lunedì 12 novembre 2012

Recensione: Il giocattolaio di Stefano Pastor e intervista all’autore


Il giocattolaio - Stefano Pastor
Non si sa molto del passato di Massimo, il bambino di 11 anni appena arrivato nel Quartiere. Accolto in casa dello zio, alcolizzato e violento, Massimo ha subito l'impressione di essere precipitato all'inferno. Ma il male, quello vero, non si annida tra le mura domestiche. C'è qualcosa, infatti, nel Quartiere; un'energia malefica che si sente sulla pelle, che s'intuisce ma non si vede tra i palazzoni abbandonati e le vie semideserte di quest'area suburbana depressa e grigia, dove diversi bambini sono recentemente spariti senza lasciare traccia. La paura del mostro scivola sulle coscienze degli adulti, arroccati nella loro irriducibile distanza rispetto al mondo dell'infanzia. Soltanto Peter, il gentile titolare di un banco di pegni zeppo soprattutto di giocattoli, sembra in grado di colmare quella distanza e di comunicare davvero con i desideri e le paure dei bambini. Quando il cadavere di uno di questi viene rinvenuto con i segni di orribili torture, i sospetti si concentrano sul giocattolaio. Massimo si rende conto che il prossimo a sparire sarà proprio lui, è la vittima perfetta, quella designata. Nessuno è in grado di aiutarlo, nessuno è in grado di impedire che si compia il suo destino. Nessun adulto, almeno. Ne "Il giocattolaio", romanzo d'esordio di Stefano Pastor, la presenza del male s'insinua nella frattura tra il mondo dei grandi e quello dei piccoli, nutrendosi dei sogni agitati dell'infanzia, per poi balzare nella realtà e diventare qualcosa di concreto, tangibile.


Editore: Fazi Editore
Pagine: 397 pagine 
Formato: rilegato 
Prezzo: € 9,90

Voto: 


A cura di Giulia Gugliotta 

Il giocattolaio di Stefano Pastor, scrittore e musicista, è una recente pubblicazione della Fazi Editore. Pastor nasce a Ventimiglia e per diversi anni si occupa del commercio di musica e film, la sua carriera da scrittore si apre con la vittoria del Premio Letterario Città di Ventimiglia con il libro Holiday. Pubblica altri romanzi di diverso genere, thtiller, fantascienza, horror, avventura e nel 2010 vince anche il Premio Le Fenici con il libro L’intervista.
La storia de Il giocattolaio ruota intorno ad un quartiere morto, pieno di palazzi abbandonati, nei quali i bambini giocano incuriositi. Massimo, appena arrivato nel quartiere, è l’unico che non riesce a giocare in quei luoghi e non riesce a non avere paura, perché lui ne ha sempre avuta. Malgrado sei bambini siano scomparsi dal quartiere, nessuno li cerca, gli adulti dicono che sono scappati perché sono ragazzi difficili.  Ritrovato il cadavere torturato di uno dei bambini, le accuse si concentrano su un inusuale abitante del quartiere, “il giocattolaio”.

La vicenda si sviluppa in nove giorni e prima dell’epilogo si protrae per qualche settimana. Questa scelta riesce a proiettare il lettore all’interno delle vite dei personaggi, facendolo vivere insieme a loro giorno dopo giorno. Ognuno viene raccontato attraverso la prospettiva di più personaggi, in modo da avere una visione completa delle vicende che accadono uno stesso giorno. Coinvolge con un ritmo incalzante e coinvolgente non soffermandosi troppo sui particolari, senza però lasciare zone d'ombra nella trama, che si rivela un thriller con un lieto fine quasi fiabesco. Adotta uno stile lineare con frasi brevi e semplici, che dà spazio ai dialoghi per dire ciò che è meno importante, la verità o i sentimenti spesso non sono espressi ad alta voce. Poco convincente il finale che non è molto realistico e lascia una sorta di disorientamento rispetto la concretezza del mondo circostante. Riesce molto bene Pastor a far appassionare alle vite di questi protagonisti bambini, tra i quali spicca  la figura del giocattolaio che non lo è più ma che ne ha mantenuto l'animo. Una persona innocua di cui poter approfittare, così lo vedono tutti quelli del quartiere, tranne Mina, una ragazzina troppo sveglia per la sua età che lo considera più di un amico e che ha capito quale sia la sua vera natura. Dopo il ritrovamento del cadavere di uno dei bambini scomparsi queste considerazioni cambiano: “il giocattolaio” sembra essere l'unico che sia giusto accusare per questo assassinio.

Il quartiere desolato dove si svolge la narrazione, anche se in via di totale abbandono è pieno di bambini che si nascondono tra i palazzi in rovina e fanno di questi posti tetri dei luoghi di gioco, come il “fortino” di Grillo e i suoi amici, in realtà una vecchia fabbrica abbandonata. Il mondo dei bambini, con i loro giochi e le loro paure, è in totale antitesi e conflitto con quello degli adulti. I primi cercano di instaurare un contatto con quei grandi tanto diversi da loro, ma risulta tutto inutile, per loro sono troppo impegnativi per occuparsene. Proprio per questo la scomparsa di alcuni bambini non suscita alcun timore tra gli adulti, per loro è un peso in meno dover pensare ai propri figli. L’unica figura di contatto tra questi due mondi è quella del “giocattolaio”, l’unico che cerchi di ascoltare e giocare con i bambini, ma allo stesso tempo, è l’unico su cui ricade ogni sospetto della loro scomparsa.

Il giocattolaio è un libro pieno di colpi di scena e di suspense, elementi tipici della scrittura di Pastor, ma allo stesso tempo vi sono percorsi di crescita e riflessioni da parte dei personaggi che aiutano lo stesso lettore a ragionare e a porsi delle domande sul proprio modo di essere. Mina, una dei protagonisti, cambia profondamente il suo modo di vivere e di essere nel corso della storia a causa o grazie alle situazione che deve affrontare. Ci aiuta a pensare come si cambi senza neanche accorgersene e si diventi qualcuno che non si riconosce più, ma i sentimenti più ingenui e le persone meno probabili aiutano Mina a ritrovare la propria innocenza di giovane ragazza. Infine proprio quei bambini, ritenuti superflui dai propri genitori, mostrano maturità e coraggio, affrontano la vita qualsiasi cosa li aspetti, al contrario degli adulti che continuano a sbagliare e a perdere ciò che è importante senza neanche accorgersene.
 

Interview with...

Stefano Pastor



Buonasera Stefano e benvenuto su Dusty Pages in Wonderland e grazie per aver accettato l'intervista. Può parlarci brevemente di se stesso e presentarsi ai lettori?
Buonasera a voi, vi ringrazio per questa opportunità. Su di me non c’è molto da dire, sono arrivato alla letteratura piuttosto tardi, a cinquant’anni suonati, l’ho fatto solo per divertirmi, poi ci ho preso gusto e… le cose si sono evolute da sole, la passione è diventata qualcosa di più serio. Nella vita mi sono occupato per vent’anni di commercio di musica e film, ma è un’attività che adesso ho abbandonato. Il mio sogno è di riuscire a mantenermi solo con i libri che scrivo.

Ha iniziato la sua carriera all'interno del mondo della musica, cosa l'ha spinta ad iniziare a scrivere?
È una passione molto antica, fin da quando andavo al liceo. Se allora l’ho abbandonata perché ero convinto di non essere in grado di mettere su carta le mie storie, in tempi più recenti ci ho riprovato, spinto da un’amica, senza alcuna velleità di essere pubblicato, solo per me stesso. Scrivere è risultato molto più facile di quanto pensassi e da allora non ho mai smesso.

Ogni suo libro coniuga al proprio interno diversi generi di romanzo, così anche Il giocattolaio. In che genere inserirebbe questo libro e da dove nasce questa necessità?
Tutti i miei libri incorporano più generi, o forse sarebbe meglio dire che non sono facilmente inseribili in un genere specifico. Fa parte di un bisogno innato di essere il meno prevedibile possibile e di riuscire a sorprendere il lettore, spero in modo positivo. Il giocattolaio è una fiaba dei nostri giorni, e come ogni fiaba che si rispetti è piena di suspence e ha una componente horror. È anche fortemente immersa nel background sociale della nostra epoca, anche questo fattore essenziale di ogni buona fiaba. Rispecchia la vita ma celebra la fantasia. Questi sono tratti comuni di molti dei miei libri.

In questo romanzo sembra netta la divisione tra mondo dei bambini e degli adulti, questa separazione rispecchia la sua visione del mondo?
Decisamente sì. Senza giungere agli estremi dei miei romanzi, sono comunque convinto che il mondo dei giovani e quello degli adulti sia nettamente separato e sia molto difficile creare un ponte tra queste due realtà. Gli adulti dimenticano facilmente di essere stati bambini e i bambini si rifiutano di accettare che gli adulti sono bambini cresciuti. Questo è forse l'ordine naturale delle cose, ma anche fonte di conflitti a volte insanabili.

Il personaggio del giocattolaio, tramite tra questi due mondi, è stato effettivamente costruito come un Peter Pan dei giorni nostri?
Come ogni bambino, Peter ha una fragilità innata unita a una forza inestinguibile. È lui il ponte tra i due mondi, il bambino che è stato costretto a crescere ma che non ha mai scordato ciò che era. L’infiltrato, un bambino travestito da adulto in un mondo di adulti, che finge di essere quello che non è. Anche se si è rifiutato di crescere non riesce però ad avere la spensieratezza di un Peter Pan, perché non ha la sua Neverland in cui essere felice. Ma farà di tutto per crearsela.

Ci parli di Mina, l'adolescente cresciuta troppo presto e, a parer mio, personaggio tra i più affascinanti.
Mina è il cuore del libro, ancor più di Peter. In un certo senso Mina è proprio il suo opposto: la bambina che ha scelto di crescere anzitempo e diventare adulta. È stata una scelta cosciente, nella convinzione che da adulta avrebbe avuto mezzi che a una bambina sarebbero mancati. Una scelta che si rivela errata, perché anche in questo caso l’apparenza è tutto, a occhi estranei sembrerà sempre una bambina. Nella sua solitudine, in parte scelta e in parte no, Mina ha coltivato una grande empatia verso bambini più sfortunati di lei. Come un supereroe vorrebbe aiutarli, salvarli tutti, ma la sua esistenza è costellata di fallimenti. Da ciò deriva la rabbia violenta che la divora. Mina è un personaggio che si svela poco a poco, nel corso del libro, mostrando una forte carica umana di cui all’inizio sembrava carente.

Cosa l'ha spinta a terminare questo romanzo con un finale quasi fiabesco?
Ho voluto un finale fiabesco proprio perché questo libro è stato concepito come una fiaba. Anche se nella stesura e ancor più nelle revisioni la componente thriller-horror è diventata dominante, questo libro è stato ispirato da fiabe come Pollicino e Hansel & Gretel. Storie antiche, accomunate dalla stessa base di partenza: bambini abbandonati nel bosco dai genitori sono costretti a combattere contro mostri per salvare la loro vita. Quello che mi ha sempre irritato di queste fiabe e che in entrambi i casi i bambini, sconfitti i malvagi, trovano un tesoro e subito lo portano da mamma e papà, perché così i genitori non saranno più costretti ad abbandonarli di nuovo. Ecco, a me questo lieto fine ha sempre fatto storcere il naso. Certi genitori non meritano un’altra possibilità, specie quando sono recidivi. Se un bambino è costretto a lottare contro il male da solo, allora ha diritto di decidere della propria vita. Il finale del mio libro è forse fiabesco, magari sembrerà esagerato a più di un lettore, però è fortemente voluto. E a ben guardare non è neanche tanto dolce come può sembrare, ma ha un fondo di amaro.

La famiglia, con la sua assenza e i suoi problemi, è al centro di questo romanzo. Cos'è per lei?
La famiglia è di vitale importanza, per la crescita di un bambino, ma ai nostri giorni è sempre più assente. Se da un lato è oppressiva e nel timore di perderlo non lo lascia neppure respirare, dell’altro tende a delegare a estranei i compiti più essenziali. Istitutori e nonni hanno sostituito quasi completamente i genitori, assenti giustificati. Sempre più “la famiglia” vengono a essere gli amici, quelli che contano davvero, che ci sono quando si ha bisogno. Sempre più i genitori diventano fantasmi irraggiungibili. Il fatto che nel mio libro tutte le famiglie presentate siano disfunzionali non implica che ciò avvenga anche nella realtà. Anche se quelli che mostro sono casi estremi, ciò non toglie che il problema esiste veramente.

Una piccola curiosità. Ha avuto una maestra alle elementari un po' troppo severa a cui si è ispirato?
La mia maestra alle elementari è stata… una suora! E devo dire che l’adoravo. Una persona fantastica, di cui ancora ricordo il nome: Suor Celina. Giuro di non essermi ispirato a lei, del resto tutti i miei personaggi sono sempre immaginari.

Grazie per la collaborazione e la aspettiamo presto su Dusty Pages in Wonderland con un suo nuovo libro.
Grazie a voi, e speriamo di tornare molto presto. Un saluto a tutti.

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