Buon 8 marzo alle lettrici di Dusty pages in Wonderland! Come l'anno scorso, mi piace celebrare la festa della donna con una poesia scritta da un'autrice. Non un uomo che ci guardi dall'esterno, ammiri la nostra bellezza o la nostra forza, sottovalutando o sopravvalutando secondo il proprio criterio. Ma una donna che racconti cosa vuol dire essere donna, soprattutto in certi paesi -ma anche nel nostro, in cui siamo ancora vittime di misoginie e maschilismi, nel mondo del lavoro come nel quotidiano, dove avvengono le peggiori violenze. Ricordando che la festa della donna è molto più di una trovata commerciale per vendere mimose, vi invito a leggere quest'articolo de LaStampa.it:
Perché ogni anno si celebra la giornata della donna?La «giornata internazionale della donna» o «festa della donna» è stata fissata per ricordare le conquiste economiche, politiche e sociali delle donne, ma anche le discriminazioni e le violenze che subiscono ancora in molte parti del mondo.Perché l’Onu ha scelto proprio l’8 marzo?Perché fin dall’inizio del secolo scorso, in un clima di rivendicazione di diritti influenzato specialmente dalle proposte e dall’azione del Congresso Socialista, le donne avevano scelto questa data per celebrare le loro conquiste. Infatti l’8 marzo era il giorno in cui, più di altri, le donne erano state protagoniste di grandi eventi.Quali eventi?Nel 1908 a New York decine di migliaia di operaie protestarono con una marcia per ottenere lavoro e paga più dignitosi, per il diritto di voto e l’abolizione del lavoro minorile. Lo slogan era «Bread and Roses»: pane per simboleggiare la sicurezza economica e rose a indicare una qualità di vita migliore. Ma negli Usa la prima giornata della donna fu voluta dal partito socialista per il diritto di voto la domenica del 28 febbraio 1909.La festa non è anche legata alla morte in un rogo di oltre cento donne?Sì. Il 25 marzo del 1911 ci fu un incendio alla «Triangle Shirtwaist Company» di New York (a Washington Square, nella zona industriale Est di Manhattan), che produceva le camicette alla moda di allora: ma erroneamente si è diffusa la credenza secondo cui la tragedia sarebbe avvenuta l’8 marzo. Nel rogo morirono 146 operai di cui 129 donne, quasi tutte camiciaie immigrate italiane ed ebree dell’Europa dell’Est. Erano rinchiuse a chiave nello stabilimento durante il lavoro per il timore di furti o di pause troppo lunghe: 62 di loro nel disperato tentativo di scampare alle fiamme si lanciarono dalle finestre dell’edificio, alto 10 piani. Alcune avevano 12 o 13 anni e facevano turni di 14 ore al giorno: la settimana lavorativa andava dalle 60 alle 72 ore con un salario dai 6 ai 7 dollari la settimana. Gli unici superstiti furono i proprietari della fabbrica, Max Blanck e Isaac Harris, che si misero in salvo senza preoccuparsi di liberarle. Il processo che seguì li assolse e l’assicurazione pagò loro 445 dollari per ogni operaia morta: il risarcimento alle famiglie fu di 75 dollari. In migliaia parteciparono ai funerali.
Ci sono donne che dimenticano cosa significa essere donne.
Ci sono uomini che definiscono questa festa un'esagerazione. O che, ancora peggio, la banalizzano.
Ci sono donne e uomini che pensano le femministe come delle esagitate. Che vogliono uccidere il femminismo ridicolizzandolo: perché le donne, si sa, vogliono sempre stare al centro dell'attenzione, non stanno mai zitte, oppure vogliono solo cogliere l'occasione per andarsi a divertire in quel locale di spogliarellisti.
Ci sono poi donne, oggi, che continueranno a lavorare come tutti i giorni - perché è questo che fanno le donne, lavorano in continuazione, dentro e fuori casa, pagate di meno rispetto ai colleghi uomini, penalizzate per una maternità che può costarti il posto di lavoro, ricattate sessualmente per la possibilità di far carriera.
Ci sono donne, oggi, che si orneranno di un rametto di mimosa tanto per rincuorarsi che un minimo riconoscimento, una volta tanto, è stato dato.
Ci sono donne, oggi, che verranno picchiate, stuprate, forse uccise perché sono donne.
Non dimentichiamo che questa festa è importante. Non dimentichiamo le donne come Rossella Urru che non fanno notizia, che sacrificano la propria vita, che vengono uccise una prima volta e poi una seconda, diventando l'oggetto di gialli volgari alla "Quarto grado". Non dimentichiamo che essere donne, ancora oggi, è una fatica. E non sto parlando di cerette e tacchi a spillo.
Per questa puntata di Poems ho quindi scelto un componimento dell'autrice e giornalista libanese Joumana Haddad, Sono una donna. Haddad, attiva nella battaglia per la liberazione della donna dall'oscurantismo islamico, ha scritto diverse raccolte di poesie, di cui la più famosa è ‘Awdah Lilit, Il ritorno di Lilith. Sono una donna è il riso, beffardo e sommesso, contro chi crede di poterla imprigionare dentro una gabbia e di poterla possedere. Ma la sua forza sta tutta lì: nell'essere donna.
Sono una donna
Nessuno può immaginare
quel che dico quando me ne sto in silenzio
chi vedo quando chiudo gli occhi
come vengo sospinta quando vengo sospinta
cosa cerco quando lascio libere le mie mani.
Nessuno, nessuno sa
quando ho fame quando parto
quando cammino e quando mi perdo,
nessuno sa
che per me andare è ritornare,
e ritornare è indietreggiare
che la mia debolezza è una maschera
e la mia forza è una maschera
e quel che seguirà è una tempesta.
Credono di sapere
ed io glielo lascio credere
e creo.
Hanno costruito per me una gabbia
affinché la mia libertà
fosse una loro concessione
e ringraziassi e obbedissi.
Ma io sono libera prima e dopo di loro,
con e senza di loro
sono libera nella vittoria e nella sconfitta.
La mia prigione è la mia volontà!
La chiave della prigione è la loro lingua
ma la loro lingua si avvinghia
intorno alle dita del mio desiderio
e al mio desiderio non impartiscono ordini.
Sono una donna.
Credono che la mia libertà sia loro proprietà
e io glielo lascio credere
e avvengo.
Chi è l'autrice?
Nata a Beirut il 6 dicembre 1970, ha conseguito due lauree e un dottorato sul Marchese De Sade e sulla traduzione poetica. Poetessa e scrittrice, giornalista e traduttrice poliglotta, Joumana Haddad è nota soprattutto per le sue poesie, che affrontano spesso temi tabù come il rapporto con il corpo, con l’altro sesso, il desiderio e l’erotismo.
È fondatrice e capo redattore della rivista trimestrale "Jasad" (Corpo), una rivista specializzata nella letteratura, nelle scienze e nelle arti del corpo, pubblicata a partire da Dicembre 2008 e che ha riscontrato un enorme successo, perfino nei quartieri più conservatori e in Arabia Saudita, “il paese con il più alto numeri di abbonati, a cui Jasad arriva in busta tramite corriere internazionale che copre l'immagine di copertina”.Joumana Haddad è inoltre responsabile della sezione culturale del quotidiano "al-Nahar" e fiduciario dell’"International Prize for Arabic Fiction", di cui è stata amministratrice per tre anni. È membro del Comitato del libro e della lettura presso il Ministero della Cultura Libanese. Ha scritto diverse raccolte di poesie, per cui ha vinto prestigiosi premi internazionali, tra i quali ricordiamo i più recenti: il "Blue Metropolis Al Majidi Ibn Dhaher Arab Literary Prize", a febbraio 2010, che, come il poeta franco-marocchino Tahar Ben Jalloun, la definisce “a unique voice in the Arabic literary word ” ; e il Premio Rodolfo Gentili a Porto Recanati ad Agosto 2010. Ha scritto numerose raccolte di poesie, sia in arabo che in altre lingue europee. Citiamo Da‘wah ila ‘asha’ sirriyy (Dar al-nahar li ’l-nashr, Beirut, 1998), pubblicato in inglese nel 2008 con il titolo Invitation to a Secret Feast (Tupelo Press), in cui vengono elogiate con eleganza e passione la sensualità e la femminilità della donna; ‘Awdah Lilit pubblicato in arabo nel 2004 (Beirut), ma anche in francese, italiano, spagnolo, tedesco e svedese. Infine, ricordiamo I killed Scheherazade. Confessions of an angry arab woman (Saqi Books, 2010), che ha avuto un grande successo in Europa.
[Fonte: Arablit.it]
Buona festa a tutte le donne di oggi e un pensiero speciale a quelle di ieri che non ci sono più. Auguri! :)
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