Salve a tutti, e benvenuti ad
un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Come la scorsa volta, si parla di nuovo di anime, di nuovo di anime recenti e di nuovo di anime che è molto,
molto, molto improbabile che vengano licenziati in Italia. In nessuno dei due
casi non si discute sulla loro elevata qualità, ma sullo scarso appeal di
pubblico. La serie di questa settimana, ad esempio, oltre ad essere uno slice
of life – uno dei generi che ha meno mercato in assoluto, a giudicare da quante
poche opere vengano considerate per l'esportazione – verte pure sul jazz, non
esattamente la musica del momento. E a nulla varrà la seconda collaborazione
del regista Shinichiro Watanabe con l'acclamata compositrice Yoko Kanno, ad
anni di distanza da quel piccolo capolavoro di nicchia di “Cowboy Bebop”. Ma è
inutile piangere sul piatto versato, e lamentarsi: piuttosto, concentriamoci su
“Sakamichi no Apollon – Kids on the
Slope”. Buona lettura (e visione)!
La storia comincia nel 1966. Kaoru non ha mai avuto troppa fortuna nel
farsi degli amici. Isolato per la sua
intelligenza e serietà negli studi, nel corso degli anni ha più volte
cambiato scuola. Il primo giorno nel suo nuovo liceo comincia nel peggiore dei
modi - nonostante le premure della capoclasse Ritsuko – con un attacco d'ansia,
che il nostro riesce a placare soltanto prendendo una boccata d'aria dal tetto
degli edifici. Peccato che il tetto sia già occupato da Sentaro, un ragazzo che
ha la fama di essere un vero teppista.
Le differenze tra i due sono
evidenti, eppure vanno subito d'accordo, tanto più quando scoprono di avere una
passione in comune: la musica.
Sentaro suona jazz, ed ormai la sua casa è il negozio di dischi del padre di
Ritsuko, di cui è grande amico. Kaoru invece propende più per la classica, ma
si farà conquistare presto da quegli strani ritmi provenienti da oltre
oceano... e dalla ragazza. Tutti felici e contenti, quindi? Non proprio...
“Sakamichi no Apollon” non è certo un'opera rivoluzionaria, ed
anzi aderisce a parecchi stilemi del suo genere di appartenenza. Tanto per fare
un esempio, sono presenti alcuni episodi tipici come il festival della scuola –
con il grande classico della competizione tra club - la gita al mare durante le
vacanze estive, le altre festività comandate, ecc. Anche i personaggi non ne
sono immuni: il protagonista con problemi di socializzazione, che appare spesso
in queste produzioni recenti (vero, “AnoHana”? Vero, “Un marzo da leoni”? E
l'elenco potrebbe ancora andare avanti...), il ragazzo che sembra un teppista
ma nasconde un cuore d'oro, la signorina posata e via di seguito. Tuttavia, la
cosa non è così evidente da diventare un difetto, perché non inficia affatto la
godibilità della visione. Anzi: le puntate sono sempre scorrevoli e dal ritmo
leggero, e la durata dell'opera è assolutamente proporzionata alla storia.
Quello che rende questa serie
diversa dalle concorrenti è, manco a dirlo, la musica jazz. Data l'ambientazione, sarebbe stato scontato, e
facile, scegliere il neonato rock come perno della trama, ma invece si è optati
per una strada forse più tortuosa, ma di sicuro effetto. La musica non è la
protagonista, ma è senza dubbio un personaggio primario, perché Sentaro, Kaoru
e compagnia vivono e respirano jazz; il loro entusiasmo è contagioso – fuori e
dentro la storia. Nemmeno il rock 'n' roll – o il suo stretto parente rocku
rollu – e l'effeminato Seiji possono reggere il confronto. Non molto
credibile, forse, ma non meno entusiasmante da vedere.
Ma soprattutto, questo è quello
che avvicina due persone così distanti, ed appiana la loro diversità
caratteriale. Più di una volta i nostri faranno pace dopo un litigio con una
salvifica jam session (improvvisazione), o comunicheranno quei sentimenti che
altrimenti non riuscirebbero ad esprimere.
E' questo il collante alla loro
amicizia. Mi chiederete: e Ritsuko?
In fondo è la migliore amica di Sentaro e la ragazza che piace a Kaoru. Invece,
lei è semmai il loro più forte contrasto.
Kaoru sa bene che i sentimenti che prova non sono ricambiati, e che il suo
amico ne è la causa. E' grato a quest'ultimo per tutto quello che gli ha dato,
per avergli fatto scoprire il jazz, ma non può evitare di esserne geloso: per
la famiglia all'apparenza felice che ha, per il suo temperamento istintivo, e
soprattutto perché ha un ruolo di primo piano nella vita dell'amata, che
conosce sin dalla più tenera età. Persino Sentaro, che ha un animo più
sensibile e perspicace di quello che sembra, non capisce del tutto questa
aggressività che a volte da latente diventa palese; non può fare altro che adattarsi,
ed aspettare che il tempo e la musica guariscano le ferite.
Ritsuko è, tra i tre,
probabilmente nella posizione più difficile. Non può fare nulla per alleviare
il dolore di Kaoru, perché lei stessa è vittima di un amore non ricambiato.
Dovrebbe prendere una decisione definitiva, dovrebbe tagliare i ponti con lui – se non altro per evitare di farlo
soffrire ancora di più – ma non ne ha il coraggio. Non vuole perdere le persone
più importanti della sua vita, anche se in fondo sa che prima o poi dovrà fare
qualcosa.
Se leggete questa rubrica saprete
già di che cosa sto per parlare adesso. Esatto, dell'introspezione psicologica. E avrete già capito che in questo
“Sakamichi no Apollon” non ha problemi. Come già detto, i personaggi sono degli stereotipi, ma sono molto coerenti con le loro
posizioni predefinite, e il loro carattere copre tutto lo spettro di
possibilità che gli vengono offerte. Kaoru ne è la prova: i suoi lunghi anni di
isolamento l'hanno reso prone alla gelosia, possessivo, con uno strisciante
senso di inferiorità. L'avere personalità ben definite non significa però che
non si evolvano durante il corso della storia: ad esempio Yurika, la ragazza di
cui Sentaro è innamorato, che incontrerà una persona che le farà trovare il
coraggio di prendere in mano la sua vita.
Pur non avendo così tanto spazio,
comunque, anche i personaggi secondari
avranno il loro quarto d'ora di fama, dimostrando di essere anch'essi ben
caratterizzati. Come il sopraccitato Seiji: sarà pure frivolo, effeminato
ed ossessionato dal pensiero del rock 'n' roll, ma ha le sue buone ragioni.
Oppure il padre di Riko, una presenza su cui i personaggi possono fare sempre
affidamento, nonostante sembri scostante e diffidente.
Il comparto tecnico è molto buono, anche se si poteva fare qualcosa
di più per le animazioni, poco fluide. A parte questo, il character design è
semplice ma d'effetto, lontano dalle due principali tendenze negli anime, le
ragazze che sembrano delle bambine (moe) o al contrario personaggi allampanati,
dai lineamenti talmente affilati che potrebbero tagliare dei tonni.
La regia è, manco a dirlo,
efficiente: non è mai invadente, anche se qui e lì si possono riconoscere
i tocchi personali di Shinichiro
Watanabe. La colonna sonora è azzeccata in tutti i suoi frangenti, come del
resto tutti i lavoro di Yoko Kanno. Questo non fa eccezione, anzi...
...E per oggi è tutto, cari
amici. Arrivederci alla prossima settimana, con “Il tempio degli Otaku”!
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