Zimbabwe, anno 2000. I latifondisti bianchi, discendenti de! coloni fondatori dell'ex Rhodesia, vivono nell'agio e nel lusso di splendide tenute, attorniati da domestici tuttofare e contadini neri. La loro comoda esistenza viene sconvolta dalle riforme agrarie del "Presidente eletto democraticamente a vita", dittatore megalomane e sanguinario che vuole espropriarli, apparentemente a beneficio del popolo nero. In questo scenario si muove Blues, la protagonista del romanzo, bellissima figlia diciottenne di un grande possidente, forte e determinata. Travolta dall'amore, saprà metterlo in secondo piano e lottare per quello che considera più importante: conservare la sua terra e riportare la Piantagione allo splendore di un tempo.
titolo originale “La Plantation”
traduzione di Gaia Amaducci
Edizioni Epoché
Prezzo di copertina: 16,50€
A cura di Glo_In_Stockolm
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Sono venuta a
conoscenza di Calixthe Beyala e del suo romanzo “La piantagione”
qualche tempo fa, quando, dopo aver guardato in TV un reportage sulla
disperata condizione dello Zimbabwe di Mugabe, mi ero decisa a
scoprire qualcosa di più su quel paese e sulla sua storia
contemporanea.
Mi sono così imbattuta in
un'intervista alla scrittrice originaria del Camerun (consultabile
cliccando su questo link
www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_battaglia6.htm
) che subito ha
suscitato la mia curiosità: in particolare, la molla che mi ha
convinta a leggere “La piantagione” è stata una frase presente
nell'introduzione all'intervista, che qui riporto:
“
[Calixthe
Beyala NdR] ha provato a raccontare - da nera - il "continente
nero". Ma con gli occhi dei bianchi perché lei crede nella
"negritudine", nell’essere africani per cultura e per
nascita e non per il colore della pelle.”
Le
premesse mi sembravano più che interessanti, se pensiamo poi che
sono una fan di vecchia data di “Via col vento” di Margaret
Mitchell, non potevo certo perdermi il “Via
col vento africano”.
Il
libro racconta le vicende di Blues, figlia affascinante e coraggiosa
di Thomas Cornu, latifondista bianco proprietario di una rigogliosa
tenuta (la Piantagione del titolo), nello Zimbabwe del 2000, quando
Mugabe, “il presidente eletto democraticamente a vita”, attuò
una fallimentare riforma agraria, confiscando ai “white farmers”
più di 100mila km quadrati di terre fertili che vennero poi
“redistribuiti” alla popolazione locale (in realtà solo alla
giunta militare vicina al dittatore), con esiti disastrosi
sull'economia dell'ex granaio d'Africa.
Blues
è giovane e sognatrice, ma le scorre nelle vene il sangue di chi è
abituato a conquistare e in lei abita lo spirito indomito di chi non
è disposto a subire gli eventi, il senso di appartenenza a un luogo
che è al centro della propria identità. Blues è bianca, ma è
un'africana bianca, non avvelenata dalla presunzione di superiorità
e dal disprezzo verso i locali tipico dei colonizzatori, ma
consapevole che le sue radici sono nel continente nero e non altrove,
consapevole che ciò che la lega alla sua terra è legame forte e
indissolubile.
Attorno
alla giovane ruota una rosa di personaggi emblematici, che pare ben
rappresentare le spaccature del tessuto sociale del paese: dalla
“parte bianca” Thomas,
il fiero padre della ragazza, ricco possidente ma di umili origini
che lo separano dalla buona società rhodesiana, la sorella Fanny,
inizialmente viziata e confusa, rosa da una profonda gelosia nei
confronti di Blues, i vari componenti della comunità bianca,
arroganti e sicuri di sé e destinati a impallidire sconfitti verso
la conclusione del romanzo, fra cui spicca Rosa
Gottenberg
con la sua disperata ricerca d'affetto, e Franck
Enio,
presentato come un faccendiere amato follemente da Blues, che però è
ben decisa a non sottomettersi.
Non
dimentichiamo poi i protagonisti del “lato nero”, come Nanno,
domestica a servizio della famiglia Cornu, letteralmente devota ai
padroni che venera, Nicolas,
mulatto sognatore che si inserirà nella vita di Fanny, Kadjersi,
amante del padre di Blues e madre dei suoi fratellastri, e Comorès,
ufficiale fedelissimo di Mugabe, ottuso e maschilista, ma così
invaghito della ragazza da arrivare a proteggere sia lei sia la sua
famiglia dall'esproprio violento.
Non
sono un'esperta di letteratura africana e non ne conosco tanti
autori, né ho letto a sufficienza per costruirmi un'opinione
precisa, tuttavia, posso affermare che ne “La piantagione” scorgo
elementi diversi rispetto a quelli che avrebbe potuto usare un autore
occidentale. La scrittura di Calixthe Beyala è molto sensuale, e non
soltanto perché l'elemento carnale è molto presente, ma anche
perché leggendo le descrizioni di colori, suoni, sapori e situazioni
ci si accorge che i sensi sono “sollecitati”, molto di più
rispetto ad altri. Quando, per esempio, parla del caldo
insopportabile di quel frammento d'Africa (“l'aria
era un festino di bolle in calore. Carbonizzava il petto. Faceva
prudere la gola e Thomas grondava sudore.” pag.131),
si è così trascinati dalle sue parole da sentirsi per un momento
immersi nella spossatezza di un torrido pomeriggio australe.
Sicuramente, questo elemento è capace di donare una grande
espressività al libro.
Tuttavia,
non posso negare che in diversi punti lo stile è poco fluido e a
volte poco convincente. Cito a questo proposito un paio di esempi:
-
pag. 29 “... disse
James Schuller, uno scrittorucolo di ventitré anni i cui capelli
biondi, la parlata soave e le unghie pulite obbligavano le ragazze a
scontare una passione implacabile e permanere in uno stato di
levitazione sentimentale
“(ecco come la scrittrice decide introdurre questo personaggio e il
suo essere irresistibile... ma quante ragazze permangono in stato di
levitazione sentimentale?)
-
pag. 81 “Più
lontano si estendeva una piscina olimpionica, vivace quanto la vasca
da bagno di un fantasma (?? NdR) nel verde cupo della foresta”
(per descrivere la piscina nella tenuta di un possidente, ma che modo
bizzarro di evocare l'immobilità..! o almeno io ho inteso si
parlasse di immobilità.)
Anche
l'esasperazione dell'elemento erotico in alcune situazioni può
apparire sopra le righe, come nella scena di “seduzione” che vede
coinvolta la povera Rosa Gottenberg a pag. 189.
“…
l'avrei costretta a mettersi in ginocchio, avrei sollevato la sua
camicia da notte, le avrei abbassato le mutandine [...] Credo che
possa facilmente immaginarsi il resto”, concluse, paonazzo come la
camicia da notte di Rosa.
Il volto di
lei si fece estatico.
“Che cosa
aspetti?” disse, decisa a provare la fortuna. “Forza, dai”
aggiunse, lasciva quando una gatta d'appartamento.
Comunque,
se lo scopo di Calixthe Beyala era quello di cercare di trasmettere
l'idea di una “negritudine”, ossia di un attaccamento per
l'Africa che non fosse legato al concetto di razza e di religione a
un pubblico più ampio ed estraneo, credo ci sia riuscita in pieno.
Ho apprezzato la forza di Blues, l'amore che nutre per la propria
terra e le proprie origini e il desiderio di non perderle, un
desiderio così forte da impedirle di fuggire in Europa o di
arroccarsi in un decadente isolamento imbevuto di fatalismo e
pregiudizi inaccettabili. E tutto questo è qualcosa che va ben oltre
gli stretti confini dati dall'appartenenza etnica o di fede.
In
chiusura, vorrei solo aggiungere questo: perché “La Piantagione”
è stato definito il “Via col Vento” africano? In che cosa si
somigliano? A parte le scontate somiglianze di Blues Cornu con
Rossella O'Hara (entrambe bellissime, indomite e legate alla propria
terra), direi nella conclusione... anche per le bianche d'Africa
della famiglia Cornu, seppur con parole diverse, domani
è un altro giorno!
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