Il
Signore degli Anelli e il Silmarillion tra contaminazione e purificazione
di Lavinia Scolari
1. Divinità e personaggi guaritori
Il Re Taumaturgo
Tra i personaggi legati alla purificazione e al
ripristino dell’ordine Aragorn riveste un ruolo decisivo. Il sovrano per
eccellenza de Il Signore degli Anelli
è raffigurato con i caratteri mitici del re taumaturgo, confermando l’idea che
l’opposizione contaminazione-purificazione innervi l’opera tolkieniana.
Uno dei temi narrativi
più importanti del Signore degli Anelli,
infatti, risiede nel percorso di Aragorn da ramingo a Re Guaritore, che offre
dei parallelismi con la figura epico-letteraria di Re Artù (cfr. MORGANTI A., Un giorno un Re verrà..., in Aa. Vv., “Albero” di Tolkien. Come Il Signore degli
Anelli ha segnato la cultura del nostro tempo, op. cit., pp. 165 e
sgg.).
A tal proposito, non va
trascurata l’eredità della mitologia nordica per la rappresentazione della
figura sacra del Re, subordinata solo alla potenza degli dèi: «Secondo l’antica
tradizione dei Germani, il re era una figura sacra, direttamente partecipe
della natura divina e incarnante la fortuna della stirpe. Il suo compito
coincideva con quello del sacerdote, al quale si chiedeva di mantenere
attraverso la sua persona un contatto con le potenze celesti per garantire la
prosperità e la vittoria. Al re era chiesto di concentrare le energie
vegetative e vivificanti e di rifletterle sul popolo.» (CHIESA ISNARDI G., Miti Nordici, p. 445) La taumaturgia di
Aragorn si applica su coloro che sono affetti da una contaminazione nociva,
esiziale, legata al mondo d’ombra e alla morte.
Éowyn e Merry, dopo essersi scontrati con il Capo
degli Stregoni di Angmar e aver colpito il suo corpo d’ombra, cadono
nell’oscurità, contagiati dall’alito nero. Le braccia che hanno vibrato i
fendenti contro il Nazgûl sono fredde e senza vita, come se la morte di cui la
creatura di Mordor era portatrice si fosse riversata nelle membra entrate a più
diretto contatto con la sua essenza negativa. I feriti vengono condotti alle
Case di Guarigione, dimore dove trovare riparo e cura, ma il male che grava su
di loro è ignoto alla conoscenza medica di Gondor. La tenebra è penetrata non
solo nei loro corpi, ma anche in quelli dei guerrieri di Minas Tirith, condotta
da un fetido vento proveniente dalla Terra Nera e dai suoi servi, contro cui
vale poco la scienza degli Uomini:
Ma ora la loro arte e la loro scienza erano
confuse e perplesse: vi erano infatti molti che soffrivano di un male
insanabile, ed essi lo chiamavano l’Ombra Nera, perché proveniva dai Nazgûl. E
coloro che ne erano colpiti piombavano lentamente in un delirio sempre più
profondo per poi passare al silenzio, a un freddo micidiale, e infine alla
morte. (J.R.R.
Tolkien, Il Signore degli Anelli, ed.
it. Milano, Rusconi, 1997, p.
1032)
I Nazgûl hanno diffuso l’ombra del trapasso,
offuscando la mente dei soldati coinvolti nella battaglia, risucchiandoli in
una dimensione spettrale e in una fredda morte senza requie. Per questo
contagio che proviene dalle tenebre di Mordor non esiste guarigione, se non nel
miraggio di strofe ormai obliate, poco più che leggende di un passato al
crepuscolo.
Allora una vecchia, Ioreth, la più anziana delle
donne che servivano in quella casa, guardando il bel viso di Faramir si mise a
piangere, perché tutti lo amavano. Ed ella disse: «Ahimè, se dovesse morire! Se
almeno Gondor avesse dei re come quelli che pare regnassero in passato! Perché
le antiche saghe dicono: Le mani del re
sono mani di guaritore. E in tal modo si poteva sempre riconoscere il vero
re». (Op. cit., p. 1033)
Un’anziana servitrice, memore delle saghe più
antiche, rimpiange i re delle ere trascorse, la cui sovranità veniva confermata
dalla capacità taumaturgica. Il re è un guaritore, in grado di curare ferite
profonde e di riportare alla salute colui che è corrotto dal male. Perché i
sudditi riconoscano il ritorno del re, egli deve concedere loro un segno,
quello delle sue capacità taumaturgiche. Il suo ritorno appare come un pallido
sogno per gli abitanti delle Case, eppure Aragorn rimane l’unica speranza di
salvezza per il suo popolo. Egli è Envinyatar,
il Rinnovatore, e il suo arrivo è cantato da versi arcani:
Quando
qui soffierà l’alito nero
E
dell’ombra mortal verrà l’impero
E svanirà
la luce e il sereno,
Allora
athelas imploreremo!
Vita ad
ogni morente
In mano
al re sapiente! (Op. cit., p. 1038)
La profezia del ritorno del re si basa sulle sue
capacità risanatrici e sulla conoscenza di erbe medicamentose, soprattutto di athelas, “foglia di re”, in apparenza
priva di particolari virtù, ignorata anche dagli speziali di Gondor, ma che,
nella mani del sovrano guaritore si rivela colma di potere medicinale, in grado
di scacciare via le ombre e il veleno dei Nazgûl. Così Aragorn si reca nelle
Case di Guarigione da Faramir, infettato dall’alito oscuro del Nemico, e lo
salva dalle tenebre e dalla morte.
«Mio sire, mi hai chiamato. Sono venuto. Cosa
comanda il re?».
«Non camminare più nelle ombre, svegliati!», disse
Aragorn. «Sei molto stanco. Riposa adesso, e prendi del cibo, e sii pronto
quando tornerò».
«Lo sarò, mio signore», disse Faramir. «Chi
potrebbe rimanere ozioso, ora che il re è tornato?». (Op. cit., p. 1039)
La taumaturgia di Aragorn si configura come
agnizione del re. Il sovrano atteso si manifesta mediante il potere salvifico
intimamente connesso alla sua regalità. Aragorn, che, tramite il Palantír, si
era mostrato a Sauron con la spada (simbolo del suo ruolo guerriero), al suo
popolo si mostra come risanatore, garante dell’equilibrio e portatore di nuova
vita, una vita rinnovata come il regno ch’egli restaurerà.
E presto si sparse la voce che il re era davvero
tornato fra loro, e che dopo la guerra portava la guarigione: la notizia corse
per tutta la Città. (Op. cit., p. 1039)
Successivamente Aragorn provvede a curare Éowyn e
Merry, destandoli dall’ombra e conducendoli fuori dal mondo degli Spettri
secondo un modello terapeutico che ricorda quello degli sciamani. Il potere del
re di Gondor annulla quello del re di Angmar e del suo Oscuro Padrone. Il re è
davvero tornato, la città respira ancora e la speranza torna a risplendere:
[...] e quando egli ebbe infine pranzato, degli
uomini si fecero avanti, pregandolo di sanare i loro parenti o amici la cui
vita era messa in pericolo da ferite o malattie o che giacevano sotto l’Ombra
Nera. Ed Aragorn si alzò e uscì e, mandati a chiamare i figli di Elrond, lavorò
insieme con loro sino a notte inoltrata. E la voce si sparse nella Città: « Il
re è davvero tornato».
(Op. cit., p. 1045)
Come si è detto, l’arte taumaturgica del re è una sua
caratteristica particolare. Se ne era avuta anticipazione quando ancora egli
era un ramingo esiliato noto col nome di Grampasso, allorché Frodo viene pugnalato sulla cima di Colle Vento dal
Capo dei Nazgûl. Una ferita profonda prodotta da una lama avvelenata, su cui
opereranno come guaritori anche Gandalf e Elrond, ma che segnerà l’Hobbit per
il resto del suo viaggio, fino a quando salperà con l’ultima nave dai Rifugi
Oscuri.
«Che
cosa cercavano i Cavalieri? »
«Tentavano
di far penetrare nel tuo cuore un pugnale Morgul che rimane nella ferita. Se vi
fossero riusciti, saresti diventato come loro, ma più debole e sottomesso alla
loro autorità. Saresti diventato uno spettro al servizio dell’Oscuro Signore,
ed egli ti avrebbe torturato per aver ardito di tenere il suo Anello; ma il
tormento più terribile sarebbe stata la privazione dell’Anello, ed il vederlo
al suo dito.» (Op. cit., p. 284)
Frodo viene braccato dai servitori di Sauron in
quanto portatore dell’Anello del Potere, poiché essi miravano a impadronirsi
dell’Unico, alla cui malia sono legati per sempre. Per avvicinare e catturare
il nuovo custode dell’Anello, i Nazgûl scelgono di agire secondo l’unica
modalità loro pertinente: la contaminazione e l’assorbimento nell’ombra. Questo
è l’espediente per asservire Frodo e riprendere l’agognato gioiello. Il
processo di assorbimento nel mondo invisibile è il primo gradino verso la
trasformazione in Spettro, in quel vuoto simulacro senza animo né sentimento,
ma gonfio soltanto della bramosia di possedere l’Anello. Questo è il fine e il
mezzo dell’azione dei Nazgûl, dal momento che viene adoperato quasi come una
lente attraverso cui trovare la preda e colpirla. L’Anello isola Frodo, lo
avvinghia nell’oscurità e lo scaglia tra le braccia di una non-esistenza nel
mondo spettrale del male. Il potere di rendersi invisibili nel mondo reale si
tramuta in una piena visibilità nel mondo dei Nazgûl. Grazie ad esso il Nemico
vede l’Hobbit e ne percepisce la presenza, lo avvicina e può gettarsi contro di
lui con una forza malefica e contaminatrice, una forza che Grampasso riconosce
con riluttanza e teme nel suo cuore:
«Ahimè»,
esclamò. «È stato questo maledetto pugnale a provocare la ferita. Pochi sono
quelli il cui potere di guarigione può combattere armi sì malefiche. Ma farò
ciò che posso».
Si
sedette per terra e posò l’elsa del pugnale sulle sue ginocchia, cantandole una
lenta canzone in una lingua arcana. Poi la mise da parte e, voltatosi verso
Frodo, gli disse in un tono di voce soave delle parole che nessuno capiva. (Op. cit., pp. 258-259)
Per scongiurare il pericolo della contaminazione,
Grampasso si affida alle parole sconosciute di una canzone antica e a delle
erbe medicamentose. Il canto, dunque, purifica, storna il contagio della morte
e fa assopire i demoni del mondo umbratile per il potere di risanamento che la
“lingua arcana” possiede in sé. Ma non è solo né tanto la canzone a ergersi
quale strumento di guarigione del re taumaturgo ma anche la sua conoscenza
degli antichi strumenti di purificazione.
L’azione di Aragorn si esplica dunque su più
livelli: taumaturgico, salvifico, conoscitivo, politico, tutti connessi alla
sua prerogativa di sovrano legittimo e al compito specifico
attribuito a quest’ultimo: risanare un
ordine perturbato.