A cura di Surymae Rossweisse
Salve a tutti, e benvenuti ad una
nuova puntata de “Il tempio degli Otaku”. Per prima cosa: da qualche giorno ilTempio ha la propria pagina Facebook! Eh sì, anche noi ci mettiamo al passo con
i tempi. Le idee non mancano, ma questo lo scoprirete se ci seguirete.
Okay, lo spazio pubblicitario è
finito; è ora di parlare del manga di questa settimana. Oggi torniamo a parlare
di una vecchia conoscenza: un mangaka famosissimo, che ancora oggi viene
chiamato il Dio dei Manga. Reputazione assolutamente meritata, vista la
prolificità, l'eclettismo e, ultimo ma non ultimo, la grande qualità dei suoi
lavori. La serie di oggi è stata fatta nell'ultima fase della sua carriera, e
tratta di un argomento su cui è stato già detto tutto ed il contrario di tutto:
la Seconda Guerra Mondiale.
Tremo un po' a continuare questa
introduzione, perché rischio di inondarvi di aggettivi e insomma... questo è
soltanto il paragrafo iniziale, mica tutta la recensione! Per quella leggete
più sotto; e magari, date un'occhiata anche a “La storia dei tre Adolf” di
Osamu Tezuka. Buona lettura!
Come si evince dal titolo, la
storia si incentra sulle vite di tre uomini chiamati Adolf dal 1936 in poi. Il
primo è un uomo politico responsabile di uno dei più efferati genocidi della
storia: Adolf Hitler. In quel di Berlino girano dei documenti che
attesterebbero una teoria scioccante: le origini ebraiche del Führer.
Il suo possessore originario, Isao Toge, viene per questo ucciso, ma non prima
che la verità – ed i documenti – vengano a conoscenza di suo fratello, il
giornalista Sohei.
Nel tentativo di sfuggire ai
nazisti e alle loro efficienti torture, quest'ultimo si rifugia in Giappone.
Qui vivono due bambini chiamati Adolf: Adolf Kaufmann, la cui madre è
giapponese ed il padre è un tedesco con diversi scheletri nell'armadio, e Adolf
Kamil, figlio di ebrei. I due stringono rapidamente amicizia, anche per
contrastare le prese in giro dei loro coetanei, ma le loro famiglie non sono
dello stesso avviso. Soprattutto Kaufmann, che ha in mente di mandare il
bambino in Germania ad addestrarsi per diventare SS. Nonostante la strenua
opposizione di Adolf, il piano funziona, anche troppo.
Mentre quest'ultimo rimane sempre
più invischiato nell'ideologia nazista, soffocando i propri dubbi, Kamil cerca
di vivere in un Giappone eccessivamente nazionalista e Sohei continua a
custodire il segreto dietro agli importantissimi documenti, gli anni passano,
facendo incontrare e separare queste vite all'apparenza così diverse.
Non è facile classificare in una
categoria predefinita “La storia dei tre Adolf”. In generale è un seinen, su
questo non ci sono dubbi, ma sono i dettagli che mettono in difficoltà. Le tre
sottotrame che si intrecciano non potrebbero essere più diverse fra loro:
quella di Sohei è improntata sulle vicende spionistiche, quella di Kaufmann è
più prettamente storica, e Kamil è “slice of life”, ossia incentrata più sulla
quotidianità.
Qualsiasi lettore troverà pane
per i propri denti, qualcosa di più forte della timeline complicata e della
sceneggiatura a tratti verbosa, che siano le avventure di Sohei, il lavaggio
del cervello del primo Adolf e le conseguenze di ciò sul secondo. Ma queste tre
non sono delle categorie rigide: ognuna ha dei punti in comune con le altre, e
si mischia di continuo con generi narrativi che non le appartengono,
trasformando l'opera in qualcosa di totalmente differente rispetto a prima.
Solo una cosa rimane sempre la stessa: la qualità.
La trama è il principale punto di
forza di “Adolf”. In un'industria del manga dove moltissimi artisti, anche
celebri, non trovano nulla di male nell'ideare le sinossi di settimana in
settimana – spesso letteralmente – fa piacere trovarsi di fronte ad una storia
compatta, coerente con sé stessa, ed un autore che è evidente che sa quello che
sta facendo. Ogni singolo particolare, ogni singolo dettaglio è destinato ad
unirsi alla perfezione agli altri, come un puzzle, nella simmetria che soltanto
le opere di finzione hanno.
E' naturale chi ne beneficia di più: i personaggi. I tre
protagonisti, tutti ottimamente caratterizzati, hanno gli stessi scopi: vivere una vita normale, e perseguire il
proprio ideale di giustizia. E' come pensano di realizzarli, però, che li
rende diversi, e scatena un inutile quanto incessante conflitto. Sohei vorrebbe
rendere noti al mondo i documenti: per fermare Hitler una volta per tutte,
ovviamente. Ma c'è una seconda motivazione, più egoista: rendere giustizia al fratello, e forse anche vendicarsi delle torture
subite.
Kamil si sente quasi più giapponese che tedesco: sente sulla
propria pelle le persecuzioni razziali, non solo perché le prova ogni giorno di
persona, ma perché conosce le drammatiche storie dei suoi genitori e dei pochi
sopravvissuti. Sa che il Terzo Reich si fonda su ideologie assurde, rese ancora
più assurde da quello che raccontano i sopraccitati documenti.
Kaufmann, dei tre probabilmente
quello con l'introspezione psicologica migliore, è dilaniato dal dubbio. Il
“Mein Kampf” - che tratta quasi come se fosse un testo religioso - dice che gli
ebrei sono tutti parassiti che meritano di essere sterminati: anche il suo
amico Adolf, quindi, ed Elisa, ragazza di cui è innamorato nonostante le sue
discendenze? A proposito poi di Hitler, come
possono coesistere nella stessa persona il leader carismatico e l'uomo sempre
sull'orlo di un attacco di nervi?
Come al solito nelle opere di
Tezuka, però, anche gli altri personaggi
hanno un ottimo livello di introspezione psicologica: e a sorpresa chi
lascia di più il segno sono i personaggi femminili. La sopraccitata Elisa, ad
esempio, oppure la signora Kaufmann, il cui rapporto con il marito è
scandagliato in maniera impietosa, per non parlare della giovane Mieko,
infatuata di Sohei un po' per il suo passato pericoloso, un po' perché è
l'unica figura paterna che le è rimasta.
La recensione si sta avvicinando
alla fine, ma prima occorre una precisazione. Sappiamo tutti il ruolo del
Giappone nella Seconda Guerra Mondiale, e non vorrei mai che qualcuno pensasse
a questo manga come propagandistico o, peggio ancora, revisionista. Niente di
tutto questo, anzi. E' un'opera
estremamente contraria alla guerra, che non fa altro che scatenare una catena di
morte e disperazione. Viene inoltre ampiamente descritto il clima di
nazionalismo estremo in Giappone prima e durante il conflitto, dalla
celebrazione di eventi inesistenti che mettono in luce le “radici ariane” del
Sol Levante, alle canzoncine patriottiche che si diffondono a profusione. Da
non sottovalutare poi il fatto che Tezuka ha visto di persona quell'epoca,
quindi sa di che cosa parla.
Del tratto del mangaka ho già
parlato. In breve, si gioca su una curiosa contrapposizione: i personaggi, dalle figure estremamente
semplici, e i paesaggi, al contrario dettagliatissimi. Tezuka ne era
perfettamente a conoscenza, a tal punto da usare la sua scarsezza nel fare
fisionomie differenti per creare lo Star System, una gerarchia di personaggi da
usare come attori da reinventare e riproporre in vari ruoli e professioni.
Ingegnoso, vero?
Parlando de “La storia dei tre
Adolf” in sé, si può notare un miglioramento tecnico rispetto alle altre opere.
I personaggi sono meno stilizzati –
a parte Hitler, per sottolinearne i modi troppo enfatici - e dai lineamenti più
curati, sopratutto le donne. Viene però mantenuta una delle caratteristiche più
fortunate di questo stile: la fonte impronta cinematografica, che ne ha fatto
la fortuna. E a ragione.
… E per oggi è tutto, cari amici.
Arriverci alla prossima settimana, con il Tempio degli Otaku. E se fossi in voi
io la seguirei la pagina Facebook... E' meglio per tutti. Soprattutto per voi.
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