A cura di Surymae Rossweisse

Salve a tutti, e benvenuti ad
un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Oggi parliamo di un mangaka amatissimo – di cui tra l'altro abbiamo già parlato, mesi e mesi fa, della sua
opera più famosa – noto per il suo sovrapporre in maniera perfetta lo sport e
le emozioni, la poesia e un umorismo leggero con il gusto delle citazioni.
Sarebbe facile soffermarsi sui suoi manga più celebri, ma siccome non è “Il
tempio degli Otaku” se qualche volta non mi dedico ad una serie che se non
conosco solo io, poco ci manca, eccoci qui a parlare di un volume
autoconclusivo, diverso dalle solite coordinate su cui si muove l'autore, ma
allo stesso tempo fedele alla qualità a cui da sempre ci ha abituato – e speriamo continui a farlo
anche in futuro. Beh, bando alle ciance: oggi si parla di “
Jinbe”, di
Mitsuru
Adachi. Buona lettura!
Jinpei “Jinbe” Takanashi è un
uomo come tanti: lavora in un acquario, sua grande passione, è benvoluto dai
suoi colleghi, da cui si distingue per l'indole bonaria.
La sua vita familiare, però, non
è comune. Anni prima Jinbe ha sposato una donna, Rikako, che aveva divorziato
dal precedente marito. La nuova coppia è andata a vivere insieme con la figlia
di lei, la piccola Miku, e tutto sembrava andare bene; almeno fino a quando,
ahimè, Rikako non si è ammalata ed è morta.

Sono passati tre anni da allora.
Jinbe e la ragazzina vivono ancora insieme, ma tra un'incursione del padre di
lei – che ancora non riesce ad accettare la scelta dell'ex moglie – e le prime
cotte l'equilibrio tra di loro comincia a farsi precario.
E' sempre più
pressante, per il nostro, la consapevolezza di non essere il genitore biologico
di Miku, e che mai lo sarà; ed è sempre più pressante per lei l'ambiguità della
loro relazione, troppo stretta per essere conoscenti ma troppo larga per essere
parenti. Prima o poi, arriverà il momento di scegliere definitivamente che
forma dare al proprio rapporto...
Innanzitutto, una premessa: dici
Mitsuru Adachi e dici “shonen”, in particolare quelli sportivi. Quasi tutte le
sue opere sono dedicate a quel tema – soprattutto il baseball, suo grande amore
– anche se lo sport viene sempre dopo le vicende emotive dei protagonisti. In
“Jinbe”, curiosamente, lo sport è solo sullo sfondo: il protagonista, infatti,
da giovane ha giocato a calcio, nel ruolo di portiere – in cui, pare, era
estremamente bravo.
Soltanto in un capitolo la sua
vecchia passione viene riesumata: per Miku, ovviamente. Il caso ha voluto che
lei avesse una cotta per un giocatore di calcio, il belloccio Jinishi, e sembra
ricambiata. Jinpei – un po' per vedere di che tempra è fatto il ragazzo, un po'
per fare impressione su Miku – decide di sfidarlo. La cornice della
competizione semi - seria sfuma presto, e il nostro ex portiere allena
addirittura la squadra di Jinishi. Come sempre, quindi, lo sport si deve
adeguare alle dinamiche dei protagonisti, ma mai come in questo caso: un motivo
valido per rendere “Jinbe” un'opera atipica nel parterre di Mitsuru Adachi,
anche se solo fino ad un certo punto.
Se lo sport non è l'argomento
principale di questo volumetto, allora cos'è, vi chiederete? Sono tanti: la vita quotidiana, e soprattutto,
naturalmente, la natura del rapporto tra i due protagonisti.

Partiamo dalla prima. Anche qui,
non un tema mai affrontato prima dall'autore, anzi. Gli eventi narrati nel
manga sono perlopiù cose che potrebbero capitare anche a noi: un compleanno
dimenticato, lo “spaccio” di fotografie dei ragazzi più belli della scuola, gli
scherzi dei bambini, la visita alla tomba di una persona cara che ci ha lasciato
prematuramente. Qualcuno di voi potrebbe pensare che si tratti di qualcosa di
piuttosto noioso; e invece no. Questo perché
tutti questi avvenimenti hanno uno
scopo preciso: caratterizzare i personaggi. Il lettore può così vedere a modo
suo, senza che nessuno glielo racconti dall'esterno, come sono fatti i
protagonisti, quali sono le loro abitudini e come interagiscono fra loro. Ecco
come
mai Jinbe
ci appare sotto una luce positiva: perché lo vediamo sorvegliare sul benessere
di Miku, almeno fino a quando, dice, la ragazza non avrà trovato qualcun altro
degno di farlo. Ecco come mai scopriamo che Miyage, il padre di Miku, è
qualcosa di più di un ex marito deluso: vuole ancora trovare spazio nella vita
della figlia, anche a costo di dover acquistare, nel pacchetto, l'uomo che gli
ha rubato la moglie. Ecco come mai sappiamo che
Miku è insoddisfatta della
situazione precaria con Jinpei: la vediamo fare sempre riferimenti più o meno
velati a ciò.

Adesso credo sia giunto il
momento di parlare dell'argomento cardine del manga: il rapporto tra i due
protagonisti. Jinbe - caratterizzato in modo assolutamente realistico - è
indeciso, e propende per lasciare le cose così come sono, metà parenti e metà
qualcosa di più. Questo perché è diviso tra due fuochi. Il primo è la sua parte
paterna: quella che ricorda con tenerezza Rikako, che ritiene di poter essere
l'unico punto di riferimento di Miku, e perciò l'unico che può salvaguardare la
sua crescita e renderla un'adulta serena. Ma il suo essere guardiano è davvero
così disinteressato? L'esclusività che ritiene di avere sulla ragazza è dovuta
soltanto allo sforzo di proteggerla, o ad una malcelata gelosia? Andando più
oltre,
qual è la vera causa di questa gelosia? Questo è il secondo fuoco di
Jinbe: quello che gli rammenta, incessantemente, che anche se lei lo chiama
così lui non è il suo vero padre;
molte pretese che accampano i genitori, come
ad esempio l'attenzione nei confronti degli spasimanti delle figlie, lui non le
può fare. “E' così che si comportano i padri?” le chiede una volta.
Come spesso accade anche nella
realtà, però, chi è il più maturo della coppia è lei, sebbene sia più giovane. A volte anche provocandolo – facendo battute scherzose, o comportandosi in modo
quasi da civetta – gli fa capire che sta diventando una donna, e che questa
situazione gli sta stretta. Miku sa benissimo che non si può andare avanti così
per sempre, e che bisognerà fare una scelta. E questa decisione spetterà
solamente a lei: sarà senza dubbio sofferta, ma è una cosa necessaria. Jinpei,
però, questo lo capisce solo fino a un certo punto. O forse fa finta di non
capire...

Infine, il terzo incomodo:
Miyage. Ironia della sorte, pare fosse un vecchio compagno di Jinbe: di
conseguenza, quando sua moglie ha scelto l'altro, non ci è rimasto molto bene.
Jinpei, però,
gli addossa la colpa: ha dato troppa attenzione alla carriera e
alla ricchezza personale, logico che poi abbia perso tutto. Miyage però non ha
intenzione di farsi da parte. Miku rimane sua figlia, ed è chiaro che
nonostante le apparenze le è sinceramente affezionato:
non tollera – e ritiene
sbagliato moralmente –
che lei viva con un uomo con cui non è parente. Almeno
la sua posizione, quindi, è chiara, ma non è questo consoli molto Jinbe; anzi,
non gli piace che frequenti la ragazza. Anche qui, bisognerebbe capire il
perché: lo ritiene semplicemente una persona dannosa per la vita di lei, o teme
che, al contrario, questa decida di tornare da lui, abbandonando il povero
Jimpei? Nonostante quindi il suo risicato spazio nella storia,
è Miyage il
perno del rapporto tra ragazza e l'ex di Rikako; è anche sul suo ruolo che Miku
deve scegliere. E prima o poi, state sicuri, lo farà...
Il tratto di Mitsuru Adachi è
caratteristico, all'insegna della morbidezza.
E' piuttosto semplice: le
fisionomie dei personaggi sono elementari – ed un po' si assomigliano tutte –
gli sfondi sono spogli, e a parte poche
scene naturalistiche le tavole sono parche di dettagli. In compenso
la regia di
queste e le inquadrature sono piuttosto cinematografiche e personali: frutto,
senza dubbio, di un'esperienza fatta sul campo. E i cui frutti sono ampiamente
meritati.
E per oggi è tutto, cari
amici. Arrivederci alla prossima settimana, con “Il
tempio degli Otaku”!
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per aver condiviso la tua opinione!