Numero Zero, Umberto Eco
Bompiani
17 euro, 218 pagine
“Giusto. I giornali insegnano alla gente come deve pensare,” aveva detto Simei.
“Ma i giornali seguono le tendenze della gente o le creano?”
“Tutte e due le cose, signorina Fresia. La gente all’inizio non sa che tendenze ha, poi noi glielo diciamo e loro si accorgono che le avevano. Non facciamo troppa filosofia e lavoriamo da professionisti. […]”
Differenze a analogie con la consueta produzione di Umberto Eco nel suo ultimo libro, Numero Zero: prima differenza, la più lampante, è il ridotto numero di pagine rispetto alle altre opere, e tuttavia possiamo ritrovare, in modo quasi rassicurante, il solito stile narrativo ricco di riferimenti ad altre opere – e, in particolare, agli eventi legati a misteri e complotti italiani e internazionali.
Numero Zero, inizialmente, segue una struttura piuttosto semplice e già sperimentata ne Il Cimitero di Praga, con la presentazione del protagonista, Colonna, che si accorge di qualche stranezza avvenuta in casa, come se qualcuno fosse entrato a curiosare senza voler lasciare tracce. Dopo il primo capitolo, Eco procede nella narrazione con un flashback che ricollegherà il primo capitolo all’ultimo. Tutti gli avvenimenti che si susseguono nel corso del romanzo vengono narrati dal punto di vista del giornalista fallito (Colonna, per l’appunto) che si aggrappa alla proposta di lavoro di un caporedattore senza scrupoli, in combutta con un magnate della finanza che vuole farsi notare dall’alta società ed entrare in circoli ristretti di persone ricche e influenti, adoperando l’arma della manipolazione dell’informazione giornalistica per farsi accettare con la forza (tramite ricatti di scandali giornalistici contro gli altri magnati) negli ambienti tanto agognati.
Una delle pedine del gioco del magnate, oltre al caporedattore, sarà proprio il protagonista di questo romanzo, che chinerà il capo dinanzi alla necessità e accetterà di abbandonare i suoi princìpi morali per sopravvivere alla sua vita di privazioni e fallimenti.
Eco svilupperà poi, in parallelo, la storia di uno dei collaboratori del giornale da cui il libro prende il titolo, Romano Braggadocio, un presunto mitomane che cerca di ricostruire la vicenda di un complotto durato più di quarant’anni, che affonda le sue radici dalla presunta sopravvivenza di Mussolini nel ’45 (grazie all’uccisione di un suo sosia) fino alla serie di mistificate politiche anti-sovietiche che avrebbero interessato anche la politica interna dell’Italia, oltre che del resto dell’Europa.
Solo alla fine del romanzo le asserzioni del collaboratore Braggadocio avranno delle notevoli ripercussioni sulla vita e sull’attività del protagonista, e sarà così che Eco riuscirà a rendere funzionali alla trama tutte le pagine dedicate alle ipotesi di Braggadocio.
Umberto Eco riesce a essere un giudice quanto più imparziale possibile nella critica al sistema dell’informazione e dei giochi di potere che sfruttano la stampa per proliferare. Non vi è mai del paternalismo o un exploit eccessivo di frasi moraleggianti ma, nel suo giudizio, Eco si limita a poche frasi e a ragionamenti abbastanza brevi ma incisivi che vengono attribuiti ai personaggi coinvolti nella vicenda narrata.
Nonostante la “vicenda parallela” dei complotti ipotizzati da Braggadocio, Numero Zero si presenta a tutti gli effetti come una critica romanzata alla professione giornalistica contemporanea, con tutti i problemi congeniti al maggiore impatto dei mass-media come la televisione o la radio. Ma, oltre al confronto tra quotidiano e televisione, la critica di Eco si rivolge anche alle questioni di marketing della stampa, che si ritrova a dover convivere con il rifiuto dell’individuo medio di informarsi e la sua propensione a farsi abbindolare e manipolare dall’informazione stessa, che viene diretta (o dirottata, che dir si voglia) su determinati temi per occultarne altri più importanti o scottanti.
In questo romanzo, così come in molti altri, l’autore riesce a rendere molto realistico il contesto in cui si muovono i suoi personaggi e ad evidenziare, attraverso il loro linguaggio, la vicinanza temporale delle vicende narrate ai giorni nostri. Tuttavia, qualcuno potrebbe continuare a sindacare un tipico tratto caratteristico dello stile dell’autore, cioè quello riguardante l’uso eccessivo di riferimenti artistico-letterari che molto spesso non riescono a far comprendere gli accenni di humour, lasciando sfumare ogni tentativo di alleggerire la serietà della narrazione, ma ottenendo anzi l’effetto contrario.
Un’altra delle pecche che potrebbero essere ritrovate durante la lettura risiede proprio nella non comprensione, da parte del lettore, di ciò che Eco voglia comunicare, e a che punto voglia far arrivare la storia parallela del complotto.
Se per la maggior parte della narrazione la trama si incentra sul cinquantenne Colonna, la presenza di digressioni sui complotti potrebbe risultare quanto mai strana o, nel peggiore dei commenti dei lettori, fuori luogo.
Inizialmente si potrebbe pensare a un modo utilizzato da Eco per permettere al lettore di conoscere la personalità dei suoi personaggi, facendoli interagire tra loro ma, come per la signorina Maia Fresia, avrebbe potuto utilizzare degli scambi di battute molto meno prolissi.
Per fortuna, sarà solo alla fine che ci si accorgerà di come Eco continui a non deludere, non inserendo mai (o quasi mai) appendici inutili al corso degli eventi, ma anzi costruendo un perfetto puzzle in cui ogni pezzo assume il suo valore fondamentale nella composizione generale.
Se nella parte finale i livelli di suspense aumenteranno in un crescendo di fughe e momenti di terrore e paranoie, è proprio l’epilogo a far concludere il romanzo un po’ sottotono. Con il finale sembra che Eco voglia liquidare l’intero assetto narrativo con poche pagine di ragionamenti rassicuranti scambiati tra due dei personaggi e riguardanti l’evoluzione della vicenda. Parrebbe quasi che l’autore abbia esaurito tutto ciò di cui volesse parlare e dunque abbia voluto chiudere la storia senza pensarci troppo, inserendo una nota malinconica o positiva (giudizio che si lascia ai lettori) giusto per dare l’idea di un ritorno alla “normalità” dei primi capitoli.
Possiamo concludere dicendo che Numero Zero non è una lettura che dispiaccia o che sia di bassa qualità. È breve; interessante anche nelle parti in cui sembra non avvenire nulla di veramente rilevante; analizza fenomeni e dinamiche molto attinenti ai problemi della nostra società; ma di certo, quest’ultima opera, non sembra ricordare affatto l’afflato narrativo che si avverte nei passati libri dell’autore.
A cura di Tonino Mangano.
A cura di Tonino Mangano.
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