sabato 31 marzo 2012

I maestri del fantastico (5) Speciale Tolkien: Aragorn



Il Signore degli Anelli e il Silmarillion tra contaminazione e purificazione
di Lavinia Scolari

1. Divinità e personaggi guaritori
Il Re Taumaturgo
Tra i personaggi legati alla purificazione e al ripristino dell’ordine Aragorn riveste un ruolo decisivo. Il sovrano per eccellenza de Il Signore degli Anelli è raffigurato con i caratteri mitici del re taumaturgo, confermando l’idea che l’opposizione contaminazione-purificazione innervi l’opera tolkieniana.
Uno dei temi narrativi più importanti del Signore degli Anelli, infatti, risiede nel percorso di Aragorn da ramingo a Re Guaritore, che offre dei parallelismi con la figura epico-letteraria di Re Artù (cfr. MORGANTI A., Un giorno un Re verrà..., in Aa. Vv., “Albero” di Tolkien. Come Il Signore degli Anelli ha segnato la cultura del nostro tempo, op. cit., pp. 165 e sgg.).
A tal proposito, non va trascurata l’eredità della mitologia nordica per la rappresentazione della figura sacra del Re, subordinata solo alla potenza degli dèi: «Secondo l’antica tradizione dei Germani, il re era una figura sacra, direttamente partecipe della natura divina e incarnante la fortuna della stirpe. Il suo compito coincideva con quello del sacerdote, al quale si chiedeva di mantenere attraverso la sua persona un contatto con le potenze celesti per garantire la prosperità e la vittoria. Al re era chiesto di concentrare le energie vegetative e vivificanti e di rifletterle sul popolo.» (CHIESA ISNARDI G., Miti Nordici, p. 445) La taumaturgia di Aragorn si applica su coloro che sono affetti da una contaminazione nociva, esiziale, legata al mondo d’ombra e alla morte.

Éowyn e Merry, dopo essersi scontrati con il Capo degli Stregoni di Angmar e aver colpito il suo corpo d’ombra, cadono nell’oscurità, contagiati dall’alito nero. Le braccia che hanno vibrato i fendenti contro il Nazgûl sono fredde e senza vita, come se la morte di cui la creatura di Mordor era portatrice si fosse riversata nelle membra entrate a più diretto contatto con la sua essenza negativa. I feriti vengono condotti alle Case di Guarigione, dimore dove trovare riparo e cura, ma il male che grava su di loro è ignoto alla conoscenza medica di Gondor. La tenebra è penetrata non solo nei loro corpi, ma anche in quelli dei guerrieri di Minas Tirith, condotta da un fetido vento proveniente dalla Terra Nera e dai suoi servi, contro cui vale poco la scienza degli Uomini:
Ma ora la loro arte e la loro scienza erano confuse e perplesse: vi erano infatti molti che soffrivano di un male insanabile, ed essi lo chiamavano l’Ombra Nera, perché proveniva dai Nazgûl. E coloro che ne erano colpiti piombavano lentamente in un delirio sempre più profondo per poi passare al silenzio, a un freddo micidiale, e infine alla morte. (J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, ed. it. Milano, Rusconi, 1997, p. 1032)
I Nazgûl hanno diffuso l’ombra del trapasso, offuscando la mente dei soldati coinvolti nella battaglia, risucchiandoli in una dimensione spettrale e in una fredda morte senza requie. Per questo contagio che proviene dalle tenebre di Mordor non esiste guarigione, se non nel miraggio di strofe ormai obliate, poco più che leggende di un passato al crepuscolo.
Allora una vecchia, Ioreth, la più anziana delle donne che servivano in quella casa, guardando il bel viso di Faramir si mise a piangere, perché tutti lo amavano. Ed ella disse: «Ahimè, se dovesse morire! Se almeno Gondor avesse dei re come quelli che pare regnassero in passato! Perché le antiche saghe dicono: Le mani del re sono mani di guaritore. E in tal modo si poteva sempre riconoscere il vero re». (Op. cit., p. 1033)
Un’anziana servitrice, memore delle saghe più antiche, rimpiange i re delle ere trascorse, la cui sovranità veniva confermata dalla capacità taumaturgica. Il re è un guaritore, in grado di curare ferite profonde e di riportare alla salute colui che è corrotto dal male. Perché i sudditi riconoscano il ritorno del re, egli deve concedere loro un segno, quello delle sue capacità taumaturgiche. Il suo ritorno appare come un pallido sogno per gli abitanti delle Case, eppure Aragorn rimane l’unica speranza di salvezza per il suo popolo. Egli è Envinyatar, il Rinnovatore, e il suo arrivo è cantato da versi arcani:
Quando qui soffierà l’alito nero
E dell’ombra mortal verrà l’impero
E svanirà la luce e il sereno,
Allora athelas imploreremo!
Vita ad ogni morente
In mano al re sapiente! (Op. cit., p. 1038)

La profezia del ritorno del re si basa sulle sue capacità risanatrici e sulla conoscenza di erbe medicamentose, soprattutto di athelas, “foglia di re”, in apparenza priva di particolari virtù, ignorata anche dagli speziali di Gondor, ma che, nella mani del sovrano guaritore si rivela colma di potere medicinale, in grado di scacciare via le ombre e il veleno dei Nazgûl. Così Aragorn si reca nelle Case di Guarigione da Faramir, infettato dall’alito oscuro del Nemico, e lo salva dalle tenebre e dalla morte.
«Mio sire, mi hai chiamato. Sono venuto. Cosa comanda il re?».
«Non camminare più nelle ombre, svegliati!», disse Aragorn. «Sei molto stanco. Riposa adesso, e prendi del cibo, e sii pronto quando tornerò».
«Lo sarò, mio signore», disse Faramir. «Chi potrebbe rimanere ozioso, ora che il re è tornato?». (Op. cit., p. 1039)
La taumaturgia di Aragorn si configura come agnizione del re. Il sovrano atteso si manifesta mediante il potere salvifico intimamente connesso alla sua regalità. Aragorn, che, tramite il Palantír, si era mostrato a Sauron con la spada (simbolo del suo ruolo guerriero), al suo popolo si mostra come risanatore, garante dell’equilibrio e portatore di nuova vita, una vita rinnovata come il regno ch’egli restaurerà.
E presto si sparse la voce che il re era davvero tornato fra loro, e che dopo la guerra portava la guarigione: la notizia corse per tutta la Città. (Op. cit., p. 1039)
Successivamente Aragorn provvede a curare Éowyn e Merry, destandoli dall’ombra e conducendoli fuori dal mondo degli Spettri secondo un modello terapeutico che ricorda quello degli sciamani. Il potere del re di Gondor annulla quello del re di Angmar e del suo Oscuro Padrone. Il re è davvero tornato, la città respira ancora e la speranza torna a risplendere:
[...] e quando egli ebbe infine pranzato, degli uomini si fecero avanti, pregandolo di sanare i loro parenti o amici la cui vita era messa in pericolo da ferite o malattie o che giacevano sotto l’Ombra Nera. Ed Aragorn si alzò e uscì e, mandati a chiamare i figli di Elrond, lavorò insieme con loro sino a notte inoltrata. E la voce si sparse nella Città: « Il re è davvero tornato». (Op. cit., p. 1045)
Come si è detto, l’arte taumaturgica del re è una sua caratteristica particolare. Se ne era avuta anticipazione quando ancora egli era un ramingo esiliato noto col nome di Grampasso,  allorché Frodo viene pugnalato sulla cima di Colle Vento dal Capo dei Nazgûl. Una ferita profonda prodotta da una lama avvelenata, su cui opereranno come guaritori anche Gandalf e Elrond, ma che segnerà l’Hobbit per il resto del suo viaggio, fino a quando salperà con l’ultima nave dai Rifugi Oscuri.
«Che cosa cercavano i Cavalieri? »
«Tentavano di far penetrare nel tuo cuore un pugnale Morgul che rimane nella ferita. Se vi fossero riusciti, saresti diventato come loro, ma più debole e sottomesso alla loro autorità. Saresti diventato uno spettro al servizio dell’Oscuro Signore, ed egli ti avrebbe torturato per aver ardito di tenere il suo Anello; ma il tormento più terribile sarebbe stata la privazione dell’Anello, ed il vederlo al suo dito.» (Op. cit., p. 284)
Frodo viene braccato dai servitori di Sauron in quanto portatore dell’Anello del Potere, poiché essi miravano a impadronirsi dell’Unico, alla cui malia sono legati per sempre. Per avvicinare e catturare il nuovo custode dell’Anello, i Nazgûl scelgono di agire secondo l’unica modalità loro pertinente: la contaminazione e l’assorbimento nell’ombra. Questo è l’espediente per asservire Frodo e riprendere l’agognato gioiello. Il processo di assorbimento nel mondo invisibile è il primo gradino verso la trasformazione in Spettro, in quel vuoto simulacro senza animo né sentimento, ma gonfio soltanto della bramosia di possedere l’Anello. Questo è il fine e il mezzo dell’azione dei Nazgûl, dal momento che viene adoperato quasi come una lente attraverso cui trovare la preda e colpirla. L’Anello isola Frodo, lo avvinghia nell’oscurità e lo scaglia tra le braccia di una non-esistenza nel mondo spettrale del male. Il potere di rendersi invisibili nel mondo reale si tramuta in una piena visibilità nel mondo dei Nazgûl. Grazie ad esso il Nemico vede l’Hobbit e ne percepisce la presenza, lo avvicina e può gettarsi contro di lui con una forza malefica e contaminatrice, una forza che Grampasso riconosce con riluttanza e teme nel suo cuore:
«Ahimè», esclamò. «È stato questo maledetto pugnale a provocare la ferita. Pochi sono quelli il cui potere di guarigione può combattere armi sì malefiche. Ma farò ciò che posso».
Si sedette per terra e posò l’elsa del pugnale sulle sue ginocchia, cantandole una lenta canzone in una lingua arcana. Poi la mise da parte e, voltatosi verso Frodo, gli disse in un tono di voce soave delle parole che nessuno capiva. (Op. cit., pp. 258-259)
Per scongiurare il pericolo della contaminazione, Grampasso si affida alle parole sconosciute di una canzone antica e a delle erbe medicamentose. Il canto, dunque, purifica, storna il contagio della morte e fa assopire i demoni del mondo umbratile per il potere di risanamento che la “lingua arcana” possiede in sé. Ma non è solo né tanto la canzone a ergersi quale strumento di guarigione del re taumaturgo ma anche la sua conoscenza degli antichi strumenti di purificazione. 
L’azione di Aragorn si esplica dunque su più livelli: taumaturgico, salvifico, conoscitivo, politico, tutti connessi alla sua prerogativa di sovrano legittimo e al compito specifico attribuito a quest’ultimo: risanare  un ordine perturbato.


venerdì 30 marzo 2012

Il tempio degli otaku: cinquantasettesimo appuntamento "Capitain Tsubasa"



A cura di Surymae Rossweisse


Salve a tutti, e benvenuti ad un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Durante le scorse settimane ci siamo concentrati su opere mai arrivate in Italia, o poco conosciute. In questa e la prossima settimana, però, il trend cambierà.
Oggi parliamo di una serie che sono sicura che tutti i nati tra gli anni '80 e '90 hanno visto, e sicuramente ricordano tutt'ora. Le ragioni? Sicuramente le numerose repliche di Mamma Mediaset hanno giovato, ma voglio credere che sia più che altro per l'argomento a cui noi italiani teniamo tantissimo e per i plateali ed esilaranti errori di fisica e di logica di cui era disseminata. Una band demenziale, i Gem Boy, le hanno pure dedicato una canzone: e come dargli torto? E siccome i migliori killer tornano sul luogo del delitto, noi andiamo dove è iniziato il fenomeno: dal manga. Fate un caloroso benvenuto a “Capitan Tsubasa” - meglio noto come “Holly e Benji” - di Yoichi Takahashi!

NB: Come in tante serie contemporanee, Mamma Mediaset ha storpiato tutti i nomi dei protagonisti; io, però, userò quelli originali – scelta condivisa anche dall'editore italiano, la Star Comics.

Tsubasa Ozoora si trasferisce in una piccola cittadina insieme alla madre. Per via dei ripetuti traslochi – il padre è capitano di una nave – non ha mai potuto farsi degli amici fissi, eccetto uno: il pallone.
Il nostro capita piuttosto bene, perché la nuova città ha ben due squadre di calcio. La migliore è la Shutetsu, che ha tra le sue file un portiere molto talentuoso, Genzo Wakabayashi. L'altra è la Nankatsu, che lontana dall'eccellenza della prima viene sempre battuta impietosamente.
Tsubasa è un bambino che adora le sfide; forse anche troppo. Già il primo giorno, infatti, gli viene la brillante idea di provocare lo spocchioso Genzo, facendogli sapere che ha tutte le intenzioni di segnare alla sua porta. Dopodiché si iscrive alla Nankatsu, dove con l'aiuto del suo coach personale Roberto Hongo cercherà di inculcare agli altri giocatori qualche nozione di calcio.
Siccome l'anime l'abbiamo visto tutti, non la tirerò molto lunga. Dopo una lunghissima partita, Tsubasa raggiunge gli obiettivi che si era prefissato: condurre la sua squadra alla vittoria e sopratutto vincere contro Wakabayashi.  Ma questo è solo l'inizio del suo cammino...
 
La mole – 37 volumi – potrebbe ingannare, ma non è così: “Capitan Tsubasa” non è un'opera ambiziosa, e nemmeno complessa. La trama è talmente labile che Yoichi Takahashi avrebbe potuto interromperla in qualsiasi momento senza fare danni, e priva di qualsivoglia suspense.
La strada di Tsubasa è in discesa, ed il lettore più smaliziato lo sa benissimo. E' vero che la Nankatsu vince con grande fatica, superando grandi difficoltà e spesso arrivando ai tempi supplementari, ma è chiaro che alla fine la spunterà: tant'è vero che a parte qualche pareggio sparuto perderà soltanto una volta. Gli opponenti sono l'uno più forti – ed irrealistici – degli altri, ma mai quanto il nostro eroe, che risponderà tono su tono agli attacchi fino alla prevedibile fine.
Potremmo quasi dire che Tsubasa è un deus ex machina vivente. Nel manga si parla tanto dell'importanza dello spirito di squadra, ma in realtà i giocatori decisivi sono sempre gli stessi, al massimo due o tre per team. Ci sono alcuni personaggi in grado di muoversi in relativa autonomia, come ad esempio il sopraccitato Genzo, ma alla fine chi fa le azioni decisive è sempre il nostro protagonista, a tal punto che le rare volte che si infortuna la sua squadra non sa come fare. Il bello è che hanno il coraggio di fare la lezioncina al cattivo di turno sull'importanza dell'amicizia ed il giocare insieme...
 Anche parlando dei personaggi è evidente già sin dal titolo chi fa la parte da leone. Sento un coro chiedermi: e Genzo? Ecco, come dire... è stata Mamma Mediaset a promuoverlo a co-protagonista, ma nell'originale è “solo” un personaggio primario come tanti: anzi, sono più le partite che non riesce a giocare perché infortunato che quelle che svolge.
In generale, comunque, nel manga l'introspezione psicologica è altalenante. Alcuni personaggi hanno un carattere decisamente tridimensionale: si capisce le loro ragioni e crescono man mano che la storia va avanti. E' quasi scontato citare, in quest'occasione, Kojiro Hyuga, o Mark Lenders se preferite, le cui cause per il comportamento antisportivo sono indagate con cura. Oppure il portiere della squadra di quest'ultimo, Ken Wakashimazu, che ha delle pressioni in famiglia affinché lasci il calcio. Questa caratterizzazione è sorprendente per un lavoro di debutto, tanto più così privo di pretese.
Altri personaggi, però, non se la cavano così a buon mercato, e purtroppo nell'elenco ci sono anche Tsubasa ed il suo caro amico Taro Misaki (Tom Becker). Va bene avere il carattere semplice, ma c'è un limite a tutto: andateglielo a spiegare, però. Passano gli anni: affinano la tecnica ma continuano a pensare sempre le stesse cose – non molte a dire il vero. E per un protagonista è grave, perché il rischio di creare un Gary Stu è davvero alto; e purtroppo Takahashi non riesce ad evitarlo.
Insomma, “Capitan Tsubasa” non è un'opera priva di pecche. I dialoghi, oltre ad essere sparuti, a volte sono così stupidi da essere divertenti, ed i personaggi per essere bambini hanno dei concetti morali decisamente alti. Le pecche in medicina e fisica sono troppo numerose e radicate per essere elencate, anche se hanno contribuito a formare la leggenda. Chi non si è mai chiesto, almeno una volta, quanto caspita fosse lungo quel campo di calcio? Su Internet si trova anche una dimostrazione  con tutti i crismi, se siete ancora interessati al dilemma.
Non dobbiamo avere il dente avvelenato, però, cerchiamo di guardare al lato positivo delle cose. Se “Capitan Tsubasa” mantenesse quei personaggi caramellosi ma non le idiozie scientifiche ed i dialoghi scheletrici, come sarebbe? Ve lo dico io: una noia mortale, soprattutto per chi (come me) non sopporta il calcio. Meglio invece goderci quello che abbiamo, ossia un'opera semplice con cui si può passare un ottimo quarto d'ora divertendosi.

Il tratto di Yoichi Takahashi è semplicissimo, molto anni '80. Le proporzioni sono un po' sballate – ma che razza di muscoli hanno quei ragazzini? - i retini non danno sfumature ma soltanto il senso della corsa, i personaggi hanno capigliature impossibili ed hanno fisionomie molto simili, infatti si rischia di confondere qualcuno. Però è uno stile personale e fa il suo effetto, legandosi alla storia e rendendola facile da leggere. Insomma, riassume in sé le caratteristiche dell'opera...

...E' per oggi è tutto, cari amici. Arrivederci alla prossima puntata, con “Il tempio degli Otaku”!








Anteprima: Lo specchio delle fate di Jenna Black

Dana Hathaway è una fae, ma non pensate che essere una sorta di fatina voglia dire non avere problemi: una madre alcolizzata, una vita irregolare e un padre lontano e sconosciuto sono solo tre esempi di ciò che è costretta a subire tutti i giorni. Motivo per cui Dana fa le valigie e se ne va. Precisamente ad Avalon, dove vive il genitore, "pezzo grosso" della città del mondo fatato di Faerie, e dove la magia e la tecnologia convivono in pace. Se però pensava di trovare fine ai suoi problemi si è sbagliata di grosso... sembra infatti che tutti vogliano qualcosa da lei. E così, coinvolta in oscuri giochi di potere, capirà che la sua vita non sarà mai normale...
In uscita dal 12 aprile  per Newton Compton allo storico prezzo di 9.90 euro, Lo specchio delle fate di Jenna Black è il primo libro della trilogia young adult paranormal Faeriewalker (di cui i seguiti, già usciti in America, sono Shadowspell e Sirensong), che ha ottenuto un di grande successo in patria (4 stelline su Goodreads). L'autrice ha all'attivo numerosi altri libri, suddivisi nelle saghe urban fantasy Morgan Kingsley e Nikki Glass, e in quella paranormal romace Guardians of the night.
Lo specchio delle fate sembra abbastanza carino e mi auguro che l'autrice approfondisca la complessità delle trame politiche - anche se il numero esiguo delle pagine, solo 288, non mi fa sperare in tal senso. Probabilmente, però, lo spessore non troppo grosso del libro è giustificato da un ritmo veloce e da uno stile semplice: è facile accorgersene leggendo il prologo, leggero e che invoglia alla lettura.
Insomma, ditemi che ne pensate!


Lo specchio delle fate - Jenna Black
Dana Hathaway non lo sa ancora, ma sta per cacciarsi davvero nei guai. Quando sua madre si presenta al saggio di fine anno ubriaca, la ragazza capisce di averne abbastanza: è giunto il momento di prendere un volo che dagli Stati Uniti la porterà fino alla lontana Inghilterra. È diretta verso la mitica città di Avalon, l’unico posto sulla terra in cui il mondo umano e quello delle fate entrano in contatto e dove vive il suo misterioso padre. Ad Avalon però, il viaggio comincia ad andare storto e Dana si trova invischiata in un gioco molto pericoloso: qualcuno sta cercando senza dubbio di farle del male. Ma soprattutto, sembra che tutti vogliano qualcosa da lei: sua zia Grace, Ethan, un affascinante ragazzo dotato di straordinari poteri, e Kimber, sua sorella. Ma cosa, esattamente? Persino suo padre pare intenzionato a tenerla all’oscuro di tutto quello che le sta accadendo… Intrappolata tra due mondi, coinvolta in oscure trame di potere, la ragazza non sa più di chi può fidarsi, ma ha capito bene che la sua vita non potrà più tornare quella di una volta. 


«Il viaggio ammaliante di Jenna Black nella terra di Avalon è una combinazione di esseri misteriosi, buoni amici, pericoli mortali; un libro magico da cui non puoi staccarti fino all’ultima pagina.» 
Carrie Jones, autrice di Need. L’amore che vorrei

«Jenna Black gestisce con destrezza una miscela di generi e culture, dando a Dana una credibilità che invita i lettori a fare il tifo per lei… Lo specchio delle fate è un inizio molto promettente.»
Booklist

«Jenna Black mischia sapientemente elementi del fantasy e dell’urban fantasy, e la forza e la determinazione di Dana la rendono un’eroina di prim’ordine. Una scelta sicura per gli appassionati delle fiabe contemporanee.»
Publishers Weekly 





Jenna Black
è laureata alla Duke University in Antropologia. Vive a Pittsboro, nel North Carolina, dove scrive a tempo pieno romanzi di genere paranormale e urban fantasy. Lo specchio delle fate è il primo capitolo di una trilogia. Il suo sito è jennablack.com.

giovedì 29 marzo 2012

Interview with... Eloy Moreno

Grazie alla sua gentile disponibilità abbiamo avuto la possibilità di ospitare sul blog l'autore di El biografo de gel verde:  Eloy Moreno, che ha ottenuto un grandissimo successo in Spagna grazie al passaparola di editori e librai, ed è approdato in Italia edito dalla casa editrice Corbaccio. Il suo Ricomincio da te -questo il titolo italiano- è stato recensito positivamente dalla nostra Surymae Rossweisse, che si è occupata anche dell'intervista qui di seguito, mentre la traduzione è a cura di Sakura87.

Interview with...

Eloy Moreno



Ciao, benvenuto su “Dusty Pages in Wonderland”! Che ne dici di presentarti ai nostri lettori?

Ciao, mi chiamo Moreno Eloy e io sono dalla Spagna. Ho pubblicato il mio primo romanzo nel 2011 ed è stato tradotto in italiano. Nel mio sito spiego tutta la storia che ha preceduto la pubblicazione del romanzo.

Da quale spunto è cominciato “Ricomincio da te”? Quali sono state le difficoltà principali durante la stesura del romanzo?

La novela habla sobre las rutinas de cada día. Es la historia de un hombre que quiere escapar de ellas, y sobre todo, de un hombre que quiere cambiar su vida.
Estuve dos años y medio escribiendo la novela y quizás la parte más difícil fue la corrección de la misma, pues lees una y otra vez lo que has escrito.


Il romanzo narra la routine di ogni giorno. E’ la storia di un uomo che vuole fuggirne, e soprattutto di un uomo che vuole cambiare la sua vita. Ho impiegato due anni e mezzo a scrivere il romanzo, e forse la parte più difficile è stata la correzione, perché devi rileggere più volte ciò che hai scritto.

Originariamente hai pubblicato autonomamente il romanzo. Come mai hai preso questa decisione? Ti aspettaviun tale successo di pubblico e di critica?

Cuando terminé de escribir la novela, decidí no enviarla a ninguna editorial, pues pensé que nadie la iba a leer, que seguramente se quedaría en un cajón. Así que me decidí a publicarla yo mismo.
La verdad es que no me esperaba este éxito. La novela está funcionando gracias a las recomendaciones de los lectores, que al final es lo más importante.


Quando ho finito di scrivere il romanzo ho deciso di non inviarlo a nessuna casa editrice, perché pensavo che nessuno lo avrebbe letto, che sicuramente sarebbe rimasto in un cassetto. Per cui ho deciso di autopubblicarlo. La verità è che non mi aspettavo questo successo. Il romanzo sta funzionando grazie alle raccomandazioni del lettori, che alla fine è la cosa più importante.

Il protagonista è realistico ed esprime preoccupazioni e desideri molto comuni. Quanto c'è di Eloy Moreno e nella sua vita in “Ricomincio da te”?

Siempre dicen que hay algo que del autor en sus novelas. En este caso la historia no es autobiográfica, porque el personaje y yo no nos parecemos en nada. Quizás lo que sí es mío son los lugares por los que transcurre la novela, pues sí que los conozco y he estado en ellos.

Dicono che c’è sempre qualcosa dell’autore nei suoi romanzi. In questo caso la storia non è autobiografica, perché io e il personaggio non siamo affatto simili. Forse di personale ci sono i luoghi in cui si svolge il romanzo, perché li conosco e ci sono stato.

Sia in Italia che in Spagna internet è stato un componente fondamentale della campagna lancio, e rispondi puntualmente alle email ricevute. Qual è il tuo rapporto con le nuove tecnologie? Come vedi il crescente affermarsi degli ebook?

Para mí, Internet, especialmente las redes sociales han sido indispensables. Sin ellas mi novela no hubiese llegado a Italia, pues han sido los lectores los que han conseguido que la novela crezca gracias a sus recomendaciones, principalmente en Facebook. Yo siempre trato de responder todos los correos electrónicos de los lectores, creo que es algo muy bonito. Internet hace que sea más fácil mantener el contacto directo con el lector. En cuanto al libro electrónico, creo que cada vez hay más y más usuarios, pero los editores deben adaptar su modelo de negocio. Un libro electrónico no debería costar más de 3 o 4 euros


Internet, specialmente i social network, mi è stato indispensabile. Senza, il mio romanzo non sarebbe giunto in Italia, perché sono stati i lettori a far sì che il romanzo crescesse grazie al loro passaparola, principalmente su Facebook. Cerco sempre di rispondere a tutte le e-mail dei lettori, credo che sia giusto. Internet fa sì che sia più facile mantenere il contatto diretto con il lettore. Quanto agli ebook, credo che il numero di utenti continui a crescere, ma gli editori devono adattarsi alla linea di mercato. Un ebook non dovrebbe costare più di tre o quattro euro.


Quali sono le tue principali influenze letterarie?

No hay ningún escritor que me haya influido especialmente, me encanta leer, y me encanta leer todo tipo de literatura. Lo mejor, cualquier recomendación de una amigo. 

Nessuno scrittore mi ha influenzato in particolare, adoro leggere, e adoro leggere qualsiasi tipo di letteratura. Meglio se dietro consiglio di un amico.

Molti autori hanno determinate abitudini riguardanti lo scrivere. Tu nei hai qualcuna?

No, la verdad es que no tengo ninguna. Yo escribía por la noche, dos o tres horas todos los días. La novela costó escribirla dos años y medio.

No, in realtà non ne ho. Scrivevo di notte, due o tre ore al giorno. Ho impiegato due anni e mezzo a scrivere il romanzo.

Dopo il grande successo di “Ricomincio da te”, quali piani hai per il futuro?

Ya he empezado a escribir la siguiente novela, pero voy a ir poco a poco. 

Ho già iniziato a scrivere il mio secondo romanzo, ma procedo a rilento.

Grazie mille per essere stato ospite su “Dusty Pages in Wonderland”... e buon lavoro!


Muchas gracias por vuestra oportunidad.


Grazie mille a voi per l‘opportunità.

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