martedì 9 ottobre 2012

Recensione: Il traghettatore di William Peter Blatty


Il traghettatore - William Peter Blatty
Joan Freeboard è una donna di successo, uno dei migliori agenti immobiliari di New York. Tra le mani ha un affare che le potrebbe fruttare un enorme guadagno: la vendita di Elsewhere. una villa degli anni Trenta posta su una boscosa isola sul fiume Hudson. L'unico ostacolo all'impresa è la fama sinistra che circonda la casa, nota per essere infestata da inquieti e insidiosi spiriti maligni. Ma Joan ha un piano. Invitare per un breve soggiorno nella villa un esperto di fenomeni paranormali, una celebre sensitiva e un amico scrittore assai scettico cui spetterà il compito, una volta rientrato, di pubblicare un reportage della visita per sfatare le leggende che avvolgono Elsewhere. Una serie di segnali, però, comincia presto ad allarmare il gruppo: cosa sono quei rumori che, come nelle più classiche storie di fantasmi, echeggiano tra le pareti? I due sacerdoti che si aggirano per i corridoi sono o no un'allucinazione? Com'è possibile che ogni comunicazione col mondo esterno risulti impossibile? E dov'è finito poi il profilo di Manhattan, sull'altra riva del fiume? Tra schianti improvvisi e flebili mormorii, la villa rivela a poco a poco un passato rimosso, mentre un crescente terrore s'impadronisce dei suoi ospiti.
Editore: Fazi
Prezzo: 9.90 euro
Pagine: 201

A cura di Surymae Rossweisse


Voto: 


Avere il proprio nome legato indissolubilmente ad uno dei capisaldi del genere di appartenenza può essere una croce ed una delizia. I vantaggi sono indubbi, ma il rischio che grande pubblico si ricordi  solo del “magnus opus”, tralasciando il resto della produzione, è elevatissimo.
Così sembra essere accaduto a William Peter Blatty, scrittore prima del romanzo e poi della sceneggiatura de “L'esorcista”. Parliamo del 1971: e dopo, cos'è successo? Una carriera piuttosto in sordina, tant'è che perfino l'accuratissima Wikipedia inglese non sembra saperne molto. Ora arriva in Italia, per Fazi, un'opera del 2009: “Il traghettatore”, appunto.

La villa Elsewhere, già dal nome (in italiano significa “altrove”) gode di una pessima reputazione. Tutti i suoi precedenti inquilini, infatti, hanno riportato la presenza di spiriti, probabilmente dovuti alle tragiche storie avvenute tra quelle mura.
Una vera spina nel fianco per Joan Freeboad, a cui non potrebbe importare di meno delle voci che girano, se non per il fatto che le rendano difficile vendere la casa. Arrendersi all'evidenza non è un'opzione praticabile, ed anzi elabora un piano per concludere l'affare desiderato. Lei, il suo amico scrittore Terence Dare, la sensitiva Anna Trewley e l'esperto di fenomeni paranormali Gabriel Case passeranno un week-end ad Elsewhere, portando così le prove che le dicerie sono tutte infondate. Ignora, però, che se sono così diffuse un motivo ci sarà...

Non c'è bisogno di essere sensitivi – okay, la battuta è terribile – per capire che quello dei nostri non sarà un soggiorno come tutti gli altri. Ed è giusto che sia così, perché il genere lo richiede e perché, altrimenti, il romanzo non avrebbe senso d'esistere.
Tuttavia, questo non significa che l'opera cominci subito con il week-end incriminato, anzi: metà è spesa nel mostrare l'idea e l'organizzazione della visita: parte fondamentale per contestualizzare la vicenda e farci conoscere i personaggi, ma che poteva essere abbreviata, perché sbilanciata rispetto all'altra, quella che potrebbe interessare di più il lettore medio.
Purtroppo, però, la vera trama de “Il traghettatore” - titolo made in Italy, naturalmente, e pure un tantino rivelatore – non è il massimo dell'originalità, per quanto godibile da leggere. I rumori strani, l'isolamento dal mondo esterno, il praticare una seduta spiritica, sono tutti espedienti visti e rivisti, e che di conseguenza non riescono a mantenere alta la suspense per molto tempo.
Per fortuna Blatty, che non è certo uno sprovveduto, se ne rende conto, e mischia le carte in tavola puntando sul condizionamento psicologico dei protagonisti: si aspettano fenomeni paranormali, e fenomeni paranormali siano. La vera domanda da porsi è se siano allucinazioni o se siano reali... e a questo soltanto il colpo di scena finale potrà rispondere. Non c'è dubbio che certi aspetti potessero essere gestiti meglio, ma rimane uno dei picchi qualitativi del romanzo.

“Il traghettatore”, comunque, si concentra principalmente sui personaggi. I risultati, a dire il vero, sono un po' altalenanti, perché gli stereotipi abbondano. Il caso più eclatante è Dare, che non si fa sfuggire nessun aspetto dell'omosessuale effeminato: aspetto da “eroe byroniano” (cit.), infallibile gusto per l'abbigliamento, temperamento artistico, amore paterno per i propri cagnolini. E' un personaggio di cui si legge con piacere, ma non è certo una novità assoluta, visto che è da (almeno) gli anni '70 che troviamo questa figura in diversi ambiti, dalla musica ad, appunto, la letteratura.
Se Joan leggesse la pagina di TV Tropes – sito inglese che raccoglie tutti gli stereotipi della fiction – su la “Ladette”, donna che non conosce il significato della parola “femminilità”, dice parolacce,  ama indulgere nel bere e nel sesso, ne condividerebbe ogni singola parola. Tuttavia, i suoi battibecchi con Dare sono tra le parti migliori dell'opera: sono plausibili, e soprattutto sono divertenti.
Anna e Gabriel sono messi un po' in secondo piano da due personaggi così esuberanti, anche se pure in quest'ambito Blatty riesce a correggere l'errore usandolo come espediente: la forza di Anna è proprio il suo carattere tranquillo e poco appariscente, mentre la sottile vena inquietante di Gabriel ha delle ragioni pratiche, legate a doppio filo con la storia. Il resto del cast è ancora più evanescente, come ad esempio il traghettatore del titolo che appare in una sola scena per tutta la durata del romanzo.

Tuttavia, il fatto che i nostri siano stereotipati non vuol dire necessariamente che siano poco caratterizzati, perché equivarrebbe a non notare gli evidenti sforzi dell'autore.
Grande attenzione viene infatti data a ciò che si nasconde dietro i loro comportamenti. Dare è così scettico ed ateo perché teme che la Chiesa non accetti il suo orientamento sessuale, l'aggressività di Joan è dovuta ad un mai sopito senso di inferiorità ed un'infanzia infelice, e man mano che procediamo scopriamo il segreto del sorriso serafico di Anna... ed anche del ghigno di Gabriel.

Lo stile di Blatty è semplice e per niente faticoso da leggere – anche dal punto di vista grafico, ma questa è un'altra storia. Perlopiù viene usato un narratore onnisciente, a parte alcuni estratti del diario personale di Anna: scelta che spezza la monotonia del romanzo, ma che non sempre si dimostra all'altezza dal punto di vista qualitativo, perché si sente che l'autore non ha molta dimestichezza con la prima persona e, soprattutto, un punto di vista prettamente femminile.
Le frasi non sono troppo lunghe, anche se – in particolare nelle prime pagine – di tanto in tanto spunta qualche metafora d'effetto. L'unico difetto, però, risiede nelle scene di “azione”, che vengono descritte in modo nebuloso: in una parola, troppo raccontate. Forse si sarebbe potuto fare qualcosa di più per il mostrato...

...E non solo per quello, a dire la verità. “Il traghettatore” non si può certo definire un brutto romanzo, ma gli manca quel pepe e, se vogliamo, quel coraggio, che avrebbero potuto renderlo una lettura indimenticabile.

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