Un paio di settimane fa, sono stata al cinema con un'amica
a vedere “Anna Karenina” e ne sono rimasta piacevolmente colpita. Mi è piaciuta
la recitazione dei protagonisti, le ambientazioni, persino le musiche e i
meravigliosi costumi. Piena di entusiasmo, volevo scrivere un pezzo su questo
film, quando però mi sono imbattuta in internet in un articolo molto
interessante pubblicato sul sito di “The New Yorker”, una delle pubblicazioni
più interessanti dal punto di vista culturale in lingua inglese. Propongo qui
la traduzione di una parte di questo articolo, che offre una lettura
interessante della storia e del personaggio di Anna. Buona lettura!
Tratto dall'edizione online di “The New Yorker”
“Anna Karenina”: una storia d'amore?
di Joshua Rothman, pubblicato il 23 novembre 2012
Joe Wright |
Qualche settimana fa, era un mercoledì nevoso, mia moglie e
io siamo andati a vedere la nuova versione cinematografica di “Anna Karenina”,
première newyorkese del film. Prima dell'inizio, il regista Joe Wright, un
inglese dai capelli scuri in abito grigio, si è alzato per pronunciare un breve
discorso. Ha presentato Keira Knightley, che interpreta Anna, insieme ad Alicia
Vikander e Domhnall Gleeson, gli attori che impersonano rispettivamente Kitty e
Levin. Wright ha raccontato con grande partecipazione, come un orgoglioso
fratello maggiore, di aver lavorato con la Knightley fin dai tempi di “Orgoglio
e Pregiudizio”, quando era solo “un'attrice ingenua”. Nel frattempo, ha
aggiunto che il suo nuovo film era incentrato sull'amore e su tutti i modi che
ha l'amore per renderci umani. Dopodiché, Wright e i suoi attori sono usciti da
una porta laterale e il film è cominciato.
La versione di “Anna Karenina” di Joe Wright non è un
adattamento diretto del romanzo, ma un'affascinante reinterpretazione
espressionista, basata su una sceneggiatura consapevole di Tom Stoppard. Le
ambientazioni sono innovative e metafictional, Keira Knightly interpreta
Anna con una sensualità drammatica, la scena della corsa a cavallo di Vronsky è
vivida e intensa, la storia di Kitty e Levin è dolce, paziente, persino
spirituale. Tuttavia, se conoscete e amate il romanzo, troverete che nel film
c'è qualcosa che non va. Il problema, credo, è che è troppo romantico. Come
nelle promesse di Wright, si tratta di un film sull'amore, ma il romanzo di
Tolstoj non è una storia d'amore. Se non altro, “Anna Karenina” è un
avvertimento contro il mito e il culto dell'amore.
Quando, dieci anni fa, ho iniziato a leggere “Anna Karenina”
per la prima volta – ne sono ossessionato e l'ho riletto sette volte da allora
– anche io pensavo che si trattasse di una storia d'amore. Avevo 23 anni e
pensavo al matrimonio, per me era ovvio che nel romanzo si parlasse dell'amore,
quello buono e quello cattivo, quello saggio e quello avventato. L'ho letto
come si legge un libro incentrato sul matrimonio e sull'adulterio. Pensi ai
protagonisti e alle loro scelte, “fai il tifo” per un lieto fine. Se succede,
ne sei contento, e pensi che se lo siano meritato; se non succede, cerchi di
capire che cosa hanno fatto di sbagliato. Ma questa idea “da love story”
dell'amore non è propria di “Anna Karenina”. Tolstoj, quando scrisse il
romanzo, stava pensando all'amore in modo diverso: un genere di destino, o
maledizione, o giudizio; un mezzo attraverso il quale l'universo distribuisce
felicità e infelicità, in maniera ingiusta e apparentemente casuale.
Questi pensieri non sono molto romantici, ma sono molto
“tolstojani”. Quando iniziò a lavorare ad “Anna Karenina”, Tolstoj
semplicemente non aveva abbandonato le tematiche di “Guerra e Pace”. Al
contrario, trovò il modo di pensare a molte delle tematiche che lo avevano da
sempre interessato - destino, opportunità, la nostra impotenza di fronte alle
circostanze e la nostra determinazione a cambiarle – in un contesto diverso.
Nel 1873, quando cominciò a scrivere “Anna Karenina”, era occupato a
pianificare un romanzo storico su Pietro il Grande. A partire dal 1870, si
chiuse nel suo studio a Yasnaya Polyana, a leggere e a prendere appunti, mentre
la moglie e l'enorme branco di figli cercavano di mantenere tutt'intorno il più
quieto possibile. Ma Pietro il Grande era risultato un argomento troppo epico
pure per lui […]. Tolstoj aveva bisogno di un soggetto più maneggiabile, quando
fece una scoperta: fra i suoi argomenti si era inserito qualcosa di non
pretenzioso e storico, bensì personale, intimo e triste. Nella sua biografia di
Tolstoj, Henry Troyat spiega così l'origine del romanzo:
Improvvisamente ebbe
un'illuminazione. Si ricordò di un fatto che lo aveva profondamente colpito un
anno prima. Un vicino e amico, Bibikov […] viveva con una donna di nome Anna
Stepanovna Pirogova, una donna alta, dal viso largo e una natura franca e
spontanea, che era diventata la sua amante. Ma negli ultimi periodi l'aveva
trascurata a favore della governante tedesca del figlio. Si era persino deciso
a sposare la bionda Freulein. Venuta a conoscenza del tradimento, la gelosia di
Anna Stepanovna divenne inarrestabile: fuggì via con un mucchio sfatto di
vestiti e vagò per la campagna per tre giorni, pazza di dolore. Quindi si gettò
sotto un treno merci alla stazione di Yasenki. Prima di morire, inviò a Bibikov
un messaggio “Tu sei il mio assassino. Sìì felice, se un assassino può essere
felice. Se vuoi, potrai vedere il mio cadavere sui binari di Yasenki.”. Era il
4 gennaio del 1872. Il giorno seguente, Tolstoj si recò alla stazione come
spettatore, mentre l'autopsia venne effettuata in presenza di un ispettore di polizia.
In piedi in un angolo riparato, aveva osservato ogni dettaglio del corpo della
donna disteso sul tavolo, insanguinato e mutilato […]. Che vergogna, pensò,
eppure è così casta. […] Cercò di immaginare l'esistenza di quella povera donna
che aveva dato tutto per amore, solo per andare incontro a una morte tremenda.
Credo che sia amore, ma quello che davvero interessava
Tolstoj non era l'amore in se stesso, ma le sue estreme conseguenze. Quando
iniziò a scrivere “Anna Karenina”, introdusse anche altri personaggi e altre
storie, fra cui quella di Kitty e Levin, ma senza il “balsamo” della loro
vicenda romantica, il fulcro del romanzo è quello che accadde ad Anna
Stepanovna. Ciò lo rende diverso da altre storie, nelle quali l'amore è
benefico e positivo: se ce l'hai sei felice, se non ce l'hai non lo sei (pensiamo
ad esempio a Elizabeth Bennet e Charlotte Lucas in “Orgoglio e pregiudizio”).
In “Anna Karenina” l'amore può essere insieme maledizione e benedizione, forza
elementare degli affari umani, come la genialità o la rabbia o la forza o la
ricchezza. A volte è buono, altre è tremendo, crudele, persino pericoloso. Che
Kitty e Levin si innamorino è meraviglioso, ma Anna sarebbe stata molto meglio
se non si fosse mai invaghita di Vronsky.
Questa visione dell'amore è accettabile, in teoria, ma in
pratica si fa fatica ad accettarla, perché si scontra con la mitologia del
sentimento, secondo cui gli amanti che il destino hanno fatto incontrare sono
più romantici, più innamorati del resto di noi. Una mitologia che ci spinge a
considerare la morte di Anna come un nobile sacrificio. È un modo di pensare
seducente, ma folle. Il fatto è che dalla passione fra Anna e Vronsky non è
venuto niente di buono, e tutti sarebbero stati meglio se nulla fosse accaduto.
La loro relazione è stata una catastrofe per Anna, ovviamente, ma anche per
Vronsky, Karenin e il loro figlio Seryozha.
[…]
Se Anna non è l'eroina del romanzo – se non è una martire
dell'Amore – che cosa è allora? Decidere cosa pensare della protagonista è una
delle sfide centrali di “Anna Karenina”. Alcuni lettori, forse perché si
sentono traditi da lei, finiscono per mettere in discussione il suo
personaggio, la sua capacità di giudizio e le sue motivazioni. Incapaci di
vederla sotto una luce positiva, finiscono per giudicarla in modo negativo.
Keira Knightley, durante un'intervista registrata nel corso della prèmiere
newyorkese, sembra pensarla così: “[...] molte persone, in molti adattamenti
cinematografici (e non li ho visti tutti) hanno considerato Anna come
un'eroina, un'innocente, una sorta di creatura santa che viene tradita dal
mondo, dal marito, da tutto. Non ho pensato per forza questo l'ultima volta che
ho letto il libro. Penso che si possa dire questo di Anna, ma penso anche che
lei sia un'anti-eroina”. […] In fin dei conti, forse “anti-eroina” è un termine
troppo forte per Anna: Tolstoj, come sostenuto dal critico G. S. Morson, era
sensibile all'idea che molte cose cattive non accadono per mala fede, ma per
ignoranza. Anna compie atti sbagliati, ma spesso perché sottovaluta le
conseguenze negative delle sue scelte. Non ha pianificato di innamorarsi di
Vronsky, così per gioco (non è una panterona scatenata) e una delle ragioni per
l'infelicità che verrà è che andando a letto con lui, lei ha deluso se stessa.
Nel romanzo (così come nel film) Anna si reca a Mosca per fare da paciere tra
suo fratello Stiva e la moglie Dolly, che lui ha tradito. Allontanandosi, non
vede l'ora di tornare dalla famiglia a San Pietroburgo: “Grazie al cielo” pensa
“domani rivedrò Seryozha e Alexei Alexandrovich, e la mia solita vita pia
proseguirà come prima.”
[…] Il suo affair con Vronsky è più una tragedia
comandata dal destino, che una storia d'amore. E Tolstoj è attento a mostrare
che lo stesso vale, anche se in modo opposto, anche per Levin e Kitty, che
semplicemente sono stati fortunati, mentre Anna non lo è stata. […] Levin e
Kitty non avrebbero potuto finire insieme se non fosse stato per Anna, che ruba
Vronsky a Kitty durante un ballo come descritto nelle prime pagine del libro.
Quasi una provocazione. Tolstoj mette questo fatto, ossia che l'adulterio di
Anna ha gettato le basi per il matrimonio felice dei due, al centro del romanzo
dove rimane come un promemoria muto e ironico di quanto i nostri successi
possono dipendere dai disastri altrui.
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