sabato 16 marzo 2013

Recensione: Le affinità alchemiche di Gaia Coltorti



Le affinità alchemiche - Gaia Coltorti 
Giovanni ha diciotto anni, trascorsi quasi tutti a Verona, dove è nato. Una vita tranquilla, qualche amico e, ogni giorno, i lunghi allenamenti in piscina per prepararsi alle gare. Anche a casa regna la quiete: Giovanni vive solo con suo padre, notaio, in quel genere di grande appartamento abitato da due uomini che ogni donna può immaginarsi. Selvaggia ha diciotto anni, molte amiche e diversi spasimanti, vive sul mare e assapora l'estate appena iniziata quando sua madre le sconvolge la vita: si trasferiranno per ragioni di lavoro. Selvaggia cambierà scuola, dovrà ricominciare tutto da capo e lo dovrà fare a Verona, la città dove è nata e da cui proprio la mamma, tanti anni prima, l'aveva portata via, separandola dal padre e dal fratello gemello. Quando Selvaggia varca per la prima volta la soglia della nuova casa, Giovanni è rintanato in camera sua. Gli basta la voce di lei per capire che nulla sarà più come prima. Giovanni scopre quella voce come un regalo, ma al tempo stesso la riconosce, è un suono che vive da sempre dentro di lui: Selvaggia, la sorella perduta, è tornata nella sua vita, per sempre. Lei a Verona non conosce nessuno: solo Johnny - come lo ha subito ribattezzato - può farle da guida e tenerle compagnia nei tre lunghi mesi che devono trascorrere prima della ripresa scolastica. Selvaggia è bellissima, piena di fascino ma anche capricciosa fino allo sfinimento, croce e delizia per il fratello ritrovato. Presto tra i due si sprigiona un'elettricità, un magnetismo, un'affinità...
Editore: Mondadori
Pagine: 357
Prezzo: 15.00 euro



Voto: 


Nella variegata gamma di esordienti dallo stile anonimo, freddo, sciatto, sgrammaticato, la Coltorti non potrà non spiccare per la notevole perizia con la quale debutta nel travagliato panorama italiano.
Che i risultati siano scadenti, irritanti e artificiosi è un altro paio di maniche. Posso affermare, di positivo su questo libro, solo questo: ho cercato fino all’ultimo di mantenere l’idea di un voto che fosse almeno due stelle, perché, per quanto abbia messo a dura prova la mia resistenza, lo stile, se fosse stato snellito e meno ambizioso, avrebbe potuto essere un pregio anziché un difetto.
Purtroppo il finale del romanzo ha completamente annullato tutta la mia buona volontà.

L’argomento dell’incesto ha subìto diverse manipolazioni nel corso del tempo: dalle tragedie greche ai romanzi settecenteschi (l’Histoire di Casanova), dai manga ai più recenti Young Adult (Proibito di Tabitha Suzuma) è evidente che l’argomento, per le sue pruriginose implicazioni, susciti l’attenzione del grande pubblico. Non mi spiego, se non come un’abilissima mossa di marketing, la pubblicazione di questo romanzo, che per il solo argomento scabroso forse pretendeva di catturare l’occhio dei lettori. La qualità che forse, con un migliore editing, sarebbe potuta trarsi, è inficiata da una storia piatta, noiosa, senza quid e senza cuore.

Nemmeno raccontarvi la trama sarebbe utile: la storia si consuma nella più banale delle direzioni, con due protagonisti irritanti, viziati e annoiati. Giovanni e Selvaggia, questi i loro nomi, sono stati separati alla nascita dai genitori divorziati. Gemelli eppure costretti a vivere separati l’uno dall’altra, senza incontrarsi mai perché residenti in città diverse (Genova e Verona). Selvaggia con la madre – una donna, a quanto sembra, che l’ha sempre trascurata – e Giovanni con il padre, praticamente una macchietta in tutto il romanzo che sì e no apre la bocca un paio di volte. Già da queste due righe viene evidenziata una delle grandi incoerenze e assurdità del romanzo: nessuno dei due genitori si preoccupa di rivedere il figlio in diciassette anni della loro vita, dividendoseli di comune accordo. Quando i genitori decidono di riprovarci Selvaggia e Giovanni si ritrovano sotto lo stesso tetto:  la passione scoppia in lui senza nessun motivo apparente ed il pensiero dell’incesto lo disgusta solo a parole. Nessuna reale riflessione viene infatti dedicata a questo argomento, quasi fosse un problema marginale. E per tutto il corso del libro non viene minimamente accennato il problema legale dell’incesto. Sembra che la scrittrice non sappia – e di conseguenza non lo sappiano nemmeno i suoi personaggi – che l’incesto è illegale! Entrambi fanno progetti sul loro futuro preoccupandosi esclusivamente della questione morale e del disgusto che potrebbero provare genitori e coetanei, ma un solo pensiero non viene formulato sull’impossibilità materiale di realizzare la loro unione.

L’incesto sembra, d’altronde, soltanto il pretesto per dare verve ad una – lo ripeto – banalissima, tediosa storia d’amore. La lettura è stata spossante, esclusivamente concentrata sulle schermaglie amorose dei personaggi, priva di azione, priva di interesse, “totalizzante”: 357 pagine ricche di avvenimenti inutili che, tutt’al più, evidenziano la noia di questi ragazzi, la morbosità dei pensieri di lui (che arriva ad affermare: “se sul serio credi che il nostro amore non origini da noi sei avvertita, sorella cara: io mi ammazzo. E se pensi che il nostro amore sia solo una specie di mania che fa del male a entrambi, ti assumi una responsabilità che faresti meglio a non assumerti”) e l’egoismo di lei (che pretende lui non partecipi ad un’importante gara di nuoto solo perché lei ha fallito una prova nel suo sport, la ginnastica ritmica, e lo tratta come un oggetto da prendere e posare come più le aggrada, fino ad arrivare a chiedergli il sacrificio supremo davanti a cui lui non si tira certo indietro, rincretinito da questo amore malato).

La sofferenza derivata dalla piattezza della narrazione è poi aggravata dallo stile insostenibile: laddove vorrebbe risultare poetico e personale si dimostra patetico, falso e inverosimile nei dialoghi, intervallato da espressioni gergali (gulp, stragulp, idiozie come “eri proprio pazzo, cazzo”), citazioni tra quali la Divina Commedia (“E quel papè Satan, papè Satan Aleppe pareva averti risposto” o “così, metaforicamente, cadendo come corpo morto cade”), arcaismi fuori luogo (“postea”, “siffatto”, “ché” anziché “perché”, che danno esito a frasi come: “tu guardavi molto più selvaggia che il tuo nocciola, crema e panna, tant'è che verso la fine ti eri pure macchiato i pantaloni e siffatto prodigio aveva suscitato, da parte di Selvaggia, un'ilarità proporzionata all'evento” oppure “postea, ti sentivi oppresso da un’ansia angosciosa”), termini inventati che non significano nulla ("labbra salmonate") e l’uso della seconda persona singolare, in maniera retorica, per l’intero corso della narrazione.

I protagonisti, l’ho già accennato, sono insopportabili: lei è una ragazzina abituata ad avere tutto nella vita – con la scusante, ci mancherebbe altro, dell’infanzia difficile dovuta alla madre assente -, sostanzialmente senza problemi, ammirata da tutti e venerata come una dea, bella, magra, ben vestita, con i capelli perennemente a posto e perfetta.
Lui è bello, atletico, disposto a spendere per lei palate di soldi – impagabile l’anello di ottocento euro in presenza del quale cui si promettono amore eterno… e ci credo, con un anello di ottocento euro chiunque prometterebbe pure il braccio e tutto il resto, oltre che la mano – innamorato in maniera psicopatica, tanto che la segue e la spia.

Nel corso del libro, a parte qualche piccolo sospetto comunque lontano dalla verità, nessuno si accorge, nonostante le persistenti effusioni in casa, che i ragazzi stanno insieme. Per troncare l’agonia l’autrice giunge finalmente, verso pagina 308, alla chiave del prevedibilissimo finale: nulla di più scontato, tragico - in maniera imbarazzante – ed evidentemente degno della storia stucchevole e senza spessore.
Anziché muovere i condotti lacrimali, la fine arriva per il lettore come una liberazione. Veloce (per fortuna almeno in questo!), sdolcinata e senza logica, esattamente come tutto il romanzo.

Le affinità alchemiche risulta fallimentare su tutta la linea: non trovo un pubblico di destinazione se non in inguaribili romantiche che si perdono più negli amplessi dei personaggi che nella struttura portante della storia. Tutti i margini di approfondimento vengono troncati in virtù della pesante vacuità del romanzo, dettagli inverosimili si mescolano ad episodi senza rilevanza, lo stile ridicolo rende il libro lento e a questo si aggiunge un finale che fa ridere nel tentativo di scimmiottare le tragedie shakespeariane. Assolutamente non consigliato ai cardiopatici e ai diabetici. E ai lettori che cercano un libro decente – mica pretendiamo che sia bello, ma almeno decente! – e non si accontentano dell’ultima estenuante manovra di marketing.






Gaia Coltorti
, vent'anni, è nata a Jesi e ora vive a Roma dove studia Lingue e letterature straniere.
Le affinità alchemiche è il suo primo romanzo, i cui diritti sono già stati venduti in otto Paesi oltre all'Italia.

65 commenti:

  1. Sguardo (un po’ dall’alto) in ciò che è
    di Chiara Malerba

    Molto bene. Sebbene le cose stiano in modo affatto diverso, qui, e “Le affinità” di Gaia Coltorti – in corso di traduzione in tutta Europa presso giganti quali Bertelsmann e Random House – esca non già dal marketing Mondadori, bensì da un laborioso e proficuo progetto di monitoraggio della scrittura giovanile delle Marche – “Pagine Nuove” – presieduto da una giuria tecnica al cui interno figuravano Angelo Guglielmi e Filippo La Porta, giurati del Calvino e del Grinzane quali Renato Barilli e Andrea Demarchi, unitamente a talent scout dalle ultra consolidate capacità.
    Il marketing Mondadori, qui, non ha pertinenza alcuna.
    Viceversa, Gaia Coltorti è appieno consapevole della propria originalità eppure, ripetutamente, cerca in ogni modo di far apparire la propria opera superficiale, a tratti antipatica e persino frivola. Questo comportamento così strano, è indotto dal suo commendevole (e sorridente) tentativo di soddisfare tutti: a coloro che non desiderano altro se non una young adult fiction senza soverchi pensieri, fa credere che “Le affinità” sia tale; mentre quanti, specie fra gli adulti, aspirano a molto di più, a propria volta non resteranno delusi.
    In sostanza, è come se l’autrice aprisse avanti ai nostri occhi due opportunità di lettura – una mimetica e una non mimetica, ossia romantica – della medesima storia: sta a noi scegliere tra le due opzioni. Se non siamo consapevoli di dover scegliere, scegliamo inevitabilmente l’opera sbagliata, quella più tradizionale e “terra terra”, provando confusamente e a tratti l’impressione di leggere un mezzo-manga, uno pseudo Harmony con una spruzzata di Twilight o uno young adult in cui i conti con gli stereotipi non tornano mai.
    Se invece lo siamo (consapevoli), servendoci di un’adatta prospettiva “terra aria” ci accorgiamo che Gaia Coltorti (esattamente come Shakespeare!), propone delle “Affinità” due letture distinte, diverse e fra loro di “grado” incomparabile, spie sufficienti a che l’ordito nel suo insieme divenga un paesaggio perfettamente coeso con la cover-lingua “elisabettianizzante” che lo racconta, qualcosa di super consapevole e del tutto nuovo.
    Comunque è strano, ché non parrebbe indispensabile essere una specie di Schopenhauer, per rendersene conto, bensì dovrebbero bastare i primi anni di Lettere e la pazienza, del tutto umana, di un ascolto.
    In “Le affinità”, Gaia ha incorporato con tale abilità l’interazione mimetica nell’intreccio tradizionale, che il pubblico meno avvertito, pietrificato dal rispetto di convenzioni e stereotipi, crede di vedere ovunque una “messa-in-scena-della-lingua” sempre apparentemente errata in quanto volta a volta troppo solenne o incomprensibilmente “dodecafonica” – “una prosa farcita di pezzi di gergo giovanilistico, frasi auliche e pseudo-liriche come nei diari di scuola, luoghi comuni” (Ranieri Polese, Corsera).
    Vittima delle sue stesse allucinzioni, il pubblico meno avvertito si svia come un sol uomo dal significato effettivo dell’opera e non riesce a cogliere la pletora di indizi (millanta!) che mutano il senso dell’intreccio tradizionale.
    Così, smoncando senza misericordia la comprensione della storia d’amore per come è stata concepita da Gaia – ossia una vicenda di emulazioni e rivalità disperate – il pubblico meno avvertito invece di far festa preferisce, alquanto precipitosamente, lasciarsi morire al primo assalto.
    Ma stiamo calmi, no? Ma ragioniamo, ogni tanto, no?

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    1. Sguardo "terra terra", ché il dilemma "terra aria", ohibò, lo lasciamo ad Ash Ketchum
      di Malitia.

      Sebbene confutare questo commento in ogni suo punto sarà lungo, tedioso e prolisso - esattamente come lo è stato leggerlo - lungi da me sottrarmi al mio doveroso e oneroso compito, rinfrancata dalla consapevolezza che nulla ci vuole a smentire siffatte affermazioni, abbastanza autoreferenziali e patetiche, nell'accezione greca del termine(sappia però l'autrice che una modesta risata mi ha arricciato le labbra).

      Sorvolando sulle autorevoli personalità nominate (giacché conosco la metodologia adoperata dagli amichetti dell'autore quando devono difendere la preziosissima sua opera, che, tra le altre cose, implica anche l'enumerazione dei premi e dei riconoscimenti da essa ricevuti) e rimembrando che innumerevoli sono gli autori italiani di qualità pari o inferiori a quelle delle Coltorti ad essere stati pubblicati all'estero (cito Moccia e Licia Troisi), mi permetto di affermare senza ombra alcuna che il marketing, perdindirindina, eccome se ha pertinenza!

      A non avere pertinenza né sostanza è invece la pretesa, qui, di affermare il contrario: poiché la stessa Coltorti ha dichiarato di essere approdata in Mondadori grazie ad un'agenzia letteraria che, dopo la vittoria de "Le affinità", lo ha proposto alla casa editrice: l'accettazione del romanzo a quali misteriosi criteri sarà stata affidata, considerata la scarsissima qualità del testo?

      Apprezzo lo sforzo dell'autrice nel voler reprimere il proprio genio creativo, frustrando la sua persona per rendere l'opera il più possibile "superficiale, antipatica e persino frivola": lo scopo è stato appieno raggiunto - con sommo sacrificio, immagino, ma cosa non si fa pur di vendere e rendersi commerciali, come da questo stesso commento si evince, in modo che i colti si sentano bravi e gratificati (mera gratificazione, o gratificazione dei gradassi ignoranti, a dir il vero) e i meno istruiti soddisfatti dalla storia mai troppo impegnativa per i loro neuroni? - e la Coltorti ha esaudito tutte le richieste di pubblico, agenzia ed editor. Un plauso alla sua genialità e al suo coraggio nell'immolarsi per il bene del commercio.

      Che il genio superiore della Coltorti non sia stato compreso, anticipo la prossima risposta e lo assicuro, è lampante: basterebbe l'asilo nido (non certo, addirittura, i primi anni di Lettere, che pure posseggo pur non essendone assolutamente degna, vista la mia scarsa capacità di apprezzare l'autrice dovuta probabilmente ad ignoranza - ché si sa, a Lettere ci si va per scaldare il banco, e a tratti nemmeno per quello) per rendersi conto dell'ambivalenza letteraria di questa grande opera, delle intricate e nascoste sfumature, degli stratificati piani di lettura, certo non apprezzabili dalla comune plebe che sempre sceglie la versione - mimetica o NON mimetica? questo è il dilemma... - "terra terra".

      Così come il linguaggio non convenzionale turba il pubblico convenzionale e viziato da stereotipi, la sommità e il pregio de "Le affinità", con il suo stile ingannevole - perché barocco, dodecafonico, elisabettianizzante... in poche parole incomprensibile - turba le anime meno avvezze alle pregevoli perle letterarie cui la Coltorti può - DEVE - affiancasi. Le sue pagine rimarranno nei secoli dei secoli, come le opere del violentato Shakespeare, raccontando la passionale ed indimenticabile storia d'amore di... com'è che si chiamavano? Ah sì, Giovanni e Selvaggia.

      Ma studiare no? Ma andare a pascolare l'erba no?

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    2. • “Confutare” un “commento”, come Lei dice, potrà certamente risultare “lungo” e “tedioso”, ma perché “prolisso” – mi chiedo – considerato che il “timone della barca” è in mano Sua, ed è Lei a decidere la rotta?
      • In genere, le labbra possono “incresparsi”, in un sorriso, ma “arricciarsi”, francamente la vedo dura. A parte, forse, determinati casi disgraziati di cheiloschisi.
      • Conosco di nome Moccia, ma non conosco Licia Troisi.
      • L’agenzia letteraria a cui Lei si riferisce, è quella della statunitense Vicki Satlow.
      • La “scarsissima qualità del testo”, viceversa, non è neanche un’affermazione apodittica.
      • L’acquisizione dei diritti, in ogni caso, avvenuta in seguito a un’asta pressoché fulminea ed estesa a tutti i grandi marchi del Paese, ha avuto per l’editore carattere di cospicua onerosità.
      • Gaia Coltorti, della quale non sono amica, ma che certo conosco, ha una storia e una traiettoria personale che nel corso della sua vita fin qui la tengono distantissima – sto parlando molto sul serio – da qualsivoglia ipotesi legata all’idea di commercio.
      • La versione per così dire non “terra aria”, è quella tradizionale e romantica. L’altra, è invece quella mimetica. Citando dal web:

      “Se l’Uomo dei Lupi e il piccolo Hans offrirono a Freud l’occasione per delineare gli effetti che la nascita di un fratello e la relazione fraterna producono sulla psiche di un bambino, per i lettori più avvertiti ‘Le affinità alchemiche’ potrà divenire, a sorpresa, la chiave tramite cui accedere a una gamma ultra precisa e benissimo descritta di spinte e controspinte mimetiche – un’escalation di rivalità fra Selvaggia e Johnny implacabilmente indotte dal desiderio – dietro le quali i lettori romantici si ostineranno a riconoscere solo una “febbre di crescita” dell’amore tout court – al limite pensato come qualcosa che travolgendo ogni ostacolo, su tutto, vita e morte compresi, trionfa!”

      Quanto al resto, se ci pensa, scrivere intorno a un tema per tanti aspetti difficile in quanto (anche) tendenzialmente “scomodo” e persino “odioso” qual è la pratica incestuosa, è gesto che con ogni evidenza somiglia al tentativo – insisto: non commerciale – di mettere in campo, da subito, una protesta radicale. “Le affinità” è, innanzitutto, un grido di ragazzi e un’ascia di guerra disotterrata: a trasmetterlo fino ai nostri orecchi ormai non abituati, è proprio una giovanissima scrittrice tanto più talentuosa, sensibile e non addomesticabile, quanto più “orfana” – per dirla col vecchio Ginsberg caro a Tondelli – e “selvaggia”.
      • In ogni caso, l’eventuale genio creativo dell’autrice non sarebbe da intendersi, come pure Lei fa, in guisa di mera “repressione” – secondo un’eventuale strategia dagli inquietanti caratteri auto-riduzionistici e autolesionistico-deliranti – ma nel tenere in modo bastevole presenti (e nell’intramare la narrazione servendosi di) adatte biblioteche antropologico-letterarie molto nostre contemporanee; in modo simile – ma è solo per provare a intendersi in via breve – all’ur-applicazione, da parte di Moravia (gasp!), di certe lezioni “freudiane”, o da parte di Kundera (stra-gulp!), di certe suggestioni heideggeriane. Intendo dire: un conto è scrivere in maniera naive, e un conto è illuminare “Le affinità alchemiche” con questo numinoso lampadario rappresentato dallo “Shakespeare. Il teatro dell’invidia” di René Girard.
      Ma non è che un esempio.
      Di tipo non commerciale.
      Di tipo “illuminotecnico”, se gentilmente mi passa il termine.

      • Cosa intende per: “andare a pascolare l’erba”?

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    3. Mah, perchè non si legge Il Giardino di Cemento di Ian McEwan?
      E non è che sia, a sua volta, un esempio di fulgida bellezza letteraria, ma, diamine, perfino un bambino (se avessi l'anima di fargli leggere un libro che tratta tali argomenti) si renderebbe conto della differenza.

      E' un opera indifendibile, non ci sono paroloni che tengano.

      La ragazzina, oltretutto, è chiaramente troppo piccola per potersi prendere il vezzo di trattare tali tematiche con l'attenzione che richiede.

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    4. • Adeguarsi al suo linguaggio – per una mia personale scelta goliardica - è certamente prolisso, ma noto che non ha nessun senso dell’humor se devo precisarglielo.
      • Nel momento in cui la sua beniamina può permettersi qualsiasi ridicola licenza poetica curandosi poco del senso di quello che scrive, non vedo perché io non possa “arricciare le labbra” sorridendo, espressione tra l’altro corretta.
      • Mi congratulo con lei se la fama della signora Troisi non l’ha raggiunta, tuttavia non vedo l’utilità di questa affermazione.
      • Conosco benissimo l’agenzia letteraria e so chi è Vicky Satlow, come lavora e per chi. Grazie della precisazione.
      • L’asta ha avuto carattere di cospicua onerosità? E quanto ha guadagnato, in cambio? O vogliamo forse dire che ci ha perso? Inoltre: cosa c’entra questa affermazione?
      • Addirittura lei non è amica della Coltorti ma la conosce tanto bene da affermare che non è mossa da fini commerciali. Forse la Coltorti, ha ragione, no. Chi la mette sotto contratto assolutamente sì. Ed è probabilmente da costoro che il libro è stato mosso in una direzione, in modo da accontentare tutti. Ad ogni modo, dire che “Questo comportamento così strano, è indotto dal suo commendevole (e sorridente) tentativo di soddisfare tutti” ma affermare che un’azione tale non sia commerciale è contraddittorio. Quindi la Coltorti ha voluto sì accontentare tutti i lettori, in modo da arrivare ad ogni tipo di pubblico, ma non per fini commerciali? E per quali fini, per il piacere di massacrare la sua opera?
      • Ho capito qual è la versione “terra aria”. Faccio le condoglianze per il suo senso dell’humor –confermato, è inesistente -.
      • Mioddio, per lei la Coltorti può essere tutto il genio “selvaggio” che vuole, ma quello che dimostra è semplicemente un ostentato, pedante e superfluo esibizionismo, al pari di una ragazzina di liceo classico che, cercando di prendere un 10 e lode, tenta di sfoderare i migliori paroloni del suo dizionario per fare colpo sul professore. E’ infantile, suvvia: le citazioni sono per lo più fuori luogo, ma quel che contesto al libro, ancora più dello stile, è la banalità della storia. Che, ripeto, non ha cuore ed emozioni, avvolta com’è in una patina dorata dove la problematica dell’incesto non viene assolutamente affrontata, se non come scusante per lo scontatissimo finale.
      • La prego, mi risparmi i riferimenti a Kundera, Freud, Heidegger e Moravia. Non capisco perché dobbiamo insultare certi mostri sacri.
      • Esattamente quello che ho detto.

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    5. Urka (parte prima)
      di Chiara Malerba

      Entre-temps, grazie per la risposta.
      Quanto a me comincerei dalla fine. Vediamo: è una specie di acronimo?
      I mostri sacri: Moravia e Kundera sono, credo io, due poveri mostri e basta, confrontati ai loro rispettivi “idoli”, diciamo così. Ma anche non confrontati.
      Infantilità dell’autrice: è giovane. È molto giovane. Ed è intelligente. E ha una vocazione per la scrittura di inusuale potenza. Di sicuro non ha nulla della spocchia che Lei le attribuisce.
      Le citazioni fuori luogo: me ne citi due e sarò appagata.
      La banalità della storia: di sicuro Gaia non era interessata a un intreccio formidabile – lo suppongo, non lo so con certezza – ma se si guarda al climax complessivo della vicenda, di un plot più articolato, cosa se ne faceva? Il romanzo si occupa delle dinamiche del desiderio in epoca contemporanea, e lo fa magnificamente, e in modo terribilmente “casto”, anche. Poi, siccome è mosso da un sentimento di protesta e moralità, ha scelto per protagonisti precisamente due poveri stronzi dell’oggi, ma stronzi molto e, proprio come Flaubert, si parva licet – con lo stesso atteggiamento di Flaubert nei confronti di Emma e Charles – ha lasciato che il maëlstrom li prendesse. Prima pian pianino, e poi al giù dritti. Combinando “romanticismo ironico” e “narrazione realistica letterale”, la Coltorti ha saputo catturare i suoi personaggi e le rivalità mimetiche in cui senza saperlo sono esizialmente immersi (tanto i due genitori ex-separati, quanto la coppia “nuova”, ben presto tragica e disperata costituita da Johnny e Selvaggia), in modo di gran lunga più efficace di quanto uno stile “letterale in senso stretto”, o per converso uno “integralmente romantico”, le avrebbero permesso mai.
      A parte l’ottimo (in quanto acuto) Guglielmi, i pochi recensori dei maggiori quotidiani che sordamente si sono occupati del romanzo, massime quello del Sole 24 Ore e, sia pure con meno inutile supponenza, il recensore del Corsera, mi pare non abbiano neppure intravvisto (ascoltato) ciò che con ogni evidenza si lascia intendere qui.
      La problematica dell’incesto: non le suona obsoleta, ’sta cosa, un po’ tipo “l’economia del testo”, o lo “scavo psicologico dei personaggi”? Io mi accontenterei di dire che questo straordinario romanzo ha, fra le molte altre cose, il grande merito di ricordarci che la dimensione rivalitario-mimetica dei desideri non è mai modificata dalle inclinazioni sessuali: essa è la stessa fra gli omosessuali, è la stessa tra gli uomini come tra le donne ed è la stessa, infine, tra consanguinei e non consanguinei. “Le affinità alchemiche” avrebbe potuto benissimo sottotitolarsi, diciamo, “L’odissea del desiderio e i suoi ostacoli”.
      L’incestuosità è un pretesto. Non dobbiamo farne un dramma. La tragedia vera è rappresentata dalla violenza e dall’escalation implacabile indotta delle dinamiche del desiderio di fronte all’ostacolo. Se fosse stata meno brava, Gaia avrebbe scritto a questo proposito delle didascalie, e io penso che Lei adesso l’abbia compreso, se sono riuscita a spiegarmi.
      Il finale, è realmente il finale?

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    6. Urka (parte two)
      di Chiara Malerba

      Sono un’umorista invece. E ho anche scritto il romanzo più breve della storia, credo, seppure non ho ancora trovato un editore adatto al lancio. Il testo del mio romanzo ultra breve dice:

      “Sono salvo per miracolo”, disse. E spirò.

      Guardi che è buono.
      Vi rifletta.
      Dentro c’è un po’ tutto, e anche dello humour, se vogliamo.
      Non deve sottovalutare l’impianto francamente intellettuale, e perciò stesso disinteressato, su cui “Le affinità alchemiche” poggia. Non si lasci ingannare dalla superficie delle cose e dalla fretta. Ossia non aspetti questo romanzo sotto la pensilina sbagliata: questo è un testo ben difficile da scrivere, stronzo, scomodo e urticante, e non vuole compiacere nessuno, bensì tenta di porre in essere una protesta nei confronti della vita di plastica in cui siamo costretti, in una società notarile e poliziottesca marcescente, standard, neopagana. E persino editorialmente ridicola, anche. O vogliamo parlarne?
      La cospicua onerosità dovrebbe se non altro certificare, almeno dal mio punto di vista, un minimo di riflessione “aziendale” ma non sola, circa la plausibilità, liceità e qualità del romanzo. Un po’ dovrebbe, infine.
      La fama della signora Troisi, se mai c’entrarà qualcosa con niente, dovrebbe entraci con lo speech act “persino editorialmente ridicola”. O vogliamo parlarne?
      L’espressione “arricciare le labbra” io non l’ho mai sentita. Una volta ho sentito dire: “inarcare le ciglia”, e in un romanzo ho letto “il loro amore cresceva come un lievitare di masse spugnose”, e Alda Teodorani ha scritto esattamente questo: “Il suo cazzo sussultò”.
      Mi porti due esempi ragionevolmente ineccepibili, e io non eccepirò. Promesso.
      Da ultimo, ecco la rivalità mimetica di cui Le dicevo. Ne è stata vittima anche la sua amica Elisabetta. Fare il verso, o tentare di farlo, a un testo con cui si ha voglia, in senso buono, di litigare. Zimbellizzazione dell’altro, dovrebbe chiamarsi. E io che ne predico, non ne sono (purtroppo) immune.

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    7. Le citazioni le ho riportate nella recensione, e sono più ostentate che altro: abbiamo capito che la Coltorti ha studiato, magari quando maturerà abbastanza da non dover fare della sua cultura uno sfoggio continuo – cosa comune, ripeto, per i ragazzi di liceo classico in età scolare – e avrà capito che, come ha detto qualcuno, barocco non corrisponde necessariamente a “bello e forbito”, ne riparleremo.
      Il romanzo non si occupa delle “delle dinamiche del desiderio in epoca contemporanea”, né tantomeno lo fa “magnificamente, e in modo terribilmente ‘casto’” (pff!!). Questo era forse l’intento dell’autrice, che ha puntato troppo in alto per le sue possibilità: dinamiche del desiderio non ce ne sono, esistono solo due ragazzini che copulano ovunque capiti, come qualsiasi loro coetaneo, con l’eccezione che sono fratelli (ma questo per loro non ha nessuna importanza). Oddio, pure Flaubert. Ma perché ci ostiniamo a paragonare capolavori della letteratura mondiale ad un romanzo meno che mediocre, forzato, brutto, che non lascia nulla se non tanta boria e noia?
      Se “ Gaia non era interessata a un intreccio formidabile”, per quale motivo ha scritto un libro senza trama, senza sentimenti, con un finale così scontato? Forse per mostrare al mondo il suo stile logorroico, per pretendere, anche dai lettori, il suo 10 e lode per le citazioni colte?
      Certo, lo scavo psicologico dei personaggi e l’economia del testo sono obsoleti. Come no! Ostiniamoci a vedere in questo libro ciò che non c’è, chiudendo gli occhi davanti agli evidenti difetti per mettere in risalto “la dimensione rivalitario-mimetica dei desideri”, che tutti abbiamo presente e si trova lampante ne Le affinità alchemiche (è ironia, lo dico per il suo senso dell’humor).
      L’incestuosità è un pretesto, finalmente lo ammettiamo! Quindi, riepiloghiamo: la trama non esiste, ma l’autrice non voleva scrivere certo un intreccio formidabile. L’incesto è un pretesto, ma questo non ha importanza. L’ “escalation del desiderio” è il vero obiettivo dell’autrice, che si serve del pretesto per dare vita ad una storia di incredibile amore e passione. Peccato che l’obiettivo sia mancato, perché nel libro non viene descritta una grande storia, piuttosto un’accozzaglia di bisticci tra ragazzini.
      Io non ho mai considerato Le affinità alchemiche un libro per Young Adult, anche se alla fine è questo che si dimostra: la Mondadori lo ha messo nella collana di narrativa ed io tale lo ritengo. Che sia stato difficile da scrivere non lo metto in dubbio: si figuri quanto è difficile leggerlo senza addormentarsi o senza sentire un forte prurito alle mani per la voglia di buttarlo dalla finestra.
      Ripeto che la riflessione aziendale è inerente il mercato, non la qualità. O non ci ritroveremmo le librerie piene di robaccia. Forse è un po’ ingenua se pensa il contrario.
      Vista la sua ignoranza, mi trovo costretta a citarle il dizionario del Corriere della Sera: http://dizionari.corriere.it/dizionario-modi-di-dire/L/labbra.shtml
      Guardi, io non ho nessuna voglia di litigare, spendo un sacco di tempo per rispondere punto per punto a questi estenuanti commenti XD Se, anzi, vuole cessare di difendere l’indifendibile, potrei anche esserle grata.

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    8. Ad ogni modo la sua ostinazione, l'imitazione dello stile, la dettagliata conoscenza delle dinamiche che hanno portato l'autrice alla scrittura prima e poi alla pubblicazione del romanzo, mi spingono a pormi una domanda: non è che lei è, come minimo, la ghost writer della Coltorti?

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    9. Per Giove, è vero! “Arricciare le labbra” esiste veramente, e significa “manifestare disapprovazione, dubbio, disgusto o simili”, ma anche “disgusto, dubbio”! E così, in un paio di giorni ho imparato due cose: questa, certo, e che nel 1911, Guido Da Verona pubblicò per Baldini e Castoldi un romanzo intitolato “Colei che non si deve amare”, avente per tema una vicenda incestuosa dai toni “dannunziani”.
      Non sono una ghost writer – magari lo fossi! – però ho pubblicato un raccontino in una miscellanea comprendente testi di dieci miei amici marchigiani “under 40”, e prevalentemente mi occupo di cineforum estivi, programmazione e biglietteria.
      Non so ancora se il mio romanzo brevissimo l'abbia interessata o meno, ma questo non mi impedisce di salutarla nel sole, ponendo fine a uno scambio che mi è parso istruttivo e corroborante.
      Ad maiora!, dunque, e ave atque vale.
      Chiara Malerba

      P.S.: attenzione all'uso delle cosiddette d eufoniche.

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    10. Delle d eufoniche, visto che sto commentando e non scrivendo un testo letterario, faccio volentieri abuso :D

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  2. domanda da un milione di euro: perché parlate come se viveste nel 1400 invece che nel 2012?

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    1. Perché la signorina è talmente affezionata all'autrice e al suo stile urticante da averlo adottato in tutte le sue sfaccettature, imitandone persino le virgole (i "ché", i "gulp", il linguaggio anacronistico e fuori luogo). Non vorrei metterla a disagio con il mio parlare così "terra terra", eleviamoci un po', su.

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    2. Se cercavi comunque informazioni sul libro e non reggi questi commenti, sappi che Le affinità alchemiche è scritto per intero in questo modo(nella recensione sono riportati vari altri esempi)

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    3. L'ho letto e concordo con la tua recensione: è il libro più astruso, urticante e... brutto, sì, brutto che abbia mai letto.

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  3. Ciao (anzi, Ave) Malitia, Chiara Malerba ha copincollato su Diario di pensieri persi (in calce alla mia recensione barokka sulle Affinità alchemiche) lo stesso *identico* commento che ha scritto qui sopra. Guarda: http://www.diariodipensieripersi.com/2013/03/recensione-le-affinita-alchemiche-di.html
    Inutile dire che condivido ogni parola della tua recensione: io ho avuto più o meno gli stessi pensieri, solo che li ho trascritti in stile barokko (pant-pant!)

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    1. Ave Ossimoro, che dici, dovremmo interpretarlo come spam?

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  4. Anche noi l'abbiamo letto e recensito. Concordo su tutti i punti supportati da Mali. Tutti.

    E se i BIG della critica intergalattica stellare (visto i toni tenuti sopra, ritengo sia me lo hanno dichiarato "degno di essere pubblicato" le cose son due: o non avevano alternative valide, o hanno passato troppo tempo a giocare agli Dei del Giudizio e non hanno più in briciolo di coscienza critica.

    Ho letto una decina di recensioni, persone diverse, culturalmente diverse ed età diverse... Sono tutte negative.
    E ci sono pure refusi!
    Oddio, SPERO che lo siano, per l'autostima dell'autrice...

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    1. No, è che nominare le personalità che hanno premiato il libro (in questo caso probabilmente, come hai detto tu, per mancanza di alternative) secondo una certa mentalità non sconosciuta a molti esordienti dovrebbe avallare le recensioni positive e svalutare quelle negative - scritte, ovviamente, da gente incompetente e che non ci capisce nulla. Forse non afferrano che, se il libro fa pena, può essere stato "marchettato" pure da un premio Nobel, ma non cambia la sostanza delle cose.

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    2. Giusto giusto. Hai perfettamente ragione, perché non prostrarsi a 90 a questo punto?
      La gente è spesso così assurda da farmi sorridere. O piangere... No, meglio ridere dalla disperazione.

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  5. "Ossia non aspetti questo romanzo sotto la pensilina sbagliata: questo è un testo ben difficile da scrivere, stronzo, scomodo e urticante, e non vuole compiacere nessuno, bensì tenta di porre in essere una protesta nei confronti della vita di plastica in cui siamo costretti, in una società notarile e poliziottesca marcescente, standard, neopagana."

    Neopagana? La commentatrice ha cercato parole a casaccio dal vocabolario?
    Comunque, probabilmente se questo testo è il più difficile che ha letto, non voglio sapere il resto delle sue letture...(certo se uno ha letto al massimo topolino, posso anche capire...).

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    1. Abbia pazienza signora Chiara Malerba...ma ci sono troppi pareri concordi su questo libro...pareri che vanno tutti nella medesima direzione, tuttavia io non ho letto il libro e quindi non lo giudico, ma mi permetto di contestare il suo atteggiamento: sono una blogger anche io e scrivo recensioni anche io. Non sono brava come Malitia e i suoi collaboratori ma me la cavicchio e se c'è una cosa che proprio non sopporto è chi si offende per una recensione negativa, a maggior ragione se ben motivata. Ora, capisco il suo bisogno di difendere un lavoro che le sta a cuore ma qui si esagera. Sono sicura che l'autrice di questo romanzo, la prossima volta, farà meglio e i suoi progressi saranno da imputarsi anche alle recensioni negative. Anzi, soprattutto a quelle.

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    2. Gentile Anonimo del 21 marzo 2013 20:58 (parte prima)
      anche per Lei, mi ripeto volentieri.
      Intanto, gli strumenti coi quali ho voluto leggere “Le affinità alchemiche” – strumenti che prima ancora di essere “critici” tout court sono in prevalenza, sia pure latu sensu, filosofici – risultano contenuti nei seguenti studi:
      M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano 1999.
      R. Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, Bompiani, Milano 1965.
      R. Girad, Il risentimento. Lo scacco del desiderio nell’uomo contemporaneo, Raffaello Cortina, Milano 1999.
      R. Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano 1980.
      R. Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano 1983.
      R. Girard, Shakespeare. Il teatro dell’invidia, Adelphi, Milano 1998.
      R. Girard, La voce inascoltata della realtà, Adelphi, Milano 2006.
      R. Girard, Vedo Satana cadere come la folgore, Adelphi, Milano 2001.
      D. de Rougemont, L’amore e l’Occidente, Rizzoli, Milano, 1998.
      L’entourage Disney conosce certamente, se non Heidegger e de Rougemont, quanto meno René Girard, poiché senza un’adatta conoscenza degli studi di questo intellettuale sarebbe stato impossibile realizzare “Koda, fratello orso” (2003), anch’esso, e non per caso, proprio come “Le affinità alchemiche”, tratto da Shakespeare.
      Dal “Re Lear”, in particolare.
      A parte Heidegger, i nomi di Girard e de Rougemont potrà trovarli citati con chiarezza, insieme a quelli di Giuly, Ale, Rosita, Vale, Furetto, Pachino, Nico, Michibì, Ecce Bombo, Rosangela, Valeria, Diletta e Dio solo sa chi altro, a pagina 359 di “Le affinità alchemiche”.
      Chiara Malerba

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    3. Gentile Anonimo del 21 marzo 2013 20:58 (parte two)
      veniamo alla nozione di “neopaganità”.
      In breve, tutte le storie di Harry Potter, risultano neopagane. Ma anche la festa di Halloween, lo è. E la New Age, certo, così presente, per esempio, nel Gaianesimo, movimento eclettico di cui, nonostante il nome, l’autrice di “Le affinità alchemiche” non fa di sicuro parte, mentre una quantità di persone le più diverse (specialmente giovani e giovanissimi) sceglie (?) di avervi a che fare: quanto meno coi bei romanzi della Rowling, intendo, e i film tratti da questi, e le feste di Halloween.
      “Non aspettare questo romanzo sotto la pensilina sbagliata” allude, in via breve, al non lasciarci condizionare da tutta una quantità di pregiudizi e attese affatto diverse dai reali (e più profondi) contenuti del romanzo in questione. Detto diversamente: se aspetti “Le affinità alchemiche” lungo il binario young adult e sotto il riparo d’una “pensilina” YA; o se, come fosse una narrazione romantica invece di una cover da Shakespeare-John Ford, lo aspetti lungo il binario del romanticismo e al riparo di una tettoia romantica, la centralina dei tuoi ragionamenti su di esso andrà facilmente in tilt.
      Da ultimo, ritengo che Gadda e Arbasino siano autori complessi e interessanti. Dunque, li leggo. Nel contempo, ritengo che Pier Vittorio Tondelli, Filippo Betto e la stessa Coltorti, facciano parte di un manipolo di narratori sufficientemente sofisticati, uniti – quanto all’approntamento dei propri romanzi – dall’applicazione dei saperi giradiani.
      Chiara Malerba

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    4. Miss Malerba sta facendo tutta questa argomentazione (piuttosto divertente, in verità) per difendere quello che in fin dei conti sembra un romanzetto. Una storia del genere, come diceva un'altra utente più sopra, a malapena ha saputo affrontarla McEwan, figuriamoci una ragazza di vent'anni alla sua prima esperienza letteraria. Abbiamo addirittura una bibliografia da cui attingere per prepararci alla lettura del romanzo... Mi pare leggermente eccessivo, in verità, anzi mi pare ridicolo che sia un romanzo talmente complicato da comprendere ed apprezzare da doversi prima infarcire di filosofia. Tanto per restare in tema di affinità, ho letto quelle di Goethe a 14-15 anni, quindi priva di qualsiasi studio filosofico e letterario, e non ho avuto bisogno di nulla per capire che era un capolavoro. E visto che cita Gadda, sappia che non è così che si rende omaggio al suo stile esplosivo e barocco.
      A me questa pare un'ottima recensione, ben motivata, e che mi ha fatto capire ancora una volta perché non leggo libri di questo genere.

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    5. Grazie per il complimento, inutile dire che concordo con tutto il commento.

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  6. Ho scordato di mettere la firma al mio commento anonimo. Scusate. XD

    MikaelQuasimodus

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  7. La mia impressione è che Chiara Malerba sia amyketta con l'autrice XD

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    1. Ha detto di conoscerla ma di non esserle amica - né ghost writer, con rammarico :)

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    2. mah.. secondo me è l'autrice stessa, o comunque è una sua amica... avevo fatto una piccola recensione di questo libro su goodreads,esprimendo il mio modestissimo in confronto alla grandezza di significati dell'autrice, e me la ritrovo commentata da questa chiara malerba... clicco sul suo profilo e vedo che ha letto un solo libro (inutile dire quale) e che l'unica cosa che ha fatto è stata commentare recensioni di quel libro...uhm... Comunque, mi trovo daccordo con la tua recensione anche se reputo il libro un 2.5...

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    3. Sì. Quasi certamente è l'autrice stessa.
      Chiara Malerba

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  8. Non basta infarcire un libro di gulp e Nuvenia e Audi e parents e sarde sott'olio, per attualizzare una solfa stravecchia

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  9. La questione delle solfe stravecchie (farcite o meno), nasconde molto più di quel che rivela.
    È un po’ come quando dici: “Niente di nuovo sotto il sole”.
    Un tipo di enunciato, in apparenza, “tranquillizzante”: “Non c’è niente di che, vedi? È tutto in piena luce. Dai tempi dei tempi, è sempre stato così”.
    Ma questo gioco di prestigio del linguaggio, non implica in alcun modo che noi comprendiamo ‘cos’è’-in-piena-luce.
    Viene detto: “È sempre stato lì. Alla luce del sole. Non c’è niente di nuovo, sotto questa antichissima evidenza”.
    Eppure, ciò che come un contrappeso stupefacente e veloce sale in superficie attraverso l’enunciato, risuona a mo’ di gong: “È antichissimo, ed è stato sempre qui in piena luce”, e tuttavia nulla accenna, quanto alla nostra eventuale “comprensione” di ciò che, sotto l’evidenza della luce, da sempre si mostra.
    Gli effetti della rivalità mimetica e le dinamiche del desiderio triangolare che Gaia Coltorti gestisce con tanta consapevole maestria nelle “Affinità alchemiche”, possono benissimo essere stati fin dalla fondazione del mondo sotto gli occhi di tutti, ma chi lo sapeva – chi ne poteva distinguere e descrivere in modo razionale le dinamiche – prima che René Girard se ne accorgesse?
    E la poesia cortese?
    Dante, San Francesco e Santa Teresa lodano la donna amata e il Signore con le stesse parole che settant’anni prima circolavano tranquillamente nelle corti in cui l’eresia catara era accolta e cripticamente lodata dai poeti cortesi. Ma prima di De Rougemont, chi avrebbe potuto sognarlo?
    Di sicuro, Dante, San Francesco e Santa Teresa, che pure di quelle formule eretiche si servivano, non lo sapevano già più.
    La “solfa stravecchia”, non per questo ha già da sempre sprigionato il suo più proprio segreto. Alla scala delle “Affinità alchemiche”, comprendiamo – bastino o meno i gulp e i sardoni sott'olio – il problema non è rendere attuale una storia dalle origini con ogni evidenza immemori, quanto piuttosto provare a farne questione oggi, adesso, nel 2013, coi propri coeteanei e i più giovani infestiti dal romanticismo in salsa paraletteraria ovunque trionfante. Questa sbobba per cerebrolesi che a tambur battente trionfa, imposta e veicolata dall'editoria industriale.
    Mi sembra molto onesto, alla fine.
    Chiara Malerba

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    1. coi propri coeteanei e i più giovani INFESTATI dal romanticismo (è chiaro, domando scusa)

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    2. Non ho capito niente di niente. Tu scrivi troppo aulico per un comprendonio nella norma. E dire che ho due lauree!!Saranno stati soldi buttati!! Ma che è sta sbobba per cerebrolesi?? Roba che se magna?? Se un libro non piace non piace, non c'è da farne un dramma.

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    3. Cerebrolesi??? A questo punto si può dire che la Coltorti, più che essere una giovane scrittrice "in erba", può essere definita una scrittrice "in malerba"!!!
      Scusa tanto, ma la tua amica sa che tu giri su internet a lanciare insulti a destra e a sinistra?? Ti assicuro che non le stai facendo un favore: tutto il contrario, anzi. L'educazione prima di tutto.

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    4. Suona bene: sig.ra Gaia Coltorti in Malerba. Caspita, sembra un nome nobile!
      In effetti, vista in foto, ha un'aria un po' da contessa da romanzo.

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    5. No, a me non piace l'accostamento dei due cognomi. Mi fa venire in mente qualcuno che gli stanno torcendo il collo in mezzo all'erbacce...
      E poi basta con queste sciocchezze. Il punto è: LA SIGNORINA MALERBA DOVREBBE CHIEDERE SCUSA PER AVERCI CHIAMATI CEREBROLESI!

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    6. Ma cosa c'entrano Dante, San Francesco e Santa Teresa che vivono in un contesto storico lontanissimo e assolutamente differente da quello attuale? Non stiamo cominciando a straparlare?
      E a contraddirci, anche, perché prima è stato detto che l'incesto era un pretesto per affrontare chissà quali grandi sentimenti adolescenziali, ora che la Coltorti vuole attualizzare questa problematica (quindi il fine ultimo è l'incesto?), nel 2013, parlandone ai suoi coetanei "infestati dal romanticismo in salsa preletteraria" (chissà che gente conosce l'autrice, ovvio che voglia indottrinarli con la sua sapienza), che "leggono sbobba per cerebrolesi imposta e veicolata dall'editoria industriale"; la stessa in cui naviga la Coltorti, perché la produzione di libri "in serie" non è certo appannaggio di una certa categoria di case editrici che svettano nelle classifiche a causa di libri brutti e politiche sui prezzi vantaggiosi... al contrario, di libri fotocopia, che si presentano come fulminanti colpi di genio, con copertine bellissime e messaggi profondi, conditi da una falsa cultura che mira solo s far sentire gratificati i più superficiali (quelli che espongono fieri in libreria l'ultimo Dan Brown) ne abbiamo a decine - di solito sono quelli che vincono i Premi Strega -. Le affinità rientra perfettamente in questa seconda categoria: un libro con tante pretese ma che non riesce a soddisfarne nemmeno una, con riferimenti letterari che servono solo a solleticare l’ego dell’autrice e di chi la legge – e potrà sentirsi bravo per averli individuati -, tanto fumo, tanti paroloni, tanta ricerca di un’originalità che risulta forzata, e poi, semplicemente, una storia banale e noiosa che non dice nulla di nuovo né per forma né per contenuti, che si ostenta, che risulta raffazzonata. La Coltorti non è assolutamente diversa dalla massa industriale che tanto sembra disgustare la Malerba, anzi, vi rientra alla perfezione.

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    7. San Francesco (1182-1226), Dante (1265-1321), Petrarca (1304-1374), ma anche la Santa Teresa (1515-1582) magistralmente citata da Carver nella sua celebre e ultima prolusione in pubblico (1988), sono esempi della cristianità di cui Denis De Rougemont ci dice ne “L’amore e l’Occidente”. Quest’opera, che a partire dal mito di Tristano e Isotta analizza in prospettiva storico-cronologica il concetto occidentale dell’amore, individua nel Tristano “non già un amore per l’altra persona coinvolta nel rapporto amoroso, bensì un amore per l’amore” – un amore “narcisistico” in cui “l’enfasi risulta posta sull’autoesaltazione dell’amante, piuttosto che non sulla relazione con la persona amata”. Ora, l’amore che si sviluppa nei romanzi medioevali e nella poesia trobadorica, è esattamente questo: un amore attraverso gli ostacoli e, anzi, un vero e proprio amore PER gli ostacoli, così che infine non vi sarebbe alcun AMORE se non questo – davvero stranissimo – SOLO PER GLI OSTACOLI.
      L’epoca del Tristano è pressoché la stessa in cui Dante, San Francesco e Petrarca cantano le lodi dell’amata (e di Dio) utilizzando parole e “formule retoriche” prese in prestito da quelle stesse che settant’anni prima circolavano nelle corti in cui l’eresia catara era accolta e cripticamente lodata dai poeti cortesi.
      Ovviamente Dante, e per certo San Francesco e successivamente Santa Teresa, dovevano già del tutto ignorare le reali scaturigini della poesia dei trovatori, i quali, per altro, si sarebbero dissolti nella prima metà del XIII secolo, proprio in coincidenza con la soppressione del catarismo attuata dalla crociata contro gli albigesi.
      Faccio riferimento a tutto questo – il mito di “Tristano e Isotta” e del loro amore ostacolatissimo narrato nel primo romanzo occidentale, più la poesia trobadorica intesa come emanazione dall’eresia catara – per provare a ridire daccapo come sia proprio da tale contesto che, sia pure senza saperne più nulla, i nostri attuali modelli amorosi derivano, fatti propri dai letterati romantici e oggi ovunque ripresi da Hollywood e da tanta romanzeria sentimentale per lettori senza pretese.
      In breve, un conto è dunque scrivere storie d’amore come “Uno splendido disastro” nel modo naive e ultra commerciale di Jamie McGuire, oppure “Delirium” di Lauren Oliver, o “L’isola dell’amore proibito” di Tracey Garvis Graves, o l’anodino e larmoyante “Proibito”di Tabitha Suzuma, e un conto è fare di tutte queste cose tipo “harmony” (anche) una parodia consapevole – per esempio nello stesso modo in cui “Persuasione” di Jane Austen è una parodia del romanzo sentimentale e del romanzo gotico – ma in più utilizzando dispositivi conoscitivi contemporanei come quelli messi a nostra disposizione dagli studi di de Rougemont (e insisto René Girard), il tutto a partire da una “cover” che guarda a Shakespeare e John Ford.
      Su cosa sia nella sua essenza l’editoria industriale e quali vagonate di sbobba propini all’impazzata per l’orbe terraqueo, mi sembra siamo d’accordo; invece, per quanto riguarda il tema dell’incestuosità, che a tuo dire è poco o nulla trattato nelle “Affinità alchemiche”, vorrei tentare, per iniziare a farmi comprendere un po’ meglio, un esempio.
      Con una premessa: se realmente ti interessa comprendere cos’è REALMENTE in gioco in questo nostro confrontarci, e in che senso io non mi cotraddica in alcun modo, non potrò farlo in un minuto e occorrerà – ma già lo sai – un certo impegno e un’addatta fatica.

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    8. Seguito del brano subito sopra questo
      sempre di Chiara Malerba

      Proviamo a cominciare dagli “effetti di superficie”: l’incestuosità della vicenda che, alla lettera, “sequestra” Johnny e Selvaggia.
      Non possono esservi dubbi: Francesca Magni [www.lettofranoi.it] e Antonietta Mirra [www.sololibri.net] hanno, quanto a questo, colto l’essenziale.
      Come scrive Francesca Magni, il romanzo di Gaia “è un viaggio nell’innamoramento, più che una storia di incesto. Il fatto che i protagonisti siano due gemelli non è ragione di indagine in sé: è piuttosto un pretesto, perfetto e paradigmatico, per raccontare la fame e la pena degli amori irrealizzabili”.
      Anche Antonietta Mirra sostiene che la relazione incesuosa fra Johnny e Selvaggia è un pretesto per parlare d’altro: “Le parole dei protagonisti danno voce ai loro desideri”, e sono parole “maliziose ma mai volgari, così come non è volgare il sentimento che viene mostrato” e risulta, invece, “un pretesto per raccontare ancora una volta quanto sia ardente la fame di un amore irrealizzabile”.
      Dunque l’incestuosità sarebbe, ne “Le affinità alchemiche”, un pretesto, e io personalmente non ho dubbi che si tratti di questo e nient’altro che questo. Ma ecco un giudizio di opposto parere: “Nessuna reale riflessione viene dedicata [al legame incestuoso che lega Giovanni a Selvaggia N.d.R.], quasi fosse un problema marginale. E per tutto il corso del libro non viene minimamente accennato il problema legale dell’incesto. Sembra che la scrittrice non sappia – e di conseguenza non lo sappiano nemmeno i suoi personaggi – che l’incesto è illegale!” [dustypagesinwonderland.blogspot.com].
      Eppure, per una fra le più formidabili ironie della sorte, proprio quest’ultima recensione è forse l’unica a giungere vicinissima all’ubi consistam del romanzo, riuscendo a citarne l’enunciato chiave o, se ci piace, la pietra angolare su cui l’intera storia poggia. E tale enunciato, che Gaia pone in bocca a Giovanni (rendendolo intelligentissimo per sempre), dice: “Se sul serio credi che il nostro amore non origini da noi sei avvertita, sorella cara: io mi ammazzo.” (pag. 224).
      A queste parole, Selvaggia sembra riscuotersi dai propri pensieri: trae a sé il fratello, lo bacia, e in modo alquanto “strabico” gli risponde: “Se sapevo che ti spaventavi, se avessi immaginato che ti mancava il coraggio, certi stupidi discorsi, certi scherzi, non li avrei nemmeno cominciati”.
      È molto strana, questa risposta in cui si dice di una mancanza di coraggio e di uno spaventarsi da parte di Giovanni, il quale poi – solo per stavolta parafrasando non Gadda, bensì l’ilare maschera young adult Lorenzo di Guzzanti con cui il lettore supergiovane ama identificarsi – “se spaventerebbe ma dde che, ahó”?, e “nun troverebbe er coraggio ma dde che, ahó”?
      Un istante più tardi, Selvaggia dice al fratello che se l’avesse saputo, “certi stupidi discorsi, certi scherzi”, non li avrebbe “nemmeno cominciati”.
      Ma quali “scherzi”, e che genere di “stupidi discorsi”, i nostri due innamorati persi hanno (un istante prima) affrontato?
      Potrebbe essere una specie di compito a casa, se solo qualche volenteroso se la sentisse di approfondire un minimo, no?

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    9. Con ogni evidenza – mille grazie a Valeria Nisi per avermelo fatto notare – non è affatto “Persuasione”, il romanzo della Austen parodia delle storie sentimentali e gotiche, bensì “L'abbazia di Northanger”, pubblicato postumo. Chiedo scusa.
      (C. M.)

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    10. Siamo eternamente grati a Valeria Nisi per l'eccesso di zelo che io le avevo risparmiato, ma che purtroppo non ha impedito di godere ancora una volta della compagnia dei suoi commenti.

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  10. Gentili amici,
    tento una risposta cumulativa, scusandomi in anticipo per l'eventaule confusione:
    dev'esserci un equivoco, temo. Un grosso equivoco. E ovviamente è vero: se un libro non piace, non piace. Non c'è da farne un dramma. Mica muore nessuno. La sbobba a cui mi riferivo, sono i romanzi tipo harmony travestiti da narrativa tout court. La paraletteratura e le cose larmoyanti, insomma. Ma se qualcuno ha piacere di leggerli, ci mancherebbe che io dovessi – sul serio – sindacare sulla cosa, o altro. Non credo di insultare, realmente, nessuno. Tantomeno delle persone come voi che non conosco, non mi hanno fatto nulla e nei cui confronti, in ogni caso, non faccio finta di essere qualcun altro. Gaia lo sa? Non ne ho la minima idea. Anche perché l'ultima volta che l'ho sentita, per sms, è stato in occasione di una sua intervista a Vanity Fair (l'8 gennaio, credo), nel corso della quale l'impeccabile inviata l'ha presa a randellate soprattutto perché la signorina Coltorti – credo io – non doveva corrispondere al genere di ragazze alla moda e più o meno performanti a cui la bella rivista in oggetto si rivolge.
    Comunque, ci si occupa, qui, di cose romanzesche, fiction, trame, cose divertenti. Perché ombrarci. Rassereniamoci.
    Buona Pasqua a tutti voi, da Chiara M.

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  11. Per commentare questo romanzo bastano solo 2 parole: macelleria letteraria. Uno stile fastidioso ed altisonante, affiancato da una storia inverosimile e priva di coesione, condito dalla spocchia dell'autrice (che si riverbera sui personaggi) hanno prodotto il romanzo più petulante ed irritante che io abbia mai letto. E' chiaro come il sole che questo esperimento della Mondadori è atto a far gola ad un certo pubblico adolescente privo di reali consapevolezze della vita nonché di serie conoscenze letterarie. Le affinità alchemiche, supponente nella forma e nella sostanza, è non solo un libro sgradevole ma non offre nemmeno il benché minimo spunto di riflessione su nulla...da questo libro si vedono soltanto autoreferenzialità e saccenza dell'autrice (e di riflesso dei personaggi e della storia) oltre ovviamente alla bramosia perversa di appioppare qualche copia in giro da parte della casa editrice. Pessimo!

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    1. L'interesse di una casa editrice dovrebbe essere quello di vendere. Evidentemente, l'editrice ha un "identikit" del "giovane medio italiano" che non rispecchia per nulla la realtà. Comunque, pubblicare/scrivere un libro che non piace non è mica un delitto!! MA, in questo caso, c'è sotto ben altro!!! Questo romanzo è troppo, troppo simile ad un altro romanzo, del 1910, ripubblicato nel 2009. Ma anche se in Italia lo sanno solamente 4 o 5 persone (per adesso), vedo che l'artificiosità e l'anticaglieria sono balzate all'occhio ugualmente! Ed è molto grave la strafottenza con cui l'autrice lancia un preciso messaggio in codice, quando dice "il desiderio aveva le sue regole scritte da antichi romanzieri poco noti e dimenticati, ignoti certamente ai diciottenni" (pagina del primo amplesso).

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    2. Una piccola osservazione sulla definizione un po' cruda di "macelleria letteraria" data da un Anonimo poc'anzi: Secondo me sarebbe più calzante quella di "pescheria letteraria" visto l'affollamento di "sardoni sott'olio" e "labbra salmonate" e cenette lacustri/marinaresche...

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    3. Onestamente io credo che la trama sia così banale e scontata da poter saltare in mente a chiunque senza bisogno che si ricorra al plagio

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    4. In effetti....il tomo 1910 era più coinvolgente e interessante. Questo pare depauperato di contenuti e arricchito di accoppiamenti. Ma la prosa aulica e dannunziana, infiorata di termini desueti c'è!!!!

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    5. Perchè tutta questa acrimonia contro un libro solo perchè ispirato ad un'opera del passato?

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    6. Perchè...in effetti c'abbiamo il dente avvelenato. Siamo un po' "parziali". Una nostra amica ha scritto un libro sulla goliardia, un romanzo storico un po' particolare, in cui c'è un gruppo di amici che ne combina di tutti i colori. Praticamente "siamo noi", portati indietro nel tempo. Fatti e personaggi ispirati alla realtà. E naturalmente noi facevamo il tifo per lei nei mesi in cui il manoscritto è stato alla Mondadori, nel 2012. Quando infine è arrivato il no, siamo rimasti molto delusi, come è logico. Ci vien solo la rabbia nel vedere che cosa hanno pubblicato "al posto" di quello della nostra amica. E ci chiediamo: possibile che non abbiano visto che dentro il manoscritto c'era nominato e specificato bene lo scandaloso romanzo incestuoso pubblicato a Milano che a inizio 900 fece vendite da capogiro? E ci rispondiamo che dev'essere stato letto un po' troppo alla veloce, nonostante i 10 mesi di stazionamento. D'altronde, senza un agente letterario, che vuol combinare una ragazza da sola? Tutto qui.

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    7. PS: Hai ragione Malitia, nessuno lo direbbe, a prima vista. Eppure...tutta questa storia è incredibile.
      Auguri a tutti di buona Pasqua e complimenti per il blog.
      Cristina

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    8. Un romanzo storico-golardico ispirato alla realtà, ma che cosa interessante :-)
      Un vero peccato, poteva essere una ventata di novità nel triste e stantio panorama attuale.

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    9. Grazie Ossimoro, sei GRANDE!! Le tue parole ci incoraggiano...speriamo comunque che prima o poi il libro uscirà! Se vuoi saperne di più puoi dare un'occhiata al sito: www.giovinezza900.it
      Grazie ancora!
      Matteo

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  12. Mi pare di aver letto che quel concorso letterario fu finanziato con soldi pubblici.
    Superfluo ogni commento.

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  13. Non so perché ancora me ne stupisco, ma continuo a non capire perché certe persone non siano capaci di accettare delle critiche. Non ho letto tutto quello scritto dalla Malerba e non ne ho la minima intenzione. Trovo totalmente assurda questa ostinazione nei confronti di una recensione solo perché non è positiva.
    A parte il fatto che ognuno è libero di esprimere il proprio parere, la recensione è anche scritta nel massimo rispetto e quindi l'accanimento diventa ancora più assurdo! Sono proprio allibita.

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    1. Vi dico io che in tutta questa storia - fin dalle origini - la realtà supera ogni più fervida fantasia. Mai vista una cosa così.

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    2. No è che la Malerba deve convincere tutti quelli che leggono la recensione negativa che, in realtà, il libro è un capolavoro e sono io a non averlo capito XD Se no non lo compra più nessuno

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    3. Beh per quanto mi riguarda, non mi ha convinta per niente... anzi, semmai mi ha convinta ancora di più a non leggerlo XD

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  14. Malitia: ti avverto che la Malerba, sotto le spoglie di un certo "Mirko", sta dilagando anche sul sito www.qlibri.it (http://www.qlibri.it/narrativa-italiana/romanzi/le-affinit%C3%A0-alchemiche/). Si è tradita con la metafora della pensilina, già usata qua con te (commento del 21 marzo ore 20.09)... E da sotto la sua "giustissima pensilina", vaneggiando di pernacchie e buoi muschiati, lancia frecciatine (neanche tanto -ine) su te e altre blogger che osano esprimere la propria libera opinione sui libri.

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    1. Lo stesso commento è stato postato anche sotto la recensione di Ossimoro, non so se faccia più compassione o sorridere. Di certo non si è compreso che quest'atteggiamento - lo screditare gli altri ponendosi su un altro livello sia linguistico che culturale, sottolineando l'incompetenza di chi osa dare un giudizio su questo pessimo libro, poiché, viene detto, non possediamo "i titoli, gli strumenti e le competenze per esprimere un giudizio “serio”, cioè articolato, argomentato e motivato" (ma che ne sanno loro dei miei titoli, vorrei sapere? :D non importa, è ovvio che se non ho apprezzato le Affinità non ci capisco nulla, fossi pure Umberto Eco) e l'ostinarsi nelle citazioni colte pur di dimostrare ciò che il libro non è - sta facendo più male a questo libro di quanto abbia fatto io con una semplice recensione :)

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  15. Ho impiegato quasi un'ora a leggere tutti i commenti, sono esausta XD
    Chiedo venia, ma il mio livello culturale e letterario non mi permette di rispondere con i toni barocchi precedentemente utilizzati. Lo so, sono molto "terra terra", me tapina!
    Premetto che non ho letto il libro - e grazie al cielo, dovrei aggiungere a questo punto- ma una mia amica l'ha fatto e mi ha raccontato abbastanza da aver capito che non solo non ho intenzione di aprirlo ma, nel caso, temo avrei la tentazione di avvicinargli un accendino e ammirare la fiammata.
    Ho fatto il classico. Amo la letteratura e mi piace trovare citazioni e una certa complessità stilistica in ciò che leggo; tuttavia un conto è il linguaggio barocco e articolato... tutt'altra cosa è crogiolarsi nella propria somma sapienza.
    Diamo a Shakespeare quel che è di Shakespeare e, per favore, solo a lui. Non c'è bisogno di resuscitare i mostri della letteratura per difendere un romanzetto che, da quel poco che ho potuto capire, ha tutto fuorché il respiro dei grandi classici.
    Se la recensione non fosse stata sufficiente a dissuadermi dal leggere questo libro, sicuramente ci hanno pensato gli estenuanti - prolissi, spesso contorti e pedanti- commenti al di sotto.
    Se per leggere un romanzo del genere devo studiarmi prima una biblioteca, beh, temo che questo romanzo mi abbia perso in partenza.
    Vorrei solo far notare che la COMPRENSIBILITÀ di un testo va al di là della profondità dei temi trattati e della ricercatezza stilistica. Si può trattare di temi complessi e delicati senza per questo istigare al suicidio il povero lettore indifeso.
    E comunque, sì, i commenti in difesa di questo romanzo erano spesso in contraddizione tanto che non ho ancora capito se ci troviamo davanti al nuovo Dante (1265-1321) (grazie per le date, immagino avessero un significato profondo e filosofico che temo, per la mia infinita ignoranza, di essermi persa), oppure se ci troviamo davanti a una fanciulla desiderosa di trattare il tema dell'amore né più né meno di come lo tratterebbe l'ultima arrivata su efp,ma con qualche citazione in più per non dispiacere agli insegnanti.
    Sì, sono cerebrolesa ma ehi! l'autrice è stata così buona da pensare anche a me e abbassare i toni del romanzo in modo che anche quelli "terra terra" come me potessero comprendere. Non riesco davvero a esprimere la mia gioia.
    E poi, non so, forse sono io ... ma il linguaggio del Quattrocento lo sopporto solo con autori di quel periodo. In tutti gli altri casi mi suona ridicolo e forzato.
    Davvero il libro è scritto tutto così?
    Orbene, mi dileguo!

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  16. Ho pubblicato una recensione di questo libro sul mio blog, poco tempo fa. E un simpatico anonimo ha lasciato qualche commento stizzito che mi ha lasciato perplessa. E allora eccomi a girare per altri blog, dove tra parentesi mi sto divertendo un sacco, alla ricerca di prove che confermino il dubbio che mi assale: sarà l'autrice del libro, la permalosina che mi lascia commenti?
    Non lo so. Però posso dire una cosa: che tristezza, se fosse così.

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    1. Non è escluso che l'autrice sia circondata da pazzi XDXD

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