martedì 27 novembre 2012

Recensione: Venivamo tutte per mare di Julie Otsuka

Venivamo tutte per mare - Julie Otsuka 
Una voce forte, corale e ipnotica racconta dunque la vita straordinaria di queste donne, partite dal Giappone per andare in sposa agli immigrati giapponesi in America, a cominciare da quel primo, arduo viaggio collettivo attraverso l’oceano. È su quella nave affollata che le giovani, ignare e piene di speranza, si scambiano le fotografie dei mariti sconosciuti, immaginano insieme il futuro incerto in una terra straniera. A quei giorni pieni di trepidazione, seguirà l’arrivo a San Francisco, la prima notte di nozze, il lavoro sfibrante, la lotta per imparare una nuova lingua e capire una nuova cultura, l’esperienza del parto e della maternità, il devastante arrivo della guerra, con l’attacco di Pearl Harbour e la decisione di Franklin D. Roosevelt di considerare i cittadini americani di origine giapponese come potenziali nemici. Fin dalle prime righe, la voce collettiva inventata dall’autrice attira il lettore dentro un vortice di storie fatte di speranza, rimpianto, nostalgia, paura, dolore, fatica, orrore, incertezza, senza mai dargli tregua. Un altro scrittore avrebbe impiegato centinaia di pagine per raccontare le peripezie di un intero popolo di immigrati, avrebbe sprecato torrenti di parole per dire cos’è il razzismo. Julie Otsuka ci riesce con queste essenziali, preziose pagine.





Voto:  

Un fatto poco noto della storia del Novecento riguarda le cosiddette “mogli in fotografia”. Poco prima della Seconda Guerra Mondiale, infatti, giovani donne giapponesi venivano cedute in matrimonio a uomini oltreoceano. L'unico modo che avevano gli sposi per conoscersi era, appunto, vedersi in fotografia. Dopo l'attacco di Pearl Harbour, per ovvi motivi, il governo americano ha deciso di nascondere il fatto e soprattutto i mezzosangue nati da questa unione; anche con la violenza, fomentando l'opinione pubblica contro gli immigrati e portandoli via dalle loro città con la forza. 

Una storia poco conosciuta, ma che ha colpito la scrittrice Julie Otsuka: dopo numerose letture ha perciò deciso di affrontare l'argomento. Il risultato è “Venivamo tutte per mare”, edito in Italia da Bollati Boringhieri.
Questa sarà diversa dalle recensioni che in genere scrivo, in cui prima si parte dalla trama, poi si procede con le varie considerazioni su personaggi, scrittura, varie ed eventuali. Il motivo è che questo romanzo non ha una vera e propria trama, e nemmeno dei veri e propri personaggi. 

La modalità narrativa, infatti, è quella di una prima persona plurale che racconta le varie peripezie delle mogli giapponesi: i preparativi per la partenza, il viaggio in mare, la prima notte di nozze, la maternità, il lavoro, ed infine il clima di terrore psicologico instillato durante la guerra. 

Potremmo perciò parlare di piccoli monologhi, in cui però non si affaccia sulla scena un personaggio, ma una moltitudine indefinita. Potremmo paragonarlo ad un coro: le voci si fondono tra loro creando una sola grande voce, anche se ascoltando con attenzione si possono udire gli sforzi dei singoli. Alle volte ci sono anche dei piccoli assoli solisti: si ha quasi l'impressione di riconoscere chi sta parlando. 

L'unica controindicazione è quella di dover seguire con particolare attenzione la lettura, perché quasi sempre le diverse frasi si contraddicono tra loro. Lo stile di Julie Otsuka, però, facilita le cose, perché è molto secco e schematico. Le frasi sono brevi, dal linguaggio semplice: ciò garantisce la delicatezza nei momenti più toccanti (quasi a voler far calare il sipario in situazioni più emozionali ed intime) ma anche la crudezza delle parti più drammatiche.

Potete capire come parlare di introspezione psicologica in questo contesto sia praticamente impossibile. Non del tutto, però, perché “Venivamo per mare” ha un'unica, grande protagonista: la moltitudine. Viene espresso bene, tra le righe dei periodi scarni, il sentire comuni delle spose: la speranza di una vita migliore in quel grande paese sconosciuto (e perciò non deludere le aspettative della famiglia, che tanto ha sofferto per poter dar loro quella possibilità), la repentina disillusione nel trovare un ambiente ostile e faticoso, fuori e dentro dalle mura domestiche, lo sconcerto di fronte alla maternità ed infine l'inquietudine nell'essere riconosciute il nemico dell'America, loro che non si sono mai tirate indietro quando dovevano lavorare per la loro nuova patria. 

Lo stesso discorso viene applicato all'ultimo capitolo, dove la folla che narra è quella americana che assiste impotente alla sparizione dei giapponesi, cui segue l'amara constatazione che forse quelle donne così silenziose e ligie al dovere erano una parte importante, se non fondamentale, della nazione. 

Naturalmente, però, le storie e le personalità delle donne non sono tutte uguali, e Julie Otsuka se ne rende conto. Sono tante le differenze delle voci soliste. Le ragioni per la partenza: alcune hanno un passato che preferiscono dimenticare, altre sono povere e non hanno altre speranze per il futuro. La vita nel nuovo paese, con i loro mariti in fotografia: c'è chi, pur provando una comprensibile nostalgia, troverà un modo di adattarsi alla nuova vita, ed eventualmente a trovare l'amore, e c'è chi non ci riuscirà, per circostanze esterne o per mancanza di volontà. La propaganda razzista: chi si abbandona alla paura e al sospetto senza remore, e chi invece cerca – invano – di mantenere una parvenza di controllo sulla situazione.

Nel corso del romanzo sempre più spazio viene dato alla famiglia, in particolare a quei figli mezzosangue che si ritrovano divisi tra due culture, ed assisteremo alla scissione di chi non riuscirà mai ad integrarsi in quel paese in cui tuttavia è nato e chi invece abbraccerà con fin troppo entusiasmo i nuovi valori americani, entrando così in rottura con le madri tradizionaliste.

“Venivamo tutte per mare” non scalerà mai le classifiche di vendita, non diventerà mai un film campione di incassi. Tuttavia, quanto a qualità, non ha niente da invidiare a titoli più blasonati, anzi riuscirà a lasciare il segno nel lettore per il suo tema poco noto e l'originale modalità narrativa. Nelle sue particolarità, un romanzo degno di essere letto ed interiorizzato.

1 commento:

  1. Mi aveva colpito questo romanzo appena era uscito. Mi piace leggere libri di questo genere perché permette di scoprire pezzi di storia che difficilmente si conoscerebbero. Veramente una bella recensione, spero di procurarmelo presto per poterlo leggere :)

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