Salve a tutti, e benvenuti ad
un'altra puntata de “Il Tempio degli Otaku”! Questa settimana, lasciatemelo
dire – ed abbandonare la modestia – abbiamo una vera chicca. No, non mi
riferisco all'ennesima serie che conosciamo solo io ed i loro autori. Tutt'altro:
parliamo di una vera istituzione, sia in Giappone che in Italia, un
manga che ha rivoluzionato gli shonen degli anni '80 portando idee che prima
erano semplicemente impensabili e che, con i suoi personaggi carismatici, le
vicende toccanti e profonde, i combattimenti avvincenti, ha lasciato un segno
su tutte le opere future (ad esempio “Le bizzarre avventure di Jojo” di
Hirohiko Araki su cui di tanto in tanto dedico degli appuntamenti). Qualunque
appassionato di manga che si rispetti ci si sarà sicuramente imbattuto e l'avrà
letto a sua volta. Altrimenti, può sempre documentarsi leggendo la recensione:
signori e signori, “Ken il Guerriero” di Buronson e Tetsuo Hara! Buona
lettura!
Siamo alla fine del Ventesimo
Secolo, alle prese con le conseguenze di terribili incidenti nucleari. I
pochi sopravvissuti devono adattarsi ad una vita forzatamente semplice, dovendo
fare i conti con la mancanza di risorse – l'acqua su tutti – l'assenza di
autorità e il conseguente proliferare di criminali che si approfittano dell'emergenza
per fare i loro comodi. Tra un villaggio e l'altro si muove Kenshiro,
erede della scuola di combattimento di Hokuto, che usa le nozioni
da lui apprese per sgominare i malvagi. E già che c'è, cercare indizi sulla
sorte della sua amata, Julia, rapita da uno dei maggiori esponenti della
scuola di Nanto, storica rivale di quella di Hokuto. Unendo i suoi
obiettivi personali con quelli più “solidali”, Kenshiro conoscerà nei suoi
vagabondaggi sia tanti uomini da sconfiggere che tanti innocenti da proteggere.
Per chi si fosse sintonizzato
solo ora su queste frequenze, tenete presente che stiamo parlando non solo di
un manga di combattimenti, ma di un manga di combattimenti il cui target è più
vicino all'infanzia che all'età adulta. Non aspettatevi, perciò, una trama
coerente, ideata non di settimana in settimana ma con congruo anticipo – curata
da un ancora inesperto Buronson, che comunque si farà le ossa durante lo
svolgimento della storia. Nella seconda metà dell'opera, infatti, le cose
miglioreranno, raggiungendo addirittura forse un eccesso di zelo nella
costruzione delle vicende e dei suoi retroscena.
Ma allo stesso tempo, non
abbassate troppo le vostre aspettative, qualunque esse siano. “Ken il
Guerriero” peccherà forse di trama ma non nella parte più d'azione. Gli
scontri sono infatti curatissimi e di breve durata – a differenza di molti
shonen moderni che non capiscono il semplice assioma che allungare il brodo e
mantenere alta la tensione non si conciliano bene. La sceneggiatura si
intromette con parsimonia: niente inutili chiacchiere – come dimostra la
celeberrima frase di Ken “Sei già morto” - e nessuno dei testimoni di turno ha
la bella pensata di descrivere nei minimi dettagli il combattimento che sta
avvenendo sotto i nostri occhi. Vero, Araki?
Ma soprattutto, i
combattimenti hanno una ragione di essere. A parte i cattivi minori che
sono tutti uguali – anche fisicamente! - e il cui unico obiettivo è godere del
dolore altrui, gli altri personaggi hanno la loro etica ed i loro motivi per
combattere. L'esempio lampante è lo stesso Kenshiro, la cui filosofia è far
ritrovare il sorriso ai bambini, le principali vittime della fame, delle
malattie e della criminalità. Potrebbe sembrare una contraddizione che per
riuscirci usi la violenza, ma non è così. Ken, in quanto depositario di
poderose capacità da combattente – che però, all'occorrenza, possono anche
essere utilizzate per scopi curativi – usa il suo potere per fare del bene: per
proteggere chi non ha i mezzi, o in alternativa ispirare con il suo esempio
altri a fare lo stesso. E' lui il primo a volere una soluzione più pacifica,
come dimostrano i vari tentativi di redimere i cattivi di turno – ad eccezione
dei più infimi e implacabili, per cui la pietà non è prevista – ma il suo
dolore passa in secondo piano di fronte alla possibilità di rendere felici gli
altri. La sua vita non è stata facile, ma è riuscito a trasformare le sue
sofferenze in un'opportunità.
Come avrete capito, l'introspezione
psicologica, a dispetto dell'esile trama, non manca in “Ken il Guerriero”.
Questo vale non solo per il protagonista, ma anche per il resto del cast, a
parte poche eccezioni. Mi viene in mente ad esempio Toki, che anche lui
usa il potere di Hokuto per curare le persone, oppure Raoul, che al
contrario trova questa idea inconcepibile. Mi viene in mente anche Rei,
il cui amore per la sfortunata sorella Aili lo portano dapprima a cercare
ciecamente la vendetta, e poi (dopo l'incontro con Ken) a difendere la pace. Mi
vengono in mente anche le miriadi di personaggi minori, che sebbene durino
soltanto lo spazio di poche pagine – spesso per subire l'ennesima angheria –
lasciano il segno nella mente del lettore.
Diverso il discorso, purtroppo,
per le donne del cast, che pagano lo scotto del fare parte di un manga
per ragazzi in un paese fortemente maschilista. Anche perché tutti i “ruoli”
disponibili – sorella, fidanzata, combattente (all'occasione), musa
ispiratrice... - vengono occupati da una sola persona: Julia. Praticamente tutti gli uomini che l'hanno conosciuta si sono
innamorati subito di lei, senza che lei abbia dovuto alzare un dito per
ispirare tali nobili sentimenti. Ma il suo cuore, beninteso, batte soltanto per
Ken, per cui nutre un'immensa fiducia. Peccato soltanto che lei sia poco “di
carne” ed eccessivamente spirituale: non ha un vero carattere, inglobata nella
sua funzione di simbolo. Tutto il contrario di Mamiya, l'unica donna che
riesce a non essere sopraffatta dall'aura di perfezione di Julia. La sua
backstory, sebbene inventata all'ultimo minuto, è drammatica ed puntuale, e il
suo rinunciare ad essere donna colpisce il lettore. Il suo unico problema è che
non le viene dato abbastanza spazio ed il suo coraggio nel combattere viene
vanificato dal non riuscire mai a sconfiggere un nemico.
Il tratto di Tetsuo Hara è
realistico e si sposa benissimo con l'atmosfera decadente dell'opera. Le fisionomie, seppure molto simili tra loro – come sanno bene i bambini tutti
uguali e tutti destinati al medesimo triste destino che compaiono nell'opera –
sono verosimili e ben distinguibili tra loro. Anche gli ambienti sono accurati
e la costruzione della tavola, per quanto un po' intricata, è personale, molto
cinestetica.
...E per oggi è tutto, cari
amici. Arrivederci alla prossima puntata, con il “Tempio degli Otaku”!
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