A cura di Glo in Stockholm
I shall bury the wounded like
pupas,
I shall count and bury the dead.
Let their souls writhe in like
dew,
Incense in my track.
The carriages rock, they are
cradles.
And I, stepping from this skin Of
old bandages, boredoms, old faces
Step up to you from the black car
of Lethe,
Pure
as a baby.
Da Getting There di Sylvia Plath
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Avevo
appena 17 anni quando ho trovato questo frammento di una poesia di Sylvia
Plath: si trattava dell'introduzione di un romanzo di Danielle Steel, se
ricordo bene, e subito ero rimasta colpita dai pochi versi riportati. Mi ero
ripromessa di leggere gli scritti di questa sfortunata poetessa e scrittrice
americana, così intensi e disperati, perfetti quando si è adolescenti in piena
crisi e si vuole trovare qualcosa che esprima a parole il proprio disagio, ma
poi, per una ragione o per l'altra, non l'ho mai fatto.
Non
ho più pensato a Sylvia Plath fino a qualche giorno fa, quando sul blog di uno
dei miei mensili preferiti è comparso un post che ne commemorava il 50°
anniversario della morte. E sì, Sylvia Plath, aveva appena 31 quando decise, l'11
febbraio del 1963, di porre fine, tragicamente, alla sua tribolata vita.
Era giovane, una giovane madre di due bambini, una donna di grande talento
eppure non era riuscita a sopportare il fardello della propria esistenza,
scegliendo deliberatamente la fine ed entrando nella dimensione eterna dei miti
letterari, simbolo anche di rivendicazioni femministe.
Come
tante donne brillanti e dotate della sua generazione, Sylvia Plath, nata a
Boston nel 1932 ed educata secondo i rigidi valori dettati dalla società
perbenista americana dell'epoca, ha vissuto sempre in bilico, divisa tra le
proprie ambizioni di scrittrice e il ruolo tradizionale di moglie e madre. Non
dimentichiamo infatti, che anche allora per le donne era tutto più difficile:
le legittime aspirazioni a una realizzazione personale al di là delle
convenzioni, disturbi come la depressione erano considerati quasi un marchio di
infamia e curati a suon di elettroshock.
In
questi giorni ho avuto modo di leggere più di un articolo dedicato a questo
anniversario, in cui spesso il mondo di Sylvia Plath è stato associato a quello
descritto da Richard Yates in Revolutionary Road, da cui è stato tratto nel
2008 un bellissimo film con Kate Winslet e Leonardo di Caprio. Una realtà
asfittica, in cui era impossibile uscire dagli schemi, pena la totale
esclusione sociale. Tuttavia, proprio qui emerge la grandezza di questa
autrice, che è stata in grado di coniugare potenza espressiva e realizzazione
di sé, riuscendo così, almeno in parte, a superare i limiti del ruolo di
“moglie” e a trarre una grande forza creativa.
Per
me, da sempre affascinata dalla figura mitica di Zelda Sayre, un altro
personaggio femminile fragile e dannato, a cui non è mai stato perdonato di
essere stata qualcosa di più di una bella bionda, è stato naturale pensare alle
analogie fra le due, seppur molto diverse: entrambe morte giovani (sebbene solo
la Plath suicida), sposate a uomini sbagliati e considerate schegge impazzite,
da “confinare” per non turbare il perbenismo imperante.
Concludo
segnalando che in occasione di questo anniversario, anche una casa editrice
importante come Mondadori ha voluto ricordare la poetessa, raccogliendo le sue
liriche in un volume, "Tutte le poesie" (Oscar Poesia,
Mondadori, p 880, 18 euro), a cura di Anna Ravano e con un saggio introduttivo
di Seamus Heaney, non dimentichiamo
inoltre l'unico romanzo “La Campana di vetro”, un attualissimo diario
della disperazione che è anche un invito a non arrendersi alla vita e a
reagire. Quindi il mio consiglio è: leggiamo Sylvia Plath, una donna come noi,
una madre come tante di noi, con i propri dolori e le proprie gioie, solo più
fragile di noi; scopriamo come vedeva il mondo attraverso le sue poesie,
ringraziamola perché anche le sue parole sono state d'ispirazione a quelle
donne che hanno combattuto per ottenere quei diritti di cui fortunatamente oggi
godiamo.
Brividi per una donna, prima ancora che scrittrice, assolutamente dalla sensibilità enorme.
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