Il giocattolaio -
Stefano Pastor
Non
si sa molto del passato di Massimo, il bambino di 11 anni appena arrivato nel
Quartiere. Accolto in casa dello zio, alcolizzato e violento, Massimo ha subito
l'impressione di essere precipitato all'inferno. Ma il male, quello vero, non
si annida tra le mura domestiche. C'è qualcosa, infatti, nel Quartiere;
un'energia malefica che si sente sulla pelle, che s'intuisce ma non si vede tra
i palazzoni abbandonati e le vie semideserte di quest'area suburbana depressa e
grigia, dove diversi bambini sono recentemente spariti senza lasciare traccia.
La paura del mostro scivola sulle coscienze degli adulti, arroccati nella loro
irriducibile distanza rispetto al mondo dell'infanzia. Soltanto Peter, il
gentile titolare di un banco di pegni zeppo soprattutto di giocattoli, sembra
in grado di colmare quella distanza e di comunicare davvero con i desideri e le
paure dei bambini. Quando il cadavere di uno di questi viene rinvenuto con i
segni di orribili torture, i sospetti si concentrano sul giocattolaio. Massimo
si rende conto che il prossimo a sparire sarà proprio lui, è la vittima
perfetta, quella designata. Nessuno è in grado di aiutarlo, nessuno è in grado
di impedire che si compia il suo destino. Nessun adulto, almeno. Ne "Il
giocattolaio", romanzo d'esordio di Stefano Pastor, la presenza del male
s'insinua nella frattura tra il mondo dei grandi e quello dei piccoli,
nutrendosi dei sogni agitati dell'infanzia, per poi balzare nella realtà e
diventare qualcosa di concreto, tangibile.
Editore:
Fazi Editore
Pagine:
397 pagine
Formato:
rilegato
Prezzo:
€ 9,90
Voto:
A cura di Giulia
Gugliotta
Il giocattolaio di
Stefano Pastor, scrittore e musicista, è una recente pubblicazione della Fazi
Editore. Pastor nasce a Ventimiglia e per diversi anni si occupa del commercio
di musica e film, la sua carriera da scrittore si apre con la vittoria del
Premio Letterario Città di Ventimiglia con il libro Holiday. Pubblica altri romanzi di diverso genere, thtiller,
fantascienza, horror, avventura e nel 2010 vince anche il Premio Le Fenici con
il libro L’intervista.
La storia de Il
giocattolaio ruota intorno ad un quartiere morto, pieno di palazzi
abbandonati, nei quali i bambini giocano incuriositi. Massimo, appena arrivato
nel quartiere, è l’unico che non riesce a giocare in quei luoghi e non riesce a
non avere paura, perché lui ne ha sempre avuta. Malgrado sei bambini siano scomparsi
dal quartiere, nessuno li cerca, gli adulti dicono che sono scappati perché
sono ragazzi difficili. Ritrovato il
cadavere torturato di uno dei bambini, le accuse si concentrano su un inusuale
abitante del quartiere, “il giocattolaio”.
La vicenda si sviluppa in nove giorni e prima
dell’epilogo si protrae per qualche settimana. Questa scelta riesce a
proiettare il lettore all’interno delle vite dei personaggi, facendolo vivere
insieme a loro giorno dopo giorno. Ognuno viene raccontato attraverso la
prospettiva di più personaggi, in modo da avere una visione completa delle
vicende che accadono uno stesso giorno. Coinvolge con un ritmo incalzante e
coinvolgente non soffermandosi troppo sui particolari, senza però lasciare zone
d'ombra nella trama, che si rivela un thriller con un lieto fine quasi
fiabesco. Adotta uno stile lineare con frasi brevi e semplici, che dà spazio ai
dialoghi per dire ciò che è meno importante, la verità o i sentimenti spesso
non sono espressi ad alta voce. Poco convincente il finale che non è molto
realistico e lascia una sorta di disorientamento rispetto la concretezza del
mondo circostante. Riesce molto bene Pastor a far appassionare alle vite di
questi protagonisti bambini, tra i quali spicca
la figura del giocattolaio che non lo è più ma che ne ha mantenuto
l'animo. Una persona innocua di cui poter approfittare, così lo vedono tutti
quelli del quartiere, tranne Mina, una ragazzina troppo sveglia per la sua età
che lo considera più di un amico e che ha capito quale sia la sua vera natura.
Dopo il ritrovamento del cadavere di uno dei bambini scomparsi queste
considerazioni cambiano: “il giocattolaio” sembra essere l'unico che sia giusto
accusare per questo assassinio.
Il quartiere desolato dove si svolge la
narrazione, anche se in via di totale abbandono è pieno di bambini che si
nascondono tra i palazzi in rovina e fanno di questi posti tetri dei luoghi di
gioco, come il “fortino” di Grillo e i suoi amici, in realtà una vecchia
fabbrica abbandonata. Il mondo dei bambini, con i loro giochi e le loro paure,
è in totale antitesi e conflitto con quello degli adulti. I primi cercano di
instaurare un contatto con quei grandi tanto diversi da loro, ma risulta tutto
inutile, per loro sono troppo impegnativi per occuparsene. Proprio per questo
la scomparsa di alcuni bambini non suscita alcun timore tra gli adulti, per
loro è un peso in meno dover pensare ai propri figli. L’unica figura di
contatto tra questi due mondi è quella del “giocattolaio”, l’unico che cerchi
di ascoltare e giocare con i bambini, ma allo stesso tempo, è l’unico su cui
ricade ogni sospetto della loro scomparsa.
Il giocattolaio è un
libro pieno di colpi di scena e di suspense, elementi tipici della scrittura di
Pastor, ma allo stesso tempo vi sono percorsi di crescita e riflessioni da
parte dei personaggi che aiutano lo stesso lettore a ragionare e a porsi delle
domande sul proprio modo di essere. Mina, una dei protagonisti, cambia
profondamente il suo modo di vivere e di essere nel corso della storia a causa
o grazie alle situazione che deve affrontare. Ci aiuta a pensare come si cambi
senza neanche accorgersene e si diventi qualcuno che non si riconosce più, ma i
sentimenti più ingenui e le persone meno probabili aiutano Mina a ritrovare la
propria innocenza di giovane ragazza. Infine proprio quei bambini, ritenuti
superflui dai propri genitori, mostrano maturità e coraggio, affrontano la vita
qualsiasi cosa li aspetti, al contrario degli adulti che continuano a sbagliare
e a perdere ciò che è importante senza neanche accorgersene.
Interview with...
Stefano Pastor
Buonasera Stefano e
benvenuto su Dusty Pages in Wonderland e grazie per aver accettato
l'intervista. Può parlarci brevemente di se stesso e presentarsi ai lettori?
Buonasera
a voi, vi ringrazio per questa opportunità. Su di me non c’è molto da dire,
sono arrivato alla letteratura piuttosto tardi, a cinquant’anni suonati, l’ho
fatto solo per divertirmi, poi ci ho preso gusto e… le cose si sono evolute da
sole, la passione è diventata qualcosa di più serio. Nella vita mi sono
occupato per vent’anni di commercio di musica e film, ma è un’attività che
adesso ho abbandonato. Il mio sogno è di riuscire a mantenermi solo con i libri
che scrivo.
Ha iniziato la sua
carriera all'interno del mondo della musica, cosa l'ha spinta ad iniziare a
scrivere?
È
una passione molto antica, fin da quando andavo al liceo. Se allora l’ho
abbandonata perché ero convinto di non essere in grado di mettere su carta le
mie storie, in tempi più recenti ci ho riprovato, spinto da un’amica, senza
alcuna velleità di essere pubblicato, solo per me stesso. Scrivere è risultato
molto più facile di quanto pensassi e da allora non ho mai smesso.
Ogni suo libro coniuga
al proprio interno diversi generi di romanzo, così anche Il giocattolaio. In
che genere inserirebbe questo libro e da dove nasce questa necessità?
Tutti
i miei libri incorporano più generi, o forse sarebbe meglio dire che non sono
facilmente inseribili in un genere specifico. Fa parte di un bisogno innato di
essere il meno prevedibile possibile e di riuscire a sorprendere il lettore,
spero in modo positivo. Il giocattolaio è una fiaba dei nostri giorni, e come
ogni fiaba che si rispetti è piena di suspence e ha una componente horror. È
anche fortemente immersa nel background sociale della nostra epoca, anche
questo fattore essenziale di ogni buona fiaba. Rispecchia la vita ma celebra la
fantasia. Questi sono tratti comuni di molti dei miei libri.
In questo romanzo
sembra netta la divisione tra mondo dei bambini e degli adulti, questa
separazione rispecchia la sua visione del mondo?
Decisamente
sì. Senza giungere agli estremi dei miei romanzi, sono comunque convinto che il
mondo dei giovani e quello degli adulti sia nettamente separato e sia molto
difficile creare un ponte tra queste due realtà. Gli adulti dimenticano
facilmente di essere stati bambini e i bambini si rifiutano di accettare che
gli adulti sono bambini cresciuti. Questo è forse l'ordine naturale delle cose,
ma anche fonte di conflitti a volte insanabili.
Il personaggio del
giocattolaio, tramite tra questi due mondi, è stato effettivamente costruito
come un Peter Pan dei giorni nostri?
Come
ogni bambino, Peter ha una fragilità innata unita a una forza inestinguibile. È
lui il ponte tra i due mondi, il bambino che è stato costretto a crescere ma
che non ha mai scordato ciò che era. L’infiltrato, un bambino travestito da
adulto in un mondo di adulti, che finge di essere quello che non è. Anche se si
è rifiutato di crescere non riesce però ad avere la spensieratezza di un Peter
Pan, perché non ha la sua Neverland in cui essere felice. Ma farà di tutto per
crearsela.
Ci parli di Mina,
l'adolescente cresciuta troppo presto e, a parer mio, personaggio tra i più
affascinanti.
Mina
è il cuore del libro, ancor più di Peter. In un certo senso Mina è proprio il
suo opposto: la bambina che ha scelto di crescere anzitempo e diventare adulta.
È stata una scelta cosciente, nella convinzione che da adulta avrebbe avuto
mezzi che a una bambina sarebbero mancati. Una scelta che si rivela errata,
perché anche in questo caso l’apparenza è tutto, a occhi estranei sembrerà
sempre una bambina. Nella sua solitudine, in parte scelta e in parte no, Mina
ha coltivato una grande empatia verso bambini più sfortunati di lei. Come un
supereroe vorrebbe aiutarli, salvarli tutti, ma la sua esistenza è costellata
di fallimenti. Da ciò deriva la rabbia violenta che la divora. Mina è un
personaggio che si svela poco a poco, nel corso del libro, mostrando una forte
carica umana di cui all’inizio sembrava carente.
Cosa l'ha spinta a
terminare questo romanzo con un finale quasi fiabesco?
Ho
voluto un finale fiabesco proprio perché questo libro è stato concepito come
una fiaba. Anche se nella stesura e ancor più nelle revisioni la componente
thriller-horror è diventata dominante, questo libro è stato ispirato da fiabe
come Pollicino e Hansel & Gretel. Storie antiche, accomunate dalla stessa
base di partenza: bambini abbandonati nel bosco dai genitori sono costretti a
combattere contro mostri per salvare la loro vita. Quello che mi ha sempre
irritato di queste fiabe e che in entrambi i casi i bambini, sconfitti i
malvagi, trovano un tesoro e subito lo portano da mamma e papà, perché così i
genitori non saranno più costretti ad abbandonarli di nuovo. Ecco, a me questo
lieto fine ha sempre fatto storcere il naso. Certi genitori non meritano
un’altra possibilità, specie quando sono recidivi. Se un bambino è costretto a
lottare contro il male da solo, allora ha diritto di decidere della propria
vita. Il finale del mio libro è forse fiabesco, magari sembrerà esagerato a più
di un lettore, però è fortemente voluto. E a ben guardare non è neanche tanto
dolce come può sembrare, ma ha un fondo di amaro.
La famiglia, con la sua
assenza e i suoi problemi, è al centro di questo romanzo. Cos'è per lei?
La
famiglia è di vitale importanza, per la crescita di un bambino, ma ai nostri
giorni è sempre più assente. Se da un lato è oppressiva e nel timore di
perderlo non lo lascia neppure respirare, dell’altro tende a delegare a
estranei i compiti più essenziali. Istitutori e nonni hanno sostituito quasi
completamente i genitori, assenti giustificati. Sempre più “la famiglia”
vengono a essere gli amici, quelli che contano davvero, che ci sono quando si
ha bisogno. Sempre più i genitori diventano fantasmi irraggiungibili. Il fatto
che nel mio libro tutte le famiglie presentate siano disfunzionali non implica
che ciò avvenga anche nella realtà. Anche se quelli che mostro sono casi
estremi, ciò non toglie che il problema esiste veramente.
Una piccola curiosità.
Ha avuto una maestra alle elementari un po' troppo severa a cui si è ispirato?
La
mia maestra alle elementari è stata… una suora! E devo dire che l’adoravo. Una
persona fantastica, di cui ancora ricordo il nome: Suor Celina. Giuro di non
essermi ispirato a lei, del resto tutti i miei personaggi sono sempre
immaginari.
Grazie per la
collaborazione e la aspettiamo presto su Dusty Pages in Wonderland con un suo
nuovo libro.
Grazie
a voi, e speriamo di tornare molto presto. Un saluto a tutti.
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