sabato 2 marzo 2013

Recensione: Il patto della viverna di Maurizio Vicedomini



Il patto della viverna - Maurizio Vicedomini
Nel freddo nord della taiga, un’armata scheletrica rade al suolo un villaggio dopo l’altro, avanzando verso il sud più profondo. Sopravvissuti alla distruzione, Tiros, Khalin e Alannah inizieranno la loro caccia contro un nemico che governa la negromanzia, forte dei poteri di un antico legame. Ma al patto si contrappone una promessa: la promessa di un cacciatore bramoso di vendetta, disposto a fronteggiare la morte stessa pur di portare il giusto riposo al suo popolo.
Editore: Ciesse
Pagine: 304
Prezzo: €16,00





Voto: 


E’ opinione comune di chi si accosta al mondo fantasy e ne comprende l’essenza, che scrivere qualcosa in seno a questo genere dai risvolti pressoché infiniti non è cosa semplice. Lo è ancor meno, poi, impregnare ciò che si scrive di simbolismi e ideologie proprie, di rappresentazioni del mondo reale. Maurizio Vicedomini, con questa sua prima fatica, è il perfetto esempio di chi s’accosta al mondo fantasy percependone le infinite possibilità e potenzialità e che cerca da questo mondo di trarre più che una semplice e fantastica storia.
Tre sono le parti in cui si sviluppa la trama e una la postfazione che illumina e conferma definitivamente ciò che nella lettura del romanzo un lettore accorto e smaliziato intuisce. Come lo stesso autore svela, fra le pagine de “Il Patto della Viverna” è narrato in chiave allegorica il cammino di un uomo che in un primo momento basa la sua vita sul culto divino e poi, via via, cede il passo alla razionalità, all’accettazione del materiale. Questa presa di coscienza è vissuta con ambivalenza. Se da una parte la constatazione è amara, dall’altra nasce una fiducia nuova, una fiducia che fa pensare a Leopardi e alla sua Ginestra, la fiducia nell’Umanità. Lascio tuttavia la scoperta di questa e di altre interessanti allegorie a chi deciderà di indagare da vicino l’opera di Vicedomini, permettendomi di passare a una constatazione di carattere personale: il fantasy è sì un ottimo strumento per rappresentare il reale, ma è davvero un buon fantasy quando lo fa con leggerezza, con discrezione, quasi di sottofondo, senza mai spezzar l’incanto legato alla narrazione propria di questo genere. Guardando al romanzo di Vicedomini, di certo si nota una storia interessante, non troppo banale. Come dice l’autore stesso, non v’è un vero contrasto tra buoni e cattivi, ma la lotta tra due diversi modi di vedere il mondo, in cui “buono” e “cattivo” non son altro che concetti sfumati. Tuttavia, per quanto valenti siano le idee di base, non sembrano bastare ad intesser l’incanto tipico della narrazione fantastica.
Un antico patto minaccia il Regno Bashita in cui si ambienta il romanzo e personaggi spinti dalla sete di vendetta, dall’onore, dalla volontà di proteggere un mondo minacciato da un potente nemico e dalle sue schiere non-morte, si muovono affondando in segreti e conoscenze vecchie di seicento anni, che riattualizzate danno loro i mezzi per combattere. Sono tante le vicende che si intrecciano, tante quelle misteriose che pian piano si scoprono, tante le storie che vengono raccontate e tante altre quelle che invece non vedono mai la luce.
Inizialmente, la trama si evolve lentamente e forse a questo punto sarebbe davvero stato interessante conoscere meglio la storia del Re Serpente o del modo in cui la spada Thai è entrata in possesso del guerriero che la brandisce. Certo, la trama si sarebbe fatta più complessa, ma forse avrebbe acquisito quella profondità che a tratti manca. Tale profondità manca anche ai personaggi, che son solo sfiorati dalle umane passioni, che ne vengono influenzati di certo, ma che con il loro sentire coinvolgono poco e non risvegliano nessun tipo di attaccamento nel lettore. Forse solo Tiros e Sezarius, a tratti, sfuggono a una tale impersonalità.
Piuttosto fastidioso è il ciclo di morti -vere o presunte- e relative resurrezioni, che più e più volte si ripresentano nel romanzo. Ancora una volta, il senso di perdita derivato dall’eclissarsi di un personaggio viene annullato dalla sua quasi prevedibile ricomparsa nei capitoli seguenti. Inoltre, alcuni di questi personaggi sembrano svolgere il solo ruolo di “strumenti” per il raggiungimento dell’obiettivo, tanto che, svolta la loro funzione, muoiono per riapparire in seguito, all’occorrenza. Proprio le riapparizioni, come le apparizioni, a volte sono presentate come fortuite –troppo fortuite- coincidenze, che pur non mancando di una loro coerenza fanno perdere verosimiglianza alla trama, semplificandola eccessivamente e svelandone per altro maldestramente l’intessitura degli eventi predeterminata dall’autore. Una lode va invece all’attenta descrizione degli scontri armati fra i personaggi. Nel tirar di spada, pochi sono gli autori che descrivono i colpi e le tattiche adottate dai combattenti, cosa che invece troviamo in Vicedomini, il quale mette il lettore nelle giuste condizioni per immaginare e comprendere lo scontro, senza accontentarsi distrattamente di un confusionario sventolar di lame. Un particolare che non può dispiacere agli appassionati più pignoli e a qualche attento giocatore di ruolo.
In generale, il ritmo accelera nella parte conclusiva, più concitata e coinvolgente, più sentita forse dall’autore stesso. Pur confermandosi la poca profondità dei personaggi, le scene sono abilmente orchestrate, di modo da conceder poco spazio alla riflessione e più campo all’azione, che per brevi istanti si allarga ad un intera città e consente di percepire le dimensioni del conflitto, forse per la prima volta.
Ultimo appunto è da fare alla lingua. Nessuna smagliatura sul piano sintattico-grammaticale, eppure sarebbe stato più d’atmosfera un registro più ricercato. Termini meno frequenti, meno comuni nell’uso quotidiano della lingua, avrebbero forse reso più coinvolgente il racconto e meno evidente la mano dell’artista.
Insomma, Vicedomini sembra aver compreso la giusta via per un romanzo di successo, chissà che la prossima volta, con una cura maggiore dei particolari, non riesca ad aggiunger quel tocco in più alla ricetta per un fantasy con la F maiuscola.


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