giovedì 30 maggio 2013

Una giornata al Salone Internazionale del Libro di Torino: David Grossman e Simonetta Agnello Hornby







Sabato 18 maggio è stata una giornata davvero speciale: dopo averlo desiderato per molti anni, finalmente sono riuscita ad andare a Torino in occasione del Salone Internazionale del Libro. A onor del vero, devo ringraziare la mia amica Lucia, che ha lanciato l'idea durante uno dei nostri aperitivi dove parliamo di tutto e l'argomento libri riesce in qualche modo a essere sempre presente! Abbiamo quindi aspettato pazienti che il programma fosse pubblicato, abbiamo scorto e valutato gli eventi di ogni giornata e deciso per sabato 18 maggio che proponeva, fra gli altri, nomi del calibro di David Grossman e Simonetta Agnello Hornby.
Ammetto che da sempre ho un debole per la letteratura israeliana contemporanea - fra le mie letture preferite ci sono i libri di Amos Oz (primo fra tutti La scatola nera), così come quelli di Grossman e Yeoushua –, non sorprende quindi che fossi particolarmente entusiasta all'idea di assistere dal vivo a una conversazione letteraria con uno degli scrittori che apprezzo di più.
Così, dopo un'ora trascorsa in piedi in coda ad aspettare di entrare nell'ampia sala dell'Auditorium del Lingotto, siamo riuscite ad “accaparrarci” degli ottimi posti nelle prime file, pronte a gustarci l'incontro. Grossman era a Torino per parlare della sua ultima fatica, Caduto fuori dal tempo edito da Mondadori, e la conversazione era guidata dallo scrittore Gian Luca Favetto. L'incontro si è aperto in modo molto suggestivo e coinvolgente, con Favetto impegnato nella lettura in italiano di un breve estratto del libro, seguito dalla lettura in ebraico dello stesso passo da parte di Grossman. Sarà stato per la lingua ebraica, morbida e sconosciuta, per la voce ben modulata dello scrittore israeliano, per la profondità del testo... ma credo che un incipit simile sarà difficile da dimenticare.
Dopodiché, grazie all'alternarsi di domande e risposte (ottimamente tradotte da una bravissima interprete, di cui purtroppo non ricordo il nome), è stato possibile scoprire di più su Caduto fuori dal tempo. Si tratta di un libro particolare, non un vero romanzo e nemmeno una testo lirico, “qualcosa che sta in mezzo”, un mezzo letterario per parlare del viaggio verso il luogo dove la vita tocca la morte. Grossman dice di parlare a chi non possiamo più sentire e, sentendo questo, il mio pensiero era subito volato al figlio Uri, morto nel 2006 durante l'ultima guerra che ha visto schierati Israele contro il Libano. Per lui scrivere un libro è come avere un dialogo interiore, si comprendono cose e aspetti della vita che non si potrebbero capire in altro modo. A questo punto, ci svela la “genesi”, se così si può dire, di Caduto fuori dal tempo: afferma di aver superato la paura di esporsi, di lasciar trapelare le emozioni della propria vita intima, proprio grazie alla stesura di questo testo, “un libro contro l'istinto di protezione”, che ha iniziato a scrivere dopo la scomparsa del figlio. Racconta infatti di aver deciso di non volere essere protetto dal dolore (dopo una perdita simile, cerchi a tutti i costi di aggrapparti all’istinto di autoprotezione),  perché vivere una vita troppo protetta equivale a non vivere davvero. Inoltre essere uno scrittore è un privilegio, in quanto ti dà la possibilità di poter raggiungere e affrontare il “posto” dentro di te che più ti spaventa.
Favetto riporta il discorso sulla forma narrativa del libro, lo shir ebraico (canto e poesia, azione teatrale, canto corale) e chiede a Grossman la ragione che lo hanno indotto a fare una scelta simile. La risposta dello scrittore è disarmante: “It found me”, non aveva cercato quella forma, la forma aveva cercato lui, lo stile è la “pelle” del libro, cresce con esso. Non c'era altra scelta, quel libro doveva essere scritto perché altrimenti la sua vita sarebbe stata intollerabile. Inizialmente il romanzo era stato concepito come una prosa, ma non poteva proseguire in tal modo: la morte di un figlio è un evento contro natura, contro le regole che vogliono i figli sopravvivere ai genitori e un'opera simile richiedeva una rottura delle regole della scrittura. Particolarmente bella una frase della moglie di Grossman “Poetry is the closest to silence” (La poesia è la più vicina al silenzio), la forma di scrittura che permette di dire e non dire allo stesso tempo.
Favetto prosegue chiedendogli in quale dei suoi personaggi si riconosce di più: il duca, lo scriba, il centauro, l'uomo. Grossman dice di essere dentro ogni personaggio, ma di essere più vicino all'uomo, identificandosi nella sua incapacità di parlare, nel suo senso di soffocamento, che però riesce a vincere semplicemente cominciando a camminare. E qui nasce una bella riflessione sulle catastrofi e su come possiamo cercare di superarle: l'aspetto peggiore delle catastrofi è che ci paralizzano, ci trasformano in pietre; avere la possibilità di descriverle con le proprie parole è una forma di ribellione che ci rende non solamente vittime, ma ci permette di trascendere e di non accettarne i dettami, determinando la capacità di agire.
In Caduto fuori dal tempo l'uomo va “laggiù”. Ma che luogo è “laggiù”? Dove si trova? Lo scrittore spiega che il “laggiù” dell'uomo è un posto dove è possibile parlare di ciò che era successo, un punto di incontro fra vita e morte. Non possiamo saperne di più, non sappiamo ciò che c'è dopo; Grossman si è avvicinato il più possibile, l'ha sfiorato e ha fatto ritorno. Ma nei suoi libri forse è diverso: in un libro possono esistere contemporaneamente assenza e presenza.
Infine Grossman parla di sé, rivelando che ama soprattutto raccontare storie. Alcune sere in Israele  gli capita di leggere a voce alta, davanti a un pubblico stanco, che però si riscuote pieno di interesse e con gli occhi scintillanti quando viene condotto per mano verso una storia. La conversazione si chiude in modo circolare, con l'autore di Gerusalemme che legge nella lingua madre un passo del romanzo, dedicato al tempo se ben ricordo.
Mi ha fatto piacere notare che il pubblico in sala (1900 spettatori secondo alcuni fonti) è stato attento per tutta la durata dell'evento, se si esclude qualche improvvido cellulare fortunatamente subito spento, e uscendo dalla sale ho potuto ascoltare commenti entusiasti di persone che, come me sono rimaste conquistate dalla dialettica e dalla profondità di David Grossman. Tanta era la voglia di applaudire, ma tutti i partecipanti hanno rispettato il “consiglio” dello scrittore, che ha invitato a rimandare gli applausi a fine incontro e solo se meritati! Per quanto mi riguarda, si è trattata di una vera e propria emozione, e se già ero convinta di voler leggere Caduto fuori dal tempo, ora non vedo l'ora.
Nel pomeriggio è stata la volta di Simonetta Agnello Hornby, scrittrice siciliana e avvocato residente a Londra, che ha presentato il suo Il Veleno dell'Oleandro (Feltrinelli). L'incontro, breve ma ricco di verve, ha visto l'autrice (che in sala è stata veramente simpatica) presentarsi da sola, in centro al palco, senza moderatore, e rivelare i tanti temi che sono presenti nella sua ultima fatica, composta in un momento difficile della propria vita, ossia dopo la morte della madre. In ogni libro, Simonetta Agnello Hornby va contro un tabù; in questo addirittura i tabù da affrontare sono due: la bisessualità e le donne mature “accompagnate” da uomini più giovani. Secondo la Hornby, quello dei bisessuali  è un mondo ancora poco conosciuto e compreso, probabilmente vittima di pregiudizi sia da parte eterosessuale che omosessuale; mentre per le donne in là con l'età che hanno ancora occhi per i giovani (leggi tardone in giovane compagnia) sembra sussistere ancora il vecchio pregiudizio, secondo cui agli uomini queste sbandate vengono concesse con indulgenza, mentre alle donne sono invece riservate solo battutine, feroce ironia e implacabile giudizio sociale. 
Inoltre, ne Il veleno dell'oleandro, l'autrice ha voluto toccare anche il tema della famiglia - che anche in Sicilia, come in tutta Italia, tende a disgregarsi - e delle nuove malattie del benessere, come l'anoressia. Altro argomento rilevante è quello della proprietà, la “roba” (che reminiscenze di verghiana memoria!), molto sentito nella regione mediterranea, Sicilia inclusa: si parla di un'eredità, i classici gioielli di famiglia da utilizzare per cercare di risollevare le sorti della casa, che in questo caso, appartenevano a una nonna un po' libertina.
L'aspetto forse più interessante dell'incontro è stato cogliere il vivo coinvolgimento della scrittrice nel tema spinoso della violenza familiare: nel romanzo, una donna subisce violenza da parte del marito e l'Agnello Hornby racconta senza mezze misure di quanto sia difficile e disturbante scriverne. Del resto, non dobbiamo dimenticare che l'autrice è da anni impegnata in prima linea nella lotta contro la violenza domestica: ha fondato nel 1979 a Londra il primo studio legale con una sezione dedicata ai casi di questo tipo e dal 2012 collabora con la Global Foundation for the Elimination of Domestic Violence, attiva in Italia attraverso l'affiliata EDV Italy. Per non dimenticare il suo impegno, ha ricordato la recente pubblicazione (8
maggio) de Il male che si deve raccontare, il libro scritto con Marina Calloni, professoressa di filosofia politica e sociale all'Università Bicocca di Milano, che non è solo un libro-denuncia, ma anche un testo che mostra come combattere la violenza domestica e proteggere le vittime. I proventi di questo libro saranno devoluti proprio a EDV Italy. Simonetta Agnello Hornby mi ha molto colpito, soprattutto quando ha parlato dell'importanza di mantenere le proprie origini (lei mantiene infatti il proprio accento siciliano nonostante gli anni trascorsi all'estero), ma anche di quella di aprirsi al paese nel quale si è ospiti: ha raccontato con una punta di rammarico dei suoi nipotini che non conoscono l'italiano (tranne uno) perché, a tutti gli effetti, questi bambini sono inglesi (anche se, secondo me, conoscere più lingue dalla primissima infanzia è un grande arricchimento). Una donna che è stato un piacere incontrare, seppure dall'altra parte del palco.
Bilancio della giornata? Più che positivo, sono tornata a casa soddisfatta del pieno di emozioni vissute e con un paio di libri da aggiungere alla lista dei desideri... Non aggiungo altro, se non che sicuramente è un'esperienza da ripetere!

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