venerdì 23 marzo 2012

Il tempio degli Otaku: cinquantaseiesimo appuntamento "Jigoku Shoujo"

 

A cura di Surymae Rossweisse


Salve a tutti, e benvenuti ad un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Oggi parliamo di una serie televisiva che naturalmente non è arrivata in Italia, dove purtroppo di anime se ne acquistano pochini, ed ancora meno hanno uno spazio in televisione.
A differenza di tanti grandi assenti dal nostro palinsesto, però, è facile intuire perché nessuno ha mai licenziato quest'anime, che pure ha fatto un buon successo in patria: l'argomento, forse troppo sensibile per il nostro paese – che, come sappiamo, ha fortissime radici cattoliche. Si parla di punizioni divine, nientemeno. Non solo: la protagonista indiscussa è colei che porta i malvagi all'inferno. Allora, siete curiosi? Bene: l'anime “Jigoku Shoujo” (letteralmente la “ragazza infernale”) vi aspetta!

N.d.M.: perché una sorta di psicopompo dovrebbe
indossare una divisa scolastica? .-.
Mettiamo che una persona vi tormenti senza posa. Non potete dirlo a nessuno, perché non vi crederebbero, tanto più se si parla di gente che, vista dall'esterno, sembra buona come un angelo. Non potete fare niente, eppure sentite crescere dentro di voi il rancore e l'esasperazione. C'è una soluzione a tutto questo?
Forse sì. Una leggenda metropolitana consiglia di cercare su internet, a mezzanotte, la “Jigoku Tsushin”, ossia la corrispondenza infernale. Digitate il nome della persona odiata, premete invio: immediatamente vi apparirà un'inquietante ragazzina, Jigoku Shoujo in persona. Costei, il cui nome è Ai Enma, vi darà una bambolina pezzata con legato un nastro rosso: se viene tirato il contratto con lei entrerà in azione, mandando all'Inferno chi desiderate. Meglio aspettare che finisca di parlare, prima di sciogliere il nodo: infatti, ogni contratto ha il suo prezzo. Mandate qualcuno all'Inferno? Bene: quando morirete, anche voi finirete senza appello nello stesso posto. Il Paradiso vi è vietato per sempre. A voi la scelta se rischiare il tutto e per tutto...
Inutile dirvi, visto l'impostazione dell'anime, che Ai finisce sempre per ottenere lavoro. C'è qualcuno però che non è soddisfatto: il giornalista free lance Hajime Shibata, per esempio. Contrario per principio alla vendetta, la spinta finale gli viene data dalla figlioletta Tsugumi, che soffre di visioni su Enma ed i suoi compiti. Così, tra una dannazione e l'altra, sia Hajime che lo spettatore cominciano a porsi delle domande: che legame c'è tra Tsugumi ed Ai? E soprattutto, chi è veramente quest'ultima?

Formato da una serie di episodi autoconclusivi, l'anime parte in sordina. Essendoci in ogni capitolo pochi protagonisti, individuare il dannato di turno – e la vittima – è quasi sempre un gioco da ragazzi; non aiuta il fatto che i cattivi sono degli esseri che definire spregevoli è poco, senza alcun lato positivo e che spesso commettono quello che fanno per motivi futili.
Insomma, la varietà non è il piatto forte di “Jigoku Shoujo”. Se ci si abitua, però, e soprattutto se piace la formula narrativa, lo show decolla. Ad esempio, già dai primissimi episodi si può notare come non si vada leggeri con la cattiveria. Si può essere contrari alla vendetta quanto si vuole, ma certamente i dannati non sono degli stinchi di santo. Ce n'è per tutti i gusti, l'uno più sadico dell'altro: dalla bulletta che ricatta la ragazza di brava famiglia allo stalker, passando per il classico episodio sul circo. Personalmente, infatti, trovo che le scene della dannazione siano le migliori, anche perché uno si sente quasi bene a vedere la tanto meritata punizione.
Infine, un fattore non secondario: spesso i “clienti” di Ai – quasi tutte donne o ragazze - non hanno vie di scampo. Le giovani pasticcere derubate della loro ricetta da un decano del settore vengono passate per millantatrici; lo stalker è un insospettabile; il veterinario che usa gli animali per fare soldi a palate sfortunatamente cura anche le bestie di celebrità e politici; ecc. ecc. Difficile fare tanto i moralisti, quindi: si capisce perché ricorrono ad una misura tanto drastica. Un po' meno è vedere come dopo siano felici e contente nonostante siano anche loro dannate per l'eternità, ma quella è un'altra storia.
“Un'altra storia” è anche come si può definire l'anime dopo l'entrata in scena – verso metà stagione – di Shibata e Tsugumi. Il povero intreccio diventa più definito ed interessante, perché oltre alla trama “X tormenta Y, Y contatta Ai, Ai condanna X” c'è anche come Shibata cerchi di intervenire per salvare la situazione. L'esito non è scontato: se trova sempre con grande facilità le parti coinvolte, spesso non riesce ad ottenere quello che si era proposto, anche dopo i suoi discorsi appassionati su come la vendetta non sia mai una strada praticabile.
Con il procedere degli episodi cambia anche come è condotta la trama. Essendo Shibata un giornalista, infatti, spesso la vicenda si trasforma in una vera indagine. In un episodio – uno dei migliori, almeno a mio parere – viene a contatto con un caso del passato; in un altro lui e Tsugumi conoscono la vittima – una persona adorabile: ma lo sarà veramente? - ma non trovano chi potrebbe farle del male; in un altro ancora, pur avendo trovato con sicurezza chi danna, sbagliano chi è dannato. Così la visione è molto più interessante: peccato solo che non sempre gli sceneggiatori riescano ad adattarsi al nuovo metodo narrativo. Con la pretesa di dover mandare in ogni puntata qualcuno all'Inferno a volte si cade in vere e proprie forzature.
Ma cercare inutilmente di convincere la gente a non ricorrere alla violenza non è l'unica funzione di Shibata, anzi. Ce n'è un'altra, molto più importante: l'introduzione di un nuovo punto di vista. Nelle prime puntate, infatti, vediamo soltanto il punto di vista della vittima: per forza che ci sembra quasi giustificato il chiamare in causa Ai. Il carnefice è indubbiamente cattivo, anche se la sua unica ragione valida è proprio quella di essere malvagio.
Con Shibata, invece, si va più a fondo, notando diversi cose interessanti: ad esempio, mandando all'Inferno indiscriminatamente, pur avendo i propri motivi, non è che si diventi tanto migliore di chi ci è andato prima. Inoltre, non sempre tirare il nastrino significa automaticamente risolvere i propri problemi. Uno degli episodi verte proprio su questo: la donna fa tanta fatica per mandare all'Inferno la suocera... per poi scoprire che il marito è uguale alla madre. E anche la prospettiva di essere dannati una volta morti, a ben pensarci, non è poi granché, non credete?
Ma soprattutto, Shibata fa la differenza perché ci fa conoscere l'altra campana. In alcuni casi, ad esempio, scopriamo che il carnefice non è poi tutto questo mostro, e che se solo le parti coinvolte si parlassero le cose andrebbero meglio. Forse, più che Ai, servirebbe uno psicologo, od un mediatore. Andatelo a dire, però, alla ragazza infernale...
E' senza dubbio giunto il momento di parlare anche di lei. Onestamente nell'azione in sé fa ben poco, tant'è che dice sempre le solite cose in ogni puntata (davvero!). Tuttavia rimane un personaggio affascinante, inquietante ad a modo suo anche ben caratterizzato. Il motivo? Proprio il fatto che non intervenga quasi mai. Viene a contatto con i più disperati, ma non batte ciglio nel mostrare le pene che subiranno dopo la morte all'Inferno; quando interagisce con le fecce della società, svolge il suo lavoro senza turbarsi mai. Anche dopo la dannazione, se le anime la tempestano le domande, lei risponde pacatamente che le sta traghettando all'Inferno. Ogni volta che dice anche solo una singola frase in più del solito si rimane impressionati: figurarsi quando, nelle ultime puntate, dimostra che anche lei è in grado di arrabbiarsi, e pure parecchio. Questo la rende un personaggio decisamente interessante, che buca lo schermo con la sua sola presenza.

Il comparto tecnico è buono. Il character design è a dire il vero un po' anonimo, e le animazioni sono povere, ma la qualità della regia e della musica salvano la situazione. Soprattutto quest'ultima: poche tracce ma assai d'effetto, specialmente nelle scene clou. Le dannazioni sono quelle che ne giovano di più: ad immagini che in altri contesti potrebbero suscitare delle risate si contrappone una musica solenne e molto enfatica. La regia si dimostra altrettanto puntuale: non potete capire, se non l'avete mai visto, il pathos che può regalare un nastro snodato...

… E con questo è tutto, cari amici. Arrivederci alla prossima settimana, con “Il tempio degli Otaku”!

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