A cura di OracoloDiDelfi
Se la poesia fosse intesa come un porto di mare da cui intraprendere viaggi verso mete lontane, Guido Gozzano esibirebbe, senz’ombra di dubbio, il vascello più maestoso e veloce.
Le onde di quest’oceano di fantasia spingono il lettore, strofa per strofa, nella direzione della mitica “Isola Non Trovata”, un luogo leggendario, raggiunto attraverso un percorso ricco d’immaginazione che costituisce una fuga reattiva nell’irrazionale, un modo per risolvere le contraddizioni del presente inventandosi un mondo legato alla favola e al sogno.
La nostalgia, la disillusione e il desiderio di una libertà spirituale senza confini rappresentano la spinta esistenziale che mette in viaggio il lettore verso quest’isola che pare introvabile; serve infatti una piccola dose di stupore infantile e una certa dimestichezza con le atmosfere fiabesche per cogliere, nel mare infinito dell’immaginazione, questo piccolo e prezioso atollo mitologico.
Gozzano traduce in poesia un viaggio fisico che egli stesso compì nel Ceylon tra il dicembre del 1912 e il febbraio del 1913.
Sul modello della letteratura d’esplorazione, il testo poetico celebra un’avventura alla scoperta di un’isola misteriosa,
di cui non restano che vani ricordi sbiaditi, e sensazioni vaghe, come suoni arcani e profumi esotici e vanescenti.
Le parole creano, con grande sapienza poetica, un’atmosfera fantastica e mitica, che coincide, per l’autore, con la profonda ricerca di un senso che si cela dietro ogni piccolo o grande viaggio.
Prima di ‘avventurarvi’ nella lettura di questo testo, vi consiglio, così come potrebbe consigliarvi Gozzano, di chiudere gli occhi, e di estendere la vostra fantasia ai confini più remoti del vostro cuore, per cogliere il profumo dell’oceano, la carezza del vento, e il desiderio bruciante della scoperta di un’isola mai trovata, e di un senso esistenziale che più pare esserci vicino, più al contrario ci sfugge, allontanandosi sempre più.
Guido Gozzano, “La più bella”
I.
Ma bella più di tutte l'Isola Non-Trovata:
quella che il Re di Spagna s'ebbe da suo cugino
il Re di Portogallo con firma sugellata
e bulla del Pontefice in gotico latino.
L'Infante fece vela pel regno favoloso,
vide le fortunate: Iunonia, Gorgo, Hera
e il Mare di Sargasso e il Mare Tenebroso
quell'isola cercando... Ma l'isola non c'era.
Invano le galee panciute a vele tonde,
le caravelle invano armarono la prora:
con pace del Pontefice l'isola si nasconde,
e Portogallo e Spagna la cercano tuttora.
II.
L'isola esiste. Appare talora di lontano
tra Teneriffe e Palma, soffusa di mistero:
"...l'Isola Non-Trovata!" Il buon Canarïano
dal Picco alto di Teyde l'addita al forestiero.
La segnano le carte antiche dei corsari.
...Hifola da - trovarfi? ...Hifola pellegrina?...
È l'isola fatata che scivola sui mari;
talora i naviganti la vedono vicina...
Radono con le prore quella beata riva:
tra fiori mai veduti svettano palme somme,
odora la divina foresta spessa e viva,
lacrima il cardamomo, trasudano le gomme...
S'annuncia col profumo, come una cortigiana,
l'Isola Non-Trovata... Ma, se il pilota avanza,
rapida si dilegua come parvenza vana,
si tinge dell'azzurro color di lontananza...
Il testo del poeta torinese ispirerà poi una canzone del cantautore Francesco Guccini, intitolata appunto “L’Isola Non Trovata” (Casa Discografica Emi, dicembre 1970).
Guccini, oppresso da una delusione sentimentale, appena tornato da un viaggio (appunto, un viaggio!) in America che aveva rivelato la grandissima utopia del ‘mito americano’ con cui tutta la sua generazione era illusoriamente cresciuta, trova nel testo di Gozzano un interlocutore fedele a cui confessare il senso di perdizione che provava di fronte alla realtà del tempo, e nell’Isola non trovata identifica invece un luogo di rifugio dove esercitare tutta la fantasiosa libertà dell’immaginazione che di fatto costituiva la sola via di scampo rispetto a una vita quotidiana ricolma di illusione e delusioni.
La rima ‘sparsa’ di Gozzano vede la prevalenza di distici di doppi settenari, e Guccini ne riprende pari pari l’attacco (recitato e non cantato nell’esecuzione del pezzo), modificando solamente qualche elemento grafico attraverso la separazione delle due strofe incipitarie:
“…...Ma bella più di tutte l' isola non trovata, quella che il Re di Spagna s' ebbe da suo cugino,
il Re di Portogallo, con firma suggellata
e "bulla" del pontefice in Gotico-Latino...”
Per proseguire autonomamente nella propria canzone, Guccini prende le mosse dalla citazione diretta di Gozzano per poi passare metricamente alla prevalenza del novenario, distaccandosi dall’affollamento di nomi tipico del testo gozzaniano:
“…Il Re di Spagna fece vela
cercando l' isola incantata,
però quell' isola non c'era
e mai nessuno l'ha trovata:
svanì di prua dalla galea
come un' idea,
come una splendida utopia, è andata via
e non tornerà mai più...”
“…Le antiche carte dei corsari portano un segno misterioso
e ne parlan piano i marinai con un timor superstizioso:
nessuno sa se c'è davvero od è un pensiero,
se, a volte, il vento ne ha il profumo è come il fumo che non prendi mai…”
Guccini interpreta in maniera originale anche il finale della poesia, instaurando un prezioso ‘dialogo intertestuale’ col poeta torinese; così Gozzano conclude la lirica:
“S'annuncia col profumo, come una cortigiana,
l'Isola Non-Trovata... Ma, se il pilota avanza,
rapida si dilegua come parvenza vana,
si tinge dell'azzurro color di lontananza...”
Ed ecco invece Guccini che, esordendo in endecasillabo, approda infine al distico di doppi settenari, chiudendo la propria ‘rilettura’ della poesia con un’erudita chiusura ad anello, citando nuovamente, come fece nell’incipit, le precise parole del poeta torinese:
“Appare a volte avvolta di foschia
Magica e bella, ma se il pilota avanza
Sui mari misteriosi è già volata via
Tingendosi d’azzurro, color di lontananza…”
Chi sono gli autori
Guido Gozzano nasce a Torino nel 1883.
Discendente da parte paterna di una ricca famiglia borghese di Torino, affronta un’infanzia difficile, perennemente afflitto da spinte nostalgiche e da sentimenti di disarmonia, diplomandosi a fatica al Liceo Classico Cavour di Torino dopo aver subito varie bocciature.
L’attività poetica di Gozzano rientra nelle liriche ‘crepuscolari’, un particolare movimento lirico che coniuga il pessimismo tipicamente decadente all’incertezza etica, politica e cultura che affligge gli intellettuali dell’inizio del ‘900.
Si riunisce in un fervente gruppo di intellettuali torinesi chiamato “La società della Cultura”, e, in seguito all’iscrizione alla facoltà di legge, abbandona i corsi di giurisprudenza per interessarsi alle lezioni di letteratura e filosofia.
Tra le sue raccolte poetiche di maggior successo e diffusione si annoverano “Primavere romantiche”, “La Via del Rifugio”, “Verso la cuna del mondo: Lettere dall’India”, e “La principessa si sposa”.
Dopo tre mesi dalla nascita, a causa dell’imperversare del secondo conflitto mondiale, si trasferisce dai nonni paterni residenti a Pavana, una piccola città dell’Appennino tosco emiliano in provincia di Pistoia.
L’infanzia del giovane Francesco trascorre felice in questo ‘rifugio’ di montagna, dove le prime esperienze di vita e d’amore s’intrecciano con una crescente passione verso poesia e letteratura.
Per proseguire gli studi, il giovane Guccini fa prima ritorno a Modena, per poi stabilirsi a Bologna, dove frequenta i corsi universitari.
Mancando di poco la laurea presso la facoltà del Magistero di Bologna, l’appena ventenne Francesco coniuga l’inesperta occupazione di giornalista presso un piccolo giornale locale con il progetto musicale che lo vede al centro di un ‘complesso’.
Lasciata la redazione di provincia della ‘Gazzetta di Modena’, insegue i propri sogni canori incidendo il disco “Folk Beat n.1”.
E’ il marzo del 1967, e canzoni come “Auschwitz”, “Noi non ci saremo”, “L’atomica cinese” e “In Morte di S.F” lo conducono dritto al successo discografico nazionale, che verrà ufficialmente sancito non prima del 1972, con “Radici”, a sua volta preceduto da due cupe produzioni come “Due anni dopo” e “L’Isola Non Trovata”.
La figura artistica di Francesco Guccini non si limita alla sola musica, ma si estende anche al campo della letteratura attraverso la pubblicazione di romanzi come “Croniche Epafaniche” (Feltrinelli, 1989), “Vacca d’un cane” e “Cittanova Blues”; nel marzo del 2012 Mondadori pubblica la sua ultima opera “Il dizionario delle cose perdute”, ossia un elenco di oggetti e abitudini di vita che lo scorrere del tempo ha tristemente cancellato, riscuotendo un grande successo sia dalla critica che dal pubblico.
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