lunedì 27 luglio 2015

Al di là della scrivania, l'ufficio è d'ispirazione letteraria


Superiori insopportabili, competizione inspiegabile, guerre intestine di reparto, fuochi e fiamme tra segretari, sfruttamento, corruzione, mobbing e molestie sessuali: il mondo del lavoro - per chi riesce a farne parte - è un vero e proprio inferno. Questo sentimento comune è terreno fertile per la scrittura contemporanea, sempre alla ricerca di una resa il più possibile realistica della storia e del confronto con temi scottanti che rappresentano il main frame della vita ai tempi della crisi.

Se nell'Ottocento Dickens aveva fatto della descrizione delle condizioni disumane imposte agli operai nelle fabbriche la punta di diamante della sua narrativa, le sale d'ufficio sono oggi il più inflazionato dei set letterari. Se a partire dagli anni Trenta fino agli inizi del nuovo secolo il focus era centrato sulla denuncia della classe dirigenziale e delle illegalità commesse dai colletti bianchi[1], adesso non solo si indaga sul rapporto tra settori amministrativi e staff di supporto, ma anche sulle relazioni che intercorrono tra colleghi che svolgono la stessa mansione. Dalla narrativa tout court ai romanzi erotici, non c'è promozione, licenziamento o amplesso che si svolga in assenza di una postazione completa di scrivania, computer e seduta ergonomica.

Doveroso è ricordare che, ben prima della letteratura, a far da scuola sulle infinite possibili trame rintracciabili nella vita da scrivania è stato il mondo cinematografico, costruendo dei falsi miti che ad oggi continuano a influenzare l'immaginario collettivo. Vi è mai capitato di dare un'occhiata agli annunci di lavoro che riguardano la generica funzione di segretaria? Benché per legge gli annunci debbano riguardare entrambi i sessi - e una fuorviante post-fazione agli annunci che recita questa pertinenza -, immancabile è l'elencazione delle qualità preferenziali che saranno giudicate in sede di analisi del curriculum vitae, quali età compresa tra 18 e 30 anni, genere femminile e, soprattutto, bella presenza dimostrata nella foto allegata. C'è poi chi si spinge oltre dichiarando che si ricerca una personalità che rispecchi queste caratteristiche e che, inoltre, sia flessibile e elastica riguardo le mansioni di propria competenza e l'orario d'ufficio. Tradotto in parole povere: cercasi segretaria piacente, capace di gestire al minimo compenso il lavoro di ufficio, ma soprattutto disponibile a dimostrarsi compiacente nei confronti dei suoi superiori riguardo qualsiasi richiesta. Ciò dimostra che la letteratura contemporanea ha fondato nuovi tòpoi e tipi fissi che hanno immancabilmente suggestionato la realtà: dalla relazione peccaminosa tra dirigente e segretaria succitata, l'invisibilità  dei fattorini e degli addetti alle pulizie, l'autista sempre impeccabile e silenzioso, il capo settore algido e impenetrabile (che nasconde una vita familiare demolita dalla dedizione al lavoro), i sorveglianti notturni a cui sfuggono le intrusioni all'interno degli uffici - e i delitti in essi consumati.



Queste figure sono facilmente rintracciabili in tantissimi volumi: uno degli esempi più "antichi" è il racconto Bartleby lo scrivano di Herman Melville, pubblicato in due puntate sulla rivista Putnam's Magazine nel 1853, storia di un giovane che lavora e vive in un ufficio legale di Wall Street, senz'amici e senza fissa dimora, caratterizzato da un bizzarro rifiuto per la sua mansione. Altro campione è Il meglio della vita di Rona Jaffe, romanzo del 1958 che ha per protagonista una neoassunta segretaria che sogna di elevare la sua posizione attraverso il suo lavoro nella casa editrice Fabian, fronteggiando la ferocia dei suoi superiori, controllando le avances dei colleghi e potendosi avvalere del sostegno di altre due segretarie che, come lei, sognano un avvenire migliore. Il diavolo veste prada di Lauren Weisberger è poi uno degli esempi più realistici delle dinamiche d'ufficio: ci trasporta nella frenetica redazione di uno dei più importanti magazine di moda al mondo e nella complicata vita di Andrea, segretaria della direttrice, costretta il più delle volte a dover  scegliere tra la carriera e la vita privata. Sebbene l'autrice smentisca nella prefazione al libro qualsiasi riferimento alla vita reale, pare proprio che la storia sia stata ispirata alla sua esperienza come assistente personale di Anna Wintour, direttrice di Vogue.

Naturalmente questi sono solo alcuni degli innumerevoli titoli che riguardano l'argomento. Kundera direbbe che il romanzo è “l’ultimo osservatorio dal quale si possa abbracciare la vita umana nel suo insieme”[2]. Dello stesso avviso sembra essere Alice Furse[3], sostenendo che al centro dei romanzi ambientati in ufficio ci sarebbe qualcosa di più trascendentale: un universo fatto di disagi celati dietro ad abitudini volte a mantenere lo status quo. La deriva alienante dei protagonisti di tali romanzi è evidenziata dall'impossibilità di scindere lo spazio privato da quello pubblico, dove il secondo ha maggiore impatto sul primo per le pressioni alle quali ognuno di noi è sottoposto sul luogo di lavoro. Soprusi perpetuati dalle sfere più alte, mancati riconoscimenti, incertezza della durata dell'incarico ci portano a familiarizzare con i protagonisti e ad identificarci empaticamente con loro. Ovviamente, il lettore è conscio del fatto che alle situazioni-limite della realtà lavorativa non è sempre possibile porre rimedio, tanto da dover ammettere "la propria impotenza di fronte alle forze che circondano noi e le nostre banali esistenze". Queste storie hanno il pregio di espletare al meglio il ruolo della letteratura: farci sentire meno soli, facendo i conti con la personale esperienza ed esorcizzando la paura di vedere il proprio io annientato sotto il peso della quotidianità.










[1] Erwin Sutherland, I crimini dei colletti bianchi, 1949. Questo sociologo-criminologo, conosciuto soprattutto per aver elaborato la teoria dell'associazione differenziale, una teoria criminologica generale che insisteva sul fatto che il comportamento deviante, come anche quello conforme, fossero frutto di apprendimento delle dinamiche caratterizzanti di un certo contesto sociale. Nello specifico, inventò egli stesso la definizione di "colletti bianchi", spiegando che anche le classi dirigenziali sono soggette all'apprendimento della criminalità ma, a differenza dei ceti bassi, i loro non sono crimini "di strada", ma illeciti che coinvolgono e influenzano grandi sfere della società, compromettendo il benessere e la stabilità.


[2] Milan Kundera, Il sipario, Adelphi, 2005, citato in Gianfranco Rebora, Letture e visioni. Il management attraverso il cinema e la letteratur,http://www.biblio.liuc.it/liucpap/pdf/178.pdf


[3] Alice Furse, Bad days at the office: the novels that turn work into a private hell, 21 Luglio 2015, The Guardian on-line,http://www.theguardian.com/books/booksblog/2015/jul/21/best-office-novels-desk-job-hell-amelie-nothomb-jenny-turner-helen-phillips-lydie-salvayre

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