Salve a tutti, e benvenuti ad
un'altra puntata de “Il Tempio degli Otaku”. Nella storia di questa rubrica – a gennaio sono due anni – non abbiamo mai parlato di graphic novel, un genere
fumettistico in larga espansione e dalle caratteristiche decisamente interessanti.
Non lo abbiamo mai fatto perché in Giappone non ha assolutamente senso di
esistere: è assodato che i manga siano “romanzi grafici”, quindi non c'è
bisogno di specificarlo.
Tuttavia oggi faremo
un'eccezione, perché è appunto di questo che parleremo: una graphic novel
fatta in Italia. Mi chiederete che cosa c'entri con una rubrica chiamata “Il
Tempio degli Otaku”. Beh, la disegnatrice – Yoshiko Watanabe – proviene dal Sol
Levante, e la storia ha per protagonisti dei giapponesi. Inoltre, credo che le
belle storie, ed i bei fumetti, trascendano la nazionalità e le definizioni più
utili agli scaffali delle librerie che ai lettori. Perciò, non facciamo i
pignoli: accogliamo anche “La storia di Sayo”, di Giovanni Masi
(sceneggiatura) e Yoshiko Watanabe (sceneggiatura/disegni) nella rubrica.
Buona lettura!
Come accennato prima, la storia è
autobiografica. Con i nomi alterati e pochi cambiamenti, infatti, è la storia
della Watanabe e di sua madre, Ayako – qui chiamata Sayo.
A partire dal 1934, il governo
giapponese incoraggia l'emigrazione in massa verso la Cina, la nuova “terra
promessa”. Non aveva fatto i conti, però, con la storia: con il proseguire
della Seconda Guerra Mondiale, infatti, gli eserciti cinesi e russi cominciano
ad avere ragione delle colonie giapponesi. Le notizie dalla madrepatria sono
vaghe, ma positive. La situazione non è molto rosea, ma gli immigrati riescono
ancora a vivere in una parvenza di normalità.
E' in questo clima che vivono
Sayo e suo marito, con una bambina, Miyako (Yoshiko) ed un altro in arrivo;
fino a quando l'uomo viene chiamato alle armi. Il suo consiglio è che
Sayo porti a termine la gravidanza in un'altra città, Dairen, dove vive sua
sorella. Così madre e figlia partono, sperando che tutto vada per il meglio...
In ogni aspetto de “La Storia di
Sayo” si respira l'unione tra uno stile occidentale ed orientale. La
sceneggiatura, ad esempio, è scarna ed essenziale, ma l'uso della punteggiatura
– numerosi punti esclamativi ed interrogativi – è più italiano che giapponese.
Dalla fluidità dei dialoghi, e dalla loro naturalezza, si vede chiaramente che
non ci sono state traduzioni ed adattamenti, e quindi nessuno, a parte gli
autori, che ha manipolato il testo. Per questo la lettura è agile e scorrevole,
nonostante le trecento e oltre pagine di durata e l'argomento non facile.
Quanto a genere narrativo, questo
mix tra graphic novel e manga - graphic
manga? Manga novel? Si accettano proposte... - appartiene perlopiù allo slice
of life. Essendo autobiografico, non esiste una vera trama da fare da collante:
solo vita quotidiana, senza alcun fronzolo. Vedremo così come si viveva nelle
colonie in Cina, in un micromondo fatto soltanto di giapponesi che prima
collaborano tra loro e mantengono rapporti d'amicizia ma poi, con l'aggravarsi
della situazione, cominciano a farsi prendere dalla diffidenza e dall'egoismo.
La signora Kobayashi, ad esempio, fa da tramite tra le famiglie e il mercato
nero: tutti sanno che è tutt'altro che onesta, ma non possono fare a meno dei
suoi servizi. Non mancano comunque commuoventi momenti di solidarietà, come
dimostra l'episodio in cui la piccola Miyako si perde e tutta la comunità si
mette ad aiutare Sayo nella ricerca.
Vedremo così il costante clima
di tensione psicologica in cui vivono Sayo e sua sorella Akiyo: la paura
dei russi, il fare i salti mortali per far mangiare due donne (di cui una
incinta) e tre bambini con i pochi risparmi rimasti, il non sapere cosa sta
succedendo effettivamente a casa, in Giappone, e naturalmente, per Sayo, l'incertezza sulla
sorte di suo marito.
Non sarà facile per le due andare
avanti e far fronte a tutti i problemi che la vita metterà loro davanti.
Proprio su questo si creeranno delle frizioni tra loro: Akiyo è più cinica e
disillusa, e dice quello che pensa con franchezza, mentre Sayo si ostina a
credere ancora che la situazione migliorerà.
L'introspezione psicologica è
molto sottile, garbata: è difficile accorgersi della sua presenza, ma c'è. Dato
il titolo, ci aspetteremmo che il personaggio meglio caratterizzato sia Sayo,
eppure Miyako le contende la “corona”, forse perché la storia originale
è filtrata dai ricordi di Yoshiko. Miyako è spensierata: come tutti i bambini,
riesce a rendere innocue le difficoltà e a trovare tante piccole cose per cui
gioire. Dietro ad un uomo che chiede l'elemosina c'è un bel cane da
accarezzare, papà rimane a casa ma intanto lei e la mamma vanno su una nave
grande e bella, la zia Akiyo alle volte è un po' scostante però ci sono i
cuginetti con cui divertirsi. Non è selettività, è soltanto la vitalità di una
bambina, che riesce a non farsi trascinare dalla disperazione da cui è
circondata.
Si capisce da chi ha preso
guardando Sayo. Uno dei peggiori stereotipi della fiction sulle donne è
quello della madre indomita e coraggiosa, che riesce ad affrontare le peggiori
disgrazie con suprema dignità per il bene dei suoi figli. Lei è proprio così,
eppure la cosa non disturba il lettore: non può fare a meno di ammirarla. Non
ha punti di riferimento a parte Akiyo – ed a volte la convivenza è difficoltosa,
quindi non sempre ci si può contare – è incinta, non sa come andare avanti.
Piange, sviene di terrore, corre a perdifiato, ma è sempre lì, aggrappata alla
speranza di ritrovare un giorno il marito per tornare tutti insieme a casa, sia
Cina o Giappone. Ci si ritrova a fare il tifo per lei.
I disegni sono piuttosto
semplici: ricordano un po' lo stile di Osamu Tezuka – omaggiato pure in una
scena con uno dei suoi personaggi più celebri. Le persone hanno pochi tratti ed
espressioni quasi caricaturali: gli sfondi ed i retini, invece, sono elaborati,
soprattutto nelle scene all'aperto. La costruzione della tavola è “elastica”
come nei migliori manga: anche troppo, visto che alle volte è difficile capire
l'ordine giusto di lettura delle vignette. A fine volume sono presenti degli
storyboard e delle mappe degli ambienti, molto gustosi ed interessanti.
“La Storia di Sayo” è un'opera di
nicchia, ma non per questo meno di qualità. Questi “manga novel”
non sembrano male...
…E per oggi è tutto, cari amici. Arrivederci
alla prossima volta, con “Il tempio degli Otaku”!
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