venerdì 28 dicembre 2012

Il tempio degli Otaku: #80 “La storia di Sayo”







SayoSalve a tutti, e benvenuti ad un'altra puntata de “Il Tempio degli Otaku”. Nella storia di questa rubrica – a gennaio sono due anni – non abbiamo mai parlato di graphic novel, un genere fumettistico in larga espansione e dalle caratteristiche decisamente interessanti. Non lo abbiamo mai fatto perché in Giappone non ha assolutamente senso di esistere: è assodato che i manga siano “romanzi grafici”, quindi non c'è bisogno di specificarlo.
Tuttavia oggi faremo un'eccezione, perché è appunto di questo che parleremo: una graphic novel fatta in Italia. Mi chiederete che cosa c'entri con una rubrica chiamata “Il Tempio degli Otaku”. Beh, la disegnatrice – Yoshiko Watanabe – proviene dal Sol Levante, e la storia ha per protagonisti dei giapponesi. Inoltre, credo che le belle storie, ed i bei fumetti, trascendano la nazionalità e le definizioni più utili agli scaffali delle librerie che ai lettori. Perciò, non facciamo i pignoli: accogliamo anche “La storia di Sayo”, di Giovanni Masi (sceneggiatura) e Yoshiko Watanabe (sceneggiatura/disegni) nella rubrica. Buona lettura!

Come accennato prima, la storia è autobiografica. Con i nomi alterati e pochi cambiamenti, infatti, è la storia della Watanabe e di sua madre, Ayako – qui chiamata Sayo.
A partire dal 1934, il governo giapponese incoraggia l'emigrazione in massa verso la Cina, la nuova “terra promessa”. Non aveva fatto i conti, però, con la storia: con il proseguire della Seconda Guerra Mondiale, infatti, gli eserciti cinesi e russi cominciano ad avere ragione delle colonie giapponesi. Le notizie dalla madrepatria sono vaghe, ma positive. La situazione non è molto rosea, ma gli immigrati riescono ancora a vivere in una parvenza di normalità.
E' in questo clima che vivono Sayo e suo marito, con una bambina, Miyako (Yoshiko) ed un altro in arrivo; fino a quando l'uomo viene chiamato alle armi. Il suo consiglio è che Sayo porti a termine la gravidanza in un'altra città, Dairen, dove vive sua sorella. Così madre e figlia partono, sperando che tutto vada per il meglio...

In ogni aspetto de “La Storia di Sayo” si respira l'unione tra uno stile occidentale ed orientale. La sceneggiatura, ad esempio, è scarna ed essenziale, ma l'uso della punteggiatura – numerosi punti esclamativi ed interrogativi – è più italiano che giapponese. Dalla fluidità dei dialoghi, e dalla loro naturalezza, si vede chiaramente che non ci sono state traduzioni ed adattamenti, e quindi nessuno, a parte gli autori, che ha manipolato il testo. Per questo la lettura è agile e scorrevole, nonostante le trecento e oltre pagine di durata e l'argomento non facile.
Quanto a genere narrativo, questo mix tra graphic novel e manga  - graphic manga? Manga novel? Si accettano proposte... - appartiene perlopiù allo slice of life. Essendo autobiografico, non esiste una vera trama da fare da collante: solo vita quotidiana, senza alcun fronzolo. Vedremo così come si viveva nelle colonie in Cina, in un micromondo fatto soltanto di giapponesi che prima collaborano tra loro e mantengono rapporti d'amicizia ma poi, con l'aggravarsi della situazione, cominciano a farsi prendere dalla diffidenza e dall'egoismo. La signora Kobayashi, ad esempio, fa da tramite tra le famiglie e il mercato nero: tutti sanno che è tutt'altro che onesta, ma non possono fare a meno dei suoi servizi. Non mancano comunque commuoventi momenti di solidarietà, come dimostra l'episodio in cui la piccola Miyako si perde e tutta la comunità si mette ad aiutare Sayo nella ricerca.
Vedremo così il costante clima di tensione psicologica in cui vivono Sayo e sua sorella Akiyo: la paura dei russi, il fare i salti mortali per far mangiare due donne (di cui una incinta) e tre bambini con i pochi risparmi rimasti, il non sapere cosa sta succedendo effettivamente a casa, in Giappone, e  naturalmente, per Sayo, l'incertezza sulla sorte di suo marito.
Non sarà facile per le due andare avanti e far fronte a tutti i problemi che la vita metterà loro davanti. Proprio su questo si creeranno delle frizioni tra loro: Akiyo è più cinica e disillusa, e dice quello che pensa con franchezza, mentre Sayo si ostina a credere ancora che la situazione migliorerà.
L'introspezione psicologica è molto sottile, garbata: è difficile accorgersi della sua presenza, ma c'è. Dato il titolo, ci aspetteremmo che il personaggio meglio caratterizzato sia Sayo, eppure Miyako le contende la “corona”, forse perché la storia originale è filtrata dai ricordi di Yoshiko. Miyako è spensierata: come tutti i bambini, riesce a rendere innocue le difficoltà e a trovare tante piccole cose per cui gioire. Dietro ad un uomo che chiede l'elemosina c'è un bel cane da accarezzare, papà rimane a casa ma intanto lei e la mamma vanno su una nave grande e bella, la zia Akiyo alle volte è un po' scostante però ci sono i cuginetti con cui divertirsi. Non è selettività, è soltanto la vitalità di una bambina, che riesce a non farsi trascinare dalla disperazione da cui è circondata.
Si capisce da chi ha preso guardando Sayo. Uno dei peggiori stereotipi della fiction sulle donne è quello della madre indomita e coraggiosa, che riesce ad affrontare le peggiori disgrazie con suprema dignità per il bene dei suoi figli. Lei è proprio così, eppure la cosa non disturba il lettore: non può fare a meno di ammirarla. Non ha punti di riferimento a parte Akiyo – ed a volte la convivenza è difficoltosa, quindi non sempre ci si può contare – è incinta, non sa come andare avanti. Piange, sviene di terrore, corre a perdifiato, ma è sempre lì, aggrappata alla speranza di ritrovare un giorno il marito per tornare tutti insieme a casa, sia Cina o Giappone. Ci si ritrova a fare il tifo per lei.

I disegni sono piuttosto semplici: ricordano un po' lo stile di Osamu Tezuka – omaggiato pure in una scena con uno dei suoi personaggi più celebri. Le persone hanno pochi tratti ed espressioni quasi caricaturali: gli sfondi ed i retini, invece, sono elaborati, soprattutto nelle scene all'aperto. La costruzione della tavola è “elastica” come nei migliori manga: anche troppo, visto che alle volte è difficile capire l'ordine giusto di lettura delle vignette. A fine volume sono presenti degli storyboard e delle mappe degli ambienti, molto gustosi ed interessanti.

“La Storia di Sayo” è un'opera di nicchia, ma non per questo meno di qualità. Questi “manga novel”
non sembrano male...
…E per oggi è tutto, cari amici. Arrivederci alla prossima volta, con “Il tempio degli Otaku”!

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