mercoledì 9 gennaio 2013

Recensione: L’inventore di sogni di Ian McEwan




L’inventore di sogni – Ian McEwan

Un bambino sogna a occhi aperti e immagina di far sparire l'intera famiglia, un po' per noia e un po' per dispetto, con un'immaginaria Pomata Svanilina; oppure sogna di poter togliere al gatto di casa la pelliccia, di farne uscire l'anima felina e di prenderne il posto, vivendone per qualche giorno la vita, soltanto in apparenza sonnacchiosa; oppure sogna che le bambole della sorella si animino e lo aggrediscano per scacciarlo dalla sua camera...
Fin dalle prime pagine di questo libro ritroviamo il consueto campionario di immagini perturbanti che sono un po' il "marchio di fabbrica" di Ian McEwan. Specialmente nella prima stagione della sua narrativa l'autore britannico ci aveva abituato a profondi e terribili scandagli nel microcosmo della famiglia, e in quei mondi chiusi e violenti i bambini e gli adolescenti giocavano sia il ruolo delle vittime e sia quello dei carnefici.
Nell'Inventore di sogni McEwan ritorna sul luogo del delitto, ma lo fa con un tono e uno spirito completamente diversi, scegliendo il registro sereno e sdrammatizzante per definizione: quello del "racconto per ragazzi".

Editore: Einaudi
Pagine: 117 pagine
Formato: brossura
Prezzo: € 8,50




Voto: 



“La vita è sogno”, come direbbe Calderon de La Barca. Siamo tutti quanti propensi al sogno ad occhi aperti, anche gli adulti.
In questo meraviglioso libricino, che si presenta come un racconto per ragazzi – ma che in realtà non farebbe male leggere anche agli adulti – McEwan ci presenta, con la sua spettacolare dialettica, la storia di un bambino con una fervida immaginazione in grado di fargli vivere avventure inimmaginabili. L’incontro con un ladro, lo scambio di corpi con un gatto e un neonato e perfino, sogno recondito e perverso di ogni bambino, far sparire i genitori con una pomata speciale.
C’è un solo problema: come ogni buon sognatore che si rispetti, Peter non è sempre compreso, ma anzi si vede affibbiata l’etichetta dello “strano” e spesso “diverso”, una tematica che sembra star molto a cuore all’autore, perché viene sottolineata fin dalle prime pagine. E di certo, la cosa che più colpisce è che non ci si limita, per esempio da parte degli insegnanti, al classico “è intelligente, ma non si applica”, piuttosto un voler risolvere la situazione nel modo sbagliato, come se Peter avesse qualcosa che non va.

Il romanzo è una raccolta di alcuni degli episodi più eclatanti della vita di Peter, raccontati con la maestria di chi è capace di fare diventare anche le storie più scabrose delle favole. Nonostante la materia principale sia il sogno, McEwan riesce a trasportarci in un mondo che quasi assomiglia al paese delle meraviglie, dove le bambole possono animarsi e organizzare un vero e proprio movimento di emancipazione per il possesso di un’intera camera, riuscendo di contro a risultare abbastanza realistico.
Inoltre è facile immedesimarsi in tutto ciò che accade: i pensieri del protagonista non sono altro che quelli che hanno cadenzato il nostro essere bambini, qualcosa che col tempo abbiamo dimenticato e non farebbe male ricordare per vivere con più spensieratezza il presente. Per certi versi, la lettura mi ha rimandato ad un altro romanzo strutturato in episodi quasi epici, ossia “Big Fish” di Daniel Wallace, ma la differenza sta nel fatto che, nonostante le avventure narrate da McEwan siano sostanzialmente fittizie, sono ben radicate nel reale, al contrario del romanzo di Wallace, dove sono rappresentate da eventi per lo più surreali. Ad ogni modo, la storia di Peter rappresenta un unicum, laddove c’è una digressione sottile ma esaustiva su una materia di origine metafisica.

Il capitolo che più mi ha colpito è “Il prepotente”, dove non solo Peter si confronta con il bullismo, ma avviene anche una delle riflessioni delle quali parlavo prima, improntata del relativismo sofista per il quale non è possibile pervenire ad una verità assoluta: il succo è che tutto quello che viviamo potrebbe essere sogno, sia le cose spiacevoli che quelle divertenti, e che nonostante ci sia la tendenza a giudicare finito tutto ciò che è tangibile, in realtà anche quello potrebbe far parte della nostra immaginazione.
Sebbene in alcuni momenti io sia arrivata a captare i piani del narratore prima che questi venissero svelati, la lettura è stata non solo scorrevole e piacevole, ma anche molto utile a portarmi verso la riflessione. Ci sono infatti delle domande, forse anche retoriche, che ci poniamo spesso quando stiamo vivendo la nostra realtà, se quello che ci succede sia tangibile o meno, o se siamo in verità trasportati nella dimensione onirica per cui tutto è pura immaginazione.
Io direi proprio che, se avete voglia di una lettura breve, edificante e letterariamente valida, “L’inventore di sogni” è il libro che fa per voi. Da parte mia, l’ho davvero apprezzato, ma nel mio caso sono di parte, visto che adoro la scrittura di McEwan.

Vi ricordo che, se cercate informazioni sull’ultimo romanzo di Ian McEwan, Miele, trovate un estratto e informazioni sulla trama qui.

Ian McEwan
Ian McEwan è nato nel 1948 ad Aldershott e vive a Londra. È autore di due raccolte di racconti: Primo amore, ultimi riti e Fra le lenzuola; un libro per ragazzi: L'inventore di sogni; un libretto d'opera: For You. Ha pubblicato il saggio Blues della fine del mondo e i romanzi: Il giardino di cemento, Cortesie per gli ospiti, Bambini nel tempo, Lettera a Berlino, Cani neri, L'amore fatale, L'inventore di sogni, Amsterdam, Espiazione, Sabato, Chesil Beach e Solar.
Tutti i suoi libri sono stati pubblicati in Italia da Einaudi.

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