a raccontare la mia storia senza più essere vincolato alle fonti.


4. Nel romanzo, la parte “viva” è rappresentata dal “tempo delle lettere” tra Piero e la moglie Ada. In questo epistolario che si amalgama al resto del racconto, la parola ci regala bellissimi giochi semantici che lasciano intendere il forte legame tra i due: Piero riesce quasi ad esprimere il grande valore del loro rapporto solo attraverso la scrittura, tanto che il titolo del romanzo è tratto da un’esortazione che Piero lascia ad Ada in una delle sue ultime lettere…

Sì, è proprio così. Mi ha colpito questa comunicazione tanto intensa che passava per una via così "fragile". Le lettere non sono semplici lettere d'amore, ma sono segni di una complicità, di un autentico sodalizio che si costruisce giorno per giorno. C'è – oltre a un progetto familiare – anche un progetto intellettuale da portare a compimento.


5. Gobetti parla di crisi dell’editoria, sostenendo che sia solo “un alibi” in un mondo che ha deciso di smettere di produrre cultura. È anche il suo pensiero?

È una frase che ho trovato nei suoi scritti e mi è sembrato giusto riproporla in un tempo come il nostro: le difficoltà ci sono, sono oggettive, ma spesso le usiamo come alibi e attenuante per non avere osato qualcosa in più.


6. Che ruolo ha avuto la contemporaneità e la sua complessità in questo romanzo che sembra raccontare una storia in realtà non molto lontana da quello che viviamo oggi giorno?

Mentre scrivevo, non volevo alludere al presente, non volevo nemmeno attualizzare una storia di quasi un secolo fa. Ma mi rendevo conto che c'erano infinite connessioni con l'oggi. E anzi, posso dire che mi esplodevano fra le mani.


7. Piero “dialoga” con Croce, Nietzsche e Gogol. Quali sono gli scrittori e filosofi con cui Paolo Di Paolo ama “conversare”?

Fin da adolescente ho cercato anche io di dialogare con personalità del passato e del presente. Quelle del passato le cercavo, oltre che nei loro libri, anche negli epistolari, nelle tracce della loro vita "privata". Quelle del presente spesso le ho avvicinate in modo diretto, provando ad aprire un dialogo effettivo. È capitato per esempio con Montanelli, con Dacia Maraini, con Tabucchi, con Debenedetti. Persone molto diverse da cui ho imparato molto.


8. Nei suoi personaggi c’è l’eco della storia e della letteratura, nel caso di “Mandami tanta vita” penso specialmente ai protagonisti dei romanzi di Vittorini e Moravia. La sua conoscenza del Novecento letterario italiano ha in qualche modo contribuito al risultato finale di questo romanzo?

Sì, senza dubbio. Non ho solo letto libri storiografici, documenti ecc. Ma ho provato a reimmergermi nei romanzi scritti negli anni che raccontavo. Mi fa piacere la citazione di Vittorini, perché uno dei romanzi a cui pensavo era "Il garofano rosso". Poi Moravia, certo, e Pavese, Lalla Romano. Ma anche – su un piano perfino "concettuale" - "Una questione privata" di Fenoglio.


9. Lei è uno scrittore molto prolifico nonostante la giovane età, ma nella sua produzione, oltre che romanzi, vi sono numerosi libri-intervista. Qual è stato il personaggio che ha trovato più stimolante intervistare?

Da ciascuno ho appreso qualcosa. Non credo che l'intervista sia un genere minore. Se ben fatta, è un'occasione di dialogo e di confronto di grande valore. Tra le interviste più sorprendenti, posso citare un'intervista telefonica a Gianni Celati, che diceva cose bellissime, e una di persona a Salman Rushdie, di cui mi ha colpito il distacco auto-ironico. Se ne hanno tracce nell'ultimo suo romanzo, "Joseph Anton" (Mondadori), che mi ha molto colpito.


10. L'anno scorso è venuto a mancare un grande letterato italiano, Antonio Tabucchi, che lei ha avuto modo di intervistare in "Ogni viaggio è un romanzo", ricordare in "Una giornata con Tabucchi" e che ha scritto proprio del suo romanzo "Dove eravate tutti" nel 2011 per Repubblica. Quale è stato il suo rapporto con questo personaggio?

Tabucchi mi manca moltissimo. Era, nei miei confronti, paterno. E dunque protettivo ma anche brusco come un padre-maestro. Senza di lui ho la sensazione che manchi lo scrittore italiano nella cui letteratura mi specchiavo completamente. Lo cerco nei suoi libri, li rileggo, li sfoglio spesso. Ma non basta.




Paolo di Paolo (Roma, 1983)
Scrittore italiano. Nel 2003 entra in finale al Premio Italo Calvino per l'inedito, con i racconti "Nuovi cieli, nuove carte". Ha pubblicato libri-intervista con scrittori italiani come Antonio Debenedetti, Raffaele La Capria e Dacia Maraini. È autore di "Ogni viaggio è un romanzo. Libri, partenze, arrivi" (2007) e di "Raccontami la notte in cui sono nato" (2008). Ha lavorato anche per la televisione e per il teatro: "Il respiro leggero dell'Abruzzo" (2001), scritto per Franca Valeri; "L'innocenza dei postini", messo in scena al Napoli Teatro Festival Italia 2010. Nel 2011 pubblica "Dove eravate tutti" (Feltrinelli, vincitore del premio Mondello, Superpremio Vittorini e finalista al premio Zocca Giovani), nel 2012 nella collana di ebook "Zoom" Feltrinelli "La miracolosa stranezza di essere vivi" e nel 2013 "Mandami tanta vita" (Feltrinelli), finalista al Premio Strega 2013.




venerdì 26 luglio 2013

Recensione: La storia di Priscilla di Francesco Cacciatore



 La storia di Priscilla - Francesco Cacciatore
Sospeso tra il romanzo d'avventura, di formazione e il fanta-thriller, questo libro racconta la storia di Priscilla, una ragazza cresciuta,in seguito alla morte dei genitori, con suo nonno James, un affascinante professore di storia in pensione. Quando, nel giorno del suo quattordicesimo compleanno, un misterioso sicario bussa alla loro porta e uccide a sangue freddo il nonno, Priscilla deve fuggire per salvarsi la vita e scoprire la verità su James e su una faida millenaria tra due società segrete.

Casa Editrice: Pubblicato dall’Autore
Pagine: 356
Prezzo: 20,00 euro





Voto: 



Prendete la vita reale, aggiungete ripiegamenti spazio temporali, un sicario assetato di sangue, lotte tra antiche sette, un pizzico di magia ed eccovi “La Storia di Priscilla”.  Di questo romanzo, definito per l’appunto fanta-thriller, è difficile dare giudizio univoco e unilaterale, forse perché è insita la relatività del tempo e delle storie che questo racchiude.
Per fare un po’ d’ordine si potrebbe dire che l’impianto è circolare, strutturato in una trama generica che accoglie tutti i personaggi e in trame minori che seguono la storia dei singoli, i quali raccontano o rimembrano le proprie esperienze passate così che si inseriscano perfettamente nel narrato. La storia segue le avventure di Priscilla, ragazza che ha sempre vissuto con il nonno in seguito alla morte dei genitori e che in seguito all’assassinio di questo, scopre la vecchia vita di lui e anche qualcosa in più della propria.  Inseguita dallo stesso sicario, viene aiutata da Jean, un ragazzo con una dolorosa storia alle spalle, da Gilles, vecchio amico del nonno, e da un Marchese italiano diciassettenne, un piccolo genio capace di gestire gli affari di famiglia come solo un uomo navigato saprebbe fare.
In tutto questo non mancano certo i cattivi, in una distinzione non del tutto manichea che, ancora una volta, si diluisce in sfumature dove  non è possibile scindere nettamente bianco e nero.


L’ordine degli Storici, che fa capo a Tucidide, crede che la Storia debba essere raccontata senza intervenire, mentre l’Ordine dei Matematici, che si lega indietro nella storia ad Aristotele, ritiene che intervenire sulla Storia si può e si deve, dato che l’uomo, cieco, non fa che ripeter i suoi stessi errori. Sull’argomento si potrebbero accendere numerosi dibattiti e Cacciatore ce ne dà un assaggio, volto a sottolineare, in modo abbastanza razionale, che probabilmente una conclusione completa e priva di ombre non è del tutto raggiungibile. 
Da accanita lettrice di fantasy e fantascienza, devo ammettere la particolarità del libro nel momento in cui unisce storia, teorie scientifiche di ultimissima generazione e quella magia propria fantastico-mistico. La combinazione non è per nulla sgradevole o forzata, ogni cosa vien collegata all’altra con coerenza e l’idea di base che risulta una volta inquadrato il romanzo è complessivamente ottima. Diverso è invece il discorso per lo svolgimento del tutto.  Per un’idea così complessa e articolata, la trama sembra troppo semplice, troppo lineare. Questo fino agli ultimi capitoli, dove, con un salto temporale che necessita di qualche minuto di riflessione per esser compreso appieno, si conclude il romanzo e si sancisce l’impianto circolare di cui parlavo inizialmente. Insomma, un po’ di particolari in più in certi punti, un pizzico di complessità in più qui e lì non sarebbero stati male. Non che riflettere sulla trama sia un male, ma la conclusione sembra troppo netta, tanto che girando le pagine finali si ha l’impressione di averne saltata qualcuna. Mancanza giustificata, torno a dire, ma non del tutto appagante, tanto da lasciare un senso di incompiutezza in chi si trova a seguire gli ultimi concitati momenti del racconto. 
I personaggi sono ben descritti, la psicologia è ben resa, se non fosse per la love story scontatissima e prevedibile dei due protagonisti, davvero priva di qualsiasi originalità. Una critica va anche alla figura del sicario: un energumeno tutto muscoli, dotato di un cervello che funziona solo quando più conviene può anche esistere, ma che dire dell’indistruttibilità che fa tanto superman? Viene investito, pugnalato, sepolto sotto un cumulo di detriti, ferito da armi varie e si rialza sempre e comunque, più forte che mai. E’ forse un figlio di Krypton? Personaggio temibile e, certo, simbolo della forza distruttiva dell’essere umano, ma per la varietà delle trame incastrate l’una nel’altra, giustificare questa forza, questa indistruttibilità sarebbe stato davvero un lieve sforzo che però avrebbe dato senso e compiutezza alla figura. Ancora, come fa una bambina a non vedere mai una scuola –Priscilla viene educata dal nonno - e a non avere mai problemi con la legge? Come fa il sopracitato marchese diciassettenne a gestire una casata nobiliare, con annessi affari pubblici e non? E come fa una ragazzina in fuga con una borsa piena di soldi a farsela rubare nel giro di un millisecondo, poggiandola distrattamente per terra, dopo aver srotolato in aria con noncuranza un rotolo di banconote? Il ladro, nemmeno a dirlo, le restituirà ogni cosa non appena lei, dopo un inseguimento e una zuffa, si mette a piangere. Un vero gentiluomo insomma. Piccolezze, queste, che tolgono alla trama, di base validissima, un po’ di credibilità. 
 In conclusione, “La Storia di Priscilla” è un romanzo piacevole da leggere, adatto a chi vuole calarsi in una lettura diversa, ma non troppo impegnativa. 




Francesco Cacciatore 
Nato a Salerno nel 1987, ha vissuto a Salerno, Firenze e Roma. Laureato in Filologia Moderna, da allora si dedico alla scrittura. Ha collaborato con riviste e giornali, ma la sua vocazione è sempre stata la scrittura creativa e la narrativa.
La prima opera pubblicata è il romanzo "La storia di Priscilla", nel mese di febbraio del 2013.

giovedì 25 luglio 2013

International new releases of the month #9 : The 2013 Summer Page-turners List (Non-Fiction special)




Come annunciato nello scorso appuntamento, oggi parliamo dei romanzi non-fiction che il sito americano Parade.com ha inserito tra i dieci “libri da leggere tutti d’un fiato” per questa estate, chiedendo agli espertissimi editors di Amazon. Vi lascio a questa rassegna.

As announced last month, today we will talk about non-fiction novels that the U.S. site Parade.com has included among this summer "top page-turners books", provided by the briliant editors of Amazon.com.

The Boys in the Boat – Daniel James Brown

Questo racconto avvincente sulla sconfitta delle probabilità (e dei tedeschi) alle Olimpiadi del 1936 è una storia travolgente sulla possibilità. È anche un ritratto di nove ragazzi che remavano insieme per l'Università di Washington, e di colui che ha fatto dello sport la sua famiglia e la sua casa.


This riveting tale of beating the odds (and the Germans) at the 1936 Olympics is a rousing story of American can-do-ism. It’s also a portrait of the nine boys who first rowed together for the University of Washington, and of the one in particular who made the sport his family and his home.



Blue Plate Special – Kate Christensen
Alcune persone guardano alla loro vita attraverso i libri che hanno letto o gli abiti che hanno indossato. Questa scrittrice la analizza attraverso la piramide alimentare. Sia lei indulgente con i suoi sensi, i cosiddetti appetiti decadenti, o l'astensione da loro (riportando però le ricette), la Christensen serve una deliziosa storia di vita.

Some people view their lives through the books they’ve read or the clothes they’ve worn. This writer sees hers through the prism of food. Whether she’s indulging her sensuous, so-called decadent appetites, or abstaining from them (but still including recipes), Christensen serves up a delicious, multicourse life story.




A Curious Man – Neal Thompson
Nonostante venga fuori come un amabile e testardo vecchio zio piuttosto che un magnate, Robert "Credici o no" Ripley è stato l'inventore astuto di un impero dei cartoni animati che ha minacciato di far fallire la Disney. La biografia di quest'uomo strano e interessante è un must-read -ci crediate o no!

Though he comes off more like a nutty but lovable old uncle than a tycoon, Robert “Believe It or Not!” Ripley was the canny inventor of a cartoon empire that threatened to out-Disney Disney. The biography of this odd and interesting man is a must-read—believe it or not!



The Outsider: A Memoir – Jimmy Connors
Esuberante, arrabbiato, competitivo, e sboccato, questo è il nostro ragazzo! Gli appassionati di tennis potranno riconoscere il campione petulante degli anni '70 e '80, ma anche coloro che non amano una partita che finisce in parità potranno apprezzare lo stile di Connors. Inoltre, è stata una bella sorpresa per sua madre (che è stata la sua allenatrice per tutta la vita).

Feisty, angry, competitive, and foulmouthed—that’s our boy! Tennis fans will recognize the often petulant champ of the ’70s and ’80s, but even those who don’t know love from deuce may appreciate Connors’s take-no-prisoners style. Besides, he was really nice to his mom (who was his lifelong coach).




Mother Daughter Me –Katie Hafner
Dimenticatevi di tutte le idee romantiche su ciò che accade quando una donna quarantenne invita la madre a vivere con lei e la figlia adolescente per un anno. La Hafner scrive una storia esilarante e toccante su come essere al centro di un “panino familiare” è, beh, complicato.

Scrap any romantic ideas about what goes on when a 40-something woman invites her mother to live with her and her teenage daughter for a year. As Hafner hilariously and touchingly tells it, being the center of a family sandwich is, well, complicated.




Run, Brother, Run – David Berg
Un fratello era sulla sua strada per diventare un famoso avvocato, l'altro era un piccolo criminale ucciso dal killer Charles Harrelson (il padre di Woody). Come è successo? Dopo anni di silenzio, l'autore si propone di scoprire il destino di suo fratello minore in una notte texana del 1968. I dettagli che ha rimesso insieme sono una scoperta per lui e per noi.

One brother was on his way to becoming a famous lawyer; the other was a petty criminal murdered by hit man Charles Harrelson (Woody’s father). How did that happen? After years of silence, the author sets out to discover his younger brother’s fate that Texas night in 1968. The details he pieces together are eye-opening for him—and for us.




Revolutionary Summer – Joseph Ellis
Conosciamo tutti la storia di base della rivoluzione americana. Ma questo breve e avvincente romanzo ci fa guardare alla battaglia per l'indipendenza in un modo completamente nuovo. Focalizzando l'attenzione sulle maggiori personalità a lavoro nel 1776, Ellis crea un rapido, leggibile, colorato nuovo corso che non sembra avere il sapore dei compiti per casa.

We all know the basic story of the American Revolution. But this short, compelling book makes us look at our battle for independence in a whole new way. By focusing on the major personalities at work through a few months in 1776, Ellis creates a quick, readable, colorful refresher course that never feels like homework.



The Joker – Andrew Hudgins
In parte memoriale e in parte antropologia di uno scherzo, Hudgins, oggi professore, tesse la storia della sua vita attraverso gli strafalcioni che raccontava- e spiega perché un ragazzo molto serio si salvò, diventando il beffatore che è oggi.

Part memoir and part anthropology-of-a-joke, Baptist-born Hudgins, now a professor, weaves the story of his life through the howlers he told—and explains why a very serious boy saved himself by becoming the joker he is today.








Straight Flush – Ben Mezrich
Dopo aver letto Bringing Down the House di Mezrich, è probabile che credevamo di sapere tutto quello che c'era da sapere sui giocatori collegiali. Non è necessario scommettere su questa storia del poker online e dei ragazzi che ci giocano…

After reading Mezrich’s Bringing Down the House, you probably thought you knew everything there was to know about collegiate gamblers. You must not have bet on this tale of online poker and the guys who play it.






Lost Girls – Robert Kolker
Cinque donne sparirono in tre anni, su una spiaggia disabitata di New York. Furono tutte uccise dalla stessa persona per gli stessi motivi? La risposta a questa domanda è una scioccante e seriamente preoccupante storia sulla violenza e la vittimizzazione in America.

Five women disappear in three years, on a seven-mile stretch of unpopulated New York beach. Were they all murdered by the same man for the same reasons? The answer to this question is shocking and seriously worrisome about violence and victimization in America.




martedì 23 luglio 2013

Recensione: Autunno di Louis Bromfield




Autunno – Louis Bromfield
Per l'antica e illustre famiglia Pendleton, da tempo in declino, arriva finalmente il giorno per riaffermare il proprio ruolo nell'alta società di Boston. L'occasione è data dalla presentazione in società della giovane Sybil, appena tornata da un soggiorno di studio a Parigi. Non si tratta soltanto di un evento mondano ma della possibilità di rivitalizzare la dinastia attraverso la scelta di un buon partito per la ragazza. Il racconto si apre proprio nel giorno del ballo, tra i saloni adorni della dimora di famiglia, dove si muove con eleganza e discrezione la padrona di casa, Olivia Pendleton, madre di Sybil e prigioniera di un matrimonio noioso e sventurato. Intorno a Olivia ruotano una serie di personaggi alla ricerca di una felicità che sembra negarsi a ognuno di loro. Questa tetra atmosfera verrà spezzata da due eventi - l'innamoramento di Olivia per il giovane ed estroverso Michael O'Hara e la scoperta da parte della donna di un vergognoso segreto di famiglia contenuto in alcune vecchie lettere - due eventi che porteranno a un cambiamento radicale nella vita di ognuno dei protagonisti.
Editore: Elliot
Pagine: 249
Prezzo: € 18,00




Voto: 


Scrivo con difficoltà questa recensione, un po’ dispiaciuta perché mi trovo a dare un voto medio ad un autore Premio Pulitzer nel 1926. Ma non posso fare altrimenti: ho letto Autunno con molta difficoltà, perché ad una lettura quasi edificante e suggestiva si sono alternati fasi nelle quali non mi era psicologicamente possibile leggere più di una pagina al giorno. Ci sono voluti ben due mesi – giustificati anche dal periodo critico degli ultimi esami e della stesura della tesi – per terminarlo ed ora eccomi qui a mettere nero su bianco le mie impressioni.

La storia racconta la decadenza dell’aristocrazia americana agli inizi del XX secolo, in particolare della ricca famiglia Pendleton, che cerca in tutti i modi di attenersi ai canoni vittoriani di cui era impegnata la società americana a quel tempo – come ci ha insegnato la Wharton ne L’età dell’innocenza, gli americani criticavano le restrizioni inglesi per poi dimostrarsi ben più puritani e proibizionisti. Dopo la prima guerra mondiale, la famiglia ostenta un’antica ricchezza che non fa altro che mostrare al mondo il loro declino, mentre Anson, ultimo erede della famiglia rimane chiuso nel suo studio a cercare di risollevare la vecchia gloria del suo casato attraverso la stesura di una biografia di famiglia. A tentare di agire per il bene della figlia Sybil e del figlio Jack invece c’è Olivia, donna caparbia e intelligente, che tenta di insegnare alla figlia il valore di un matrimonio d’amore piuttosto che un contratto d’infelicità eterna stipulato attraverso nozze combinate. La stasi e l’impossibilità del cambiamento dominano la vita di Olivia, fin quando non compare sulla scena l’irlandese O’Hara, che le sconvolgerà la vita a tal punto da dover rivedere le proprie priorità e ricominciare a sperare nella possibilità dell’amore e della felicità.

Il romanzo è pieno di cliché, a partire dal modo in cui è ritratta la società, tipico della narrativa borghese degli anni Trenta, e dalla presenza del leitmotiv della donna costretta ad un matrimonio d’interesse che, ad un certo punto della sua vita, decide di perdersi tra le braccia di un amante. Olivia non è molto lontana da Emma Bovary, sebbene ami davvero la sua famiglia. L’autore traccia un vero e proprio profilo dei tanti tipi femminili: ad esempio ci sono la zia Cassie, considerata alla stregua di una donna pazza, e Sabine, che dapprima dà l’impressione di essere vagamente stupida, ma alla fine si rivela una figura altamente rivoluzionaria. 

La questione forse più importante e innovativa portata avanti nel romanzo è quella della possibilità del divorzio in una società così definita e perbenista quale quella americana. Per questo va il mio plauso all’autore, che ha saputo inserire bene nel testo un tema scottante, sebbene alla fine ciò che fanno i protagonisti risulti altamente scontato. L’intento di Bromfield era sicuramente analizzare a fondo una società fatta solo di “facciata”, dove l’unica cosa che conta è tenere a galla la propria rispettabilità per non compromettere le sorti di un’intera famiglia, in un meschino gioco nel quale non conta nulla se non il dio denaro. In maniera disillusa, l’autore racconta dei suoi contemporanei con un taglio elegante e seducente a tratti, ma per alcuni versi scontato e pesante. 

Devo ammettere di essere rimasta delusa dal finale, nel quale si ha una brusca interruzione del tenore tenutosi in tutto il romanzo, mentre i personaggi perdono di spessore e sembrano più intenti a blaterare piuttosto che darsi da fare agendo. Chiariamoci, non sono un tipo che disprezza la parola, ma il risultato è che alcuni di loro che all’inizio ci avevano dato l’impressione di essere altamente complessi, risultano assolutamente degli inetti. 

Ho letto questo romanzo in contemporanea con Il Grande Gatsby, romanzo dello stesso periodo e che per certi versi sembra aver avuto un certo influsso su Bromfield, e devo dire che ho apprezzato sicuramente il primo più del secondo. Autunno rimane, ad ogni modo, un romanzo interessante perché è scritto da un uomo ma racconta senza nessun pregiudizio una storia femminile, cosa davvero ammirevole per un romanziere degli anni Venti.



Louis Bromfield
Nato nel 1896 a Mansfield, in Ohio. È stato uno scrittore, saggista e riformatore agrario statunitense. Dopo gli studi in agraria e giornalismo, si unì agli American Ambulance Corps e all’esercito francese prestando servizio dal 1917 al 1919 e ricevendo la Croce di Guerra e la Legion d’Onore. Quindi ritornò a New York, dove si dedicò alla critica teatrale per «Time Magazine» e alla stesura di varie commedie che riscossero però scarso successo. Dopo la pubblicazione di The Green Bay Tree (1924), Bromfield si dedicò interamente alla narrativa e nel 1926 vinse il Premio Pulitzer con il romanzo Autunno. Entrambe le opere facevano parte di una quadrilogia, intitolata Escape e incentrata sulla figura di una donna forte e ribelle. Trasferitosi con la moglie e le tre figlie in Francia, nel 1931 conobbe Edith Wharton, con la quale intrattenne una lunga amicizia. Fu autore di oltre trenta romanzi, alcuni dei quali sono stati e continuano a essere long seller. Dalla più famosa delle sue opere, La grande pioggia, sono stati tratti due film. Morì a Columbus, in Ohio, il 18 marzo 1956.


Dello stesso autore:

domenica 21 luglio 2013

Recensione “Vernice Fresca” di Antonio Grassi

Un fantasma aleggia sulla Terra: lo spettro della contaminazione biologica. La responsabilità della scienza è chiamata in causa nel quarto romanzo di Antonio Grassi che propone con Vernice fresca nuovi inquietanti scenari per il nostro futuro. Se infatti la scienza promette di regalarci utili e strepitose scoperte, è dai potenti della politica e dell’economia che deriva la scelta di una ricerca indirizzata al benessere di tutti, oppure alla catastrofe.

Casa Editrice: Libreria Dornetti Editore
Pagine: 489

Prezzo: 17,00 euro





Voto: 





Ambientato in un paesino lombardo immaginario, Vernice Fresca sfiora il tema dell’attacco biologico e del bioterrorismo, ma lo affronta su un campo che nulla a che vedere con la corsa contro il tempo e l’azione. Lo affronta con gli occhi di un quasi-sessantenne che guarda alla propria vita passata con rimpianto e amarezze, con nostalgia e disillusione e che allo stesso tempo non vuole invecchiare. "Forever Young", ripete spesso il nostro “eroe”, Duilio Cattaneo, che scoprendo di una presunta manovra volta apparentemente alla guerra biologica, riprende il suo ruolo di combattente ideologo e tenta di sventare la minaccia. No, non si trasforma in una sorta di action man dalle qualità nascoste. Affronta la situazione come lo farebbe qualsiasi uomo che conosce la giungla imprenditoriale e politica. Raccoglie informazioni, consulta i suoi contatti, continua nel frattempo con la vita di tutti i giorni. Ciò che lo circonda è un paese di doppi volti, degno delle rappresentazioni di Pirandello, ma molto più cinico, molto meno elegante e rarefatto. Avvocati, medici, imprenditori, investigatori, politici, segretarie, persino casalinghe: Grassi ne ha per tutti e di ognuno rivela il doppio volto, improntato al guadagno, alla vendetta, all'ambizione. Si spinge più in là, tirando in ballo le multinazionali, le grandi case farmaceutiche, i servizi segreti e i governi, disposti a fabbricare virus in provetta e a disperderli in zone disagiate pur di vendere i vaccini o acquistare influenza politica o scatenare una vera e propria guerra biologica. Temi scottanti certamente, interessanti e utili a comprendere in che mondo viviamo perché sì, tutto quello che Grassi ci dice di case farmaceutiche e multinazionali è vero. Tuttavia, una tale dissertazione disattende completamente quello che inizialmente viene annunciato come “tema portante” del libro e inoltre comporta un accavallarsi di temi realmente collegati tra loro, ma che risultano eccessivi e difficili da incastrare bene in un organico di eventi senza risultar eccessivi o frammentari nel modo in cui vengono affrontati. Anche la politica vien tirata in ballo. Leader in gioventù di un gruppo attivista di sinistra, Babeuf, il nostro protagonista si ritrova, adulto, azionista e impiegato di una multinazionale, accusato di trasformismo, rincorso dal suo passato, minacciato di morte. Anche qui reagisce con disincanto, con distacco e non diventa una spia dei servizi segreti anzi mostra come, da privato cittadino con qualche contatto, ne vien manipolato, volente o nolente, dall'inizio alla fine. Dal paesino lombardo, la storia spazia e nomina organizzazioni da tutte le parti del mondo, giri di soldi e droga che rientrano nel mix di generi e temi di cui il libro è impregnato, senza tuttavia centrarsi su uno di questi. Insomma, troviamo un giro politico-imprenditoriale macchinoso, pesante da seguire, privo d’azione che non invoglia poi troppo alla lettura e non instaura nessun sentimento di suspence. Quanto allo stile, non manca di particolarità. Descrizioni meticolose che tuttavia sfociano spesso nella divagazione, elenchi di proposizioni brevi, lapidarie, associazioni di idee che seguono le linee di pensiero del protagonista. Questo è lo stile di Grassi: meticoloso e tuttavia tortuoso, unisce flusso di pensiero e precisione scientifica, a volte forse dilungandosi e facendo perdere il filo del discorso al lettore che non può permettersi assolutamente cali d’attenzione. 
Una miriade di personaggi affiancano poi Duilio Cattaneo. Di ognuno di loro vengono svelate pian piano le piccole ipocrisie, le forze e le debolezze, ma sono talmente tanti che inizialmente si ha la sensazione di esser stati invitati a una festa e d’aver dimenticato i nomi di tutti coloro che ci son stati presentati nei primi cinque minuti. Confusione, quindi, sopra ogni cosa. Discorso simile si può dire della trama: ogni personaggio scopre un pezzetto di storia, ma quella storia è condizionata da quel particolare punto di vista e si rivela spesso e volentieri falsa, fraintesa da chi la racconta. Fino alla fine, con tutte le rivelazioni e le svolte, non si riesce mai ad avere un’idea precisa di tutti gli intrecci che coinvolgono i personaggi, un’idea della trama complessiva, poi stravolta da una semplificazione che nulla, nel corso del romanzo, poteva in qualche modo preannunciare. Negli ultimi capitoli poi, una sorpresa che lascio ai coraggiosi che affronteranno le quasi cinquecento pagine del  romanzo, utile a dare una struttura circolare alla trama e a sottolineare ancora una volta il cinico realismo che su ogni cosa domina. Immancabile il riferimento ai giovani d’oggi senza futuro: sentenza senza via d’uscita. Grazie Sig. Grassi, per avercelo ricordato. 



Antonio Grassi
Giornalista e scrittore, è responsabile della redazione del quotidiano La Provincia di Cremona. Ha pubblicato la trilogia Macramè, L’erba del diavolo, Il cuore batte ancora, romanzi gialli a sfondo sociale e due pamphlet su questioni ambientali: Golflandia e altre storie e Forte Apache.

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