venerdì 1 marzo 2013

11 febbraio 1963 – 11 febbraio 2013: a 50 anni dalla morte, un ricordo di Sylvia Plath




 A cura di Glo in Stockholm


I shall bury the wounded like pupas,
I shall count and bury the dead.
Let their souls writhe in like dew,
Incense in my track.
The carriages rock, they are cradles.
And I, stepping from this skin Of old bandages, boredoms, old faces
Step up to you from the black car of Lethe,
Pure as a baby.

Da Getting There di Sylvia Plath



Avevo appena 17 anni quando ho trovato questo frammento di una poesia di Sylvia Plath: si trattava dell'introduzione di un romanzo di Danielle Steel, se ricordo bene, e subito ero rimasta colpita dai pochi versi riportati. Mi ero ripromessa di leggere gli scritti di questa sfortunata poetessa e scrittrice americana, così intensi e disperati, perfetti quando si è adolescenti in piena crisi e si vuole trovare qualcosa che esprima a parole il proprio disagio, ma poi, per una ragione o per l'altra, non l'ho mai fatto.
Non ho più pensato a Sylvia Plath fino a qualche giorno fa, quando sul blog di uno dei miei mensili preferiti è comparso un post che ne commemorava il 50° anniversario della morte. E sì, Sylvia Plath, aveva appena 31 quando decise, l'11 febbraio del 1963, di porre fine, tragicamente, alla sua tribolata vita. Era giovane, una giovane madre di due bambini, una donna di grande talento eppure non era riuscita a sopportare il fardello della propria esistenza, scegliendo deliberatamente la fine ed entrando nella dimensione eterna dei miti letterari, simbolo anche di rivendicazioni femministe.
Come tante donne brillanti e dotate della sua generazione, Sylvia Plath, nata a Boston nel 1932 ed educata secondo i rigidi valori dettati dalla società perbenista americana dell'epoca, ha vissuto sempre in bilico, divisa tra le proprie ambizioni di scrittrice e il ruolo tradizionale di moglie e madre. Non dimentichiamo infatti, che anche allora per le donne era tutto più difficile: le legittime aspirazioni a una realizzazione personale al di là delle convenzioni, disturbi come la depressione erano considerati quasi un marchio di infamia e curati a suon di elettroshock.
In questi giorni ho avuto modo di leggere più di un articolo dedicato a questo anniversario, in cui spesso il mondo di Sylvia Plath è stato associato a quello descritto da Richard Yates in Revolutionary Road, da cui è stato tratto nel 2008 un bellissimo film con Kate Winslet e Leonardo di Caprio. Una realtà asfittica, in cui era impossibile uscire dagli schemi, pena la totale esclusione sociale. Tuttavia, proprio qui emerge la grandezza di questa autrice, che è stata in grado di coniugare potenza espressiva e realizzazione di sé, riuscendo così, almeno in parte, a superare i limiti del ruolo di “moglie” e a trarre una grande forza creativa. 
Per me, da sempre affascinata dalla figura mitica di Zelda Sayre, un altro personaggio femminile fragile e dannato, a cui non è mai stato perdonato di essere stata qualcosa di più di una bella bionda, è stato naturale pensare alle analogie fra le due, seppur molto diverse: entrambe morte giovani (sebbene solo la Plath suicida), sposate a uomini sbagliati e considerate schegge impazzite, da “confinare” per non turbare il perbenismo imperante.
Concludo segnalando che in occasione di questo anniversario, anche una casa editrice importante come Mondadori ha voluto ricordare la poetessa, raccogliendo le sue liriche in un volume, "Tutte le poesie" (Oscar Poesia, Mondadori, p 880, 18 euro), a cura di Anna Ravano e con un saggio introduttivo di Seamus Heaney,  non dimentichiamo inoltre l'unico romanzo “La Campana di vetro”, un attualissimo diario della disperazione che è anche un invito a non arrendersi alla vita e a reagire. Quindi il mio consiglio è: leggiamo Sylvia Plath, una donna come noi, una madre come tante di noi, con i propri dolori e le proprie gioie, solo più fragile di noi; scopriamo come vedeva il mondo attraverso le sue poesie, ringraziamola perché anche le sue parole sono state d'ispirazione a quelle donne che hanno combattuto per ottenere quei diritti di cui fortunatamente oggi godiamo.

1 commento:

  1. Brividi per una donna, prima ancora che scrittrice, assolutamente dalla sensibilità enorme.

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