venerdì 5 ottobre 2012

Il tempio degli Otaku #75 “La storia dei tre Adolf”


A cura di Surymae Rossweisse


Salve a tutti, e benvenuti ad una nuova puntata de “Il tempio degli Otaku”. Per prima cosa: da qualche giorno ilTempio ha la propria pagina Facebook! Eh sì, anche noi ci mettiamo al passo con i tempi. Le idee non mancano, ma questo lo scoprirete se ci seguirete.
Okay, lo spazio pubblicitario è finito; è ora di parlare del manga di questa settimana. Oggi torniamo a parlare di una vecchia conoscenza: un mangaka famosissimo, che ancora oggi viene chiamato il Dio dei Manga. Reputazione assolutamente meritata, vista la prolificità, l'eclettismo e, ultimo ma non ultimo, la grande qualità dei suoi lavori. La serie di oggi è stata fatta nell'ultima fase della sua carriera, e tratta di un argomento su cui è stato già detto tutto ed il contrario di tutto: la Seconda Guerra Mondiale.
Tremo un po' a continuare questa introduzione, perché rischio di inondarvi di aggettivi e insomma... questo è soltanto il paragrafo iniziale, mica tutta la recensione! Per quella leggete più sotto; e magari, date un'occhiata anche a “La storia dei tre Adolf” di Osamu Tezuka. Buona lettura!

Come si evince dal titolo, la storia si incentra sulle vite di tre uomini chiamati Adolf dal 1936 in poi. Il primo è un uomo politico responsabile di uno dei più efferati genocidi della storia: Adolf Hitler. In quel di Berlino girano dei documenti che attesterebbero una teoria scioccante: le origini ebraiche del Führer. Il suo possessore originario, Isao Toge, viene per questo ucciso, ma non prima che la verità – ed i documenti – vengano a conoscenza di suo fratello, il giornalista Sohei.
Nel tentativo di sfuggire ai nazisti e alle loro efficienti torture, quest'ultimo si rifugia in Giappone. Qui vivono due bambini chiamati Adolf: Adolf Kaufmann, la cui madre è giapponese ed il padre è un tedesco con diversi scheletri nell'armadio, e Adolf Kamil, figlio di ebrei. I due stringono rapidamente amicizia, anche per contrastare le prese in giro dei loro coetanei, ma le loro famiglie non sono dello stesso avviso. Soprattutto Kaufmann, che ha in mente di mandare il bambino in Germania ad addestrarsi per diventare SS. Nonostante la strenua opposizione di Adolf, il piano funziona, anche troppo.
Mentre quest'ultimo rimane sempre più invischiato nell'ideologia nazista, soffocando i propri dubbi, Kamil cerca di vivere in un Giappone eccessivamente nazionalista e Sohei continua a custodire il segreto dietro agli importantissimi documenti, gli anni passano, facendo incontrare e separare queste vite all'apparenza così diverse.

Non è facile classificare in una categoria predefinita “La storia dei tre Adolf”. In generale è un seinen, su questo non ci sono dubbi, ma sono i dettagli che mettono in difficoltà. Le tre sottotrame che si intrecciano non potrebbero essere più diverse fra loro: quella di Sohei è improntata sulle vicende spionistiche, quella di Kaufmann è più prettamente storica, e Kamil è “slice of life”, ossia incentrata più sulla quotidianità.
Qualsiasi lettore troverà pane per i propri denti, qualcosa di più forte della timeline complicata e della sceneggiatura a tratti verbosa, che siano le avventure di Sohei, il lavaggio del cervello del primo Adolf e le conseguenze di ciò sul secondo. Ma queste tre non sono delle categorie rigide: ognuna ha dei punti in comune con le altre, e si mischia di continuo con generi narrativi che non le appartengono, trasformando l'opera in qualcosa di totalmente differente rispetto a prima. Solo una cosa rimane sempre la stessa: la qualità.
La trama è il principale punto di forza di “Adolf”. In un'industria del manga dove moltissimi artisti, anche celebri, non trovano nulla di male nell'ideare le sinossi di settimana in settimana – spesso letteralmente – fa piacere trovarsi di fronte ad una storia compatta, coerente con sé stessa, ed un autore che è evidente che sa quello che sta facendo. Ogni singolo particolare, ogni singolo dettaglio è destinato ad unirsi alla perfezione agli altri, come un puzzle, nella simmetria che soltanto le opere di finzione hanno.
E' naturale chi ne beneficia di più: i personaggi. I tre protagonisti, tutti ottimamente caratterizzati, hanno gli stessi scopi: vivere una vita normale, e perseguire il proprio ideale di giustizia. E' come pensano di realizzarli, però, che li rende diversi, e scatena un inutile quanto incessante conflitto. Sohei vorrebbe rendere noti al mondo i documenti: per fermare Hitler una volta per tutte, ovviamente. Ma c'è una seconda motivazione, più egoista: rendere giustizia al fratello, e forse anche vendicarsi delle torture subite.
Kamil si sente quasi più giapponese che tedesco: sente sulla propria pelle le persecuzioni razziali, non solo perché le prova ogni giorno di persona, ma perché conosce le drammatiche storie dei suoi genitori e dei pochi sopravvissuti. Sa che il Terzo Reich si fonda su ideologie assurde, rese ancora più assurde da quello che raccontano i sopraccitati documenti.
Kaufmann, dei tre probabilmente quello con l'introspezione psicologica migliore, è dilaniato dal dubbio. Il “Mein Kampf” - che tratta quasi come se fosse un testo religioso - dice che gli ebrei sono tutti parassiti che meritano di essere sterminati: anche il suo amico Adolf, quindi, ed Elisa, ragazza di cui è innamorato nonostante le sue discendenze? A proposito poi di Hitler, come possono coesistere nella stessa persona il leader carismatico e l'uomo sempre sull'orlo di un attacco di nervi?
Come al solito nelle opere di Tezuka, però, anche gli altri personaggi hanno un ottimo livello di introspezione psicologica: e a sorpresa chi lascia di più il segno sono i personaggi femminili. La sopraccitata Elisa, ad esempio, oppure la signora Kaufmann, il cui rapporto con il marito è scandagliato in maniera impietosa, per non parlare della giovane Mieko, infatuata di Sohei un po' per il suo passato pericoloso, un po' perché è l'unica figura paterna che le è rimasta.
La recensione si sta avvicinando alla fine, ma prima occorre una precisazione. Sappiamo tutti il ruolo del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale, e non vorrei mai che qualcuno pensasse a questo manga come propagandistico o, peggio ancora, revisionista. Niente di tutto questo, anzi. E' un'opera estremamente contraria alla guerra, che non fa altro che scatenare una catena di morte e disperazione. Viene inoltre ampiamente descritto il clima di nazionalismo estremo in Giappone prima e durante il conflitto, dalla celebrazione di eventi inesistenti che mettono in luce le “radici ariane” del Sol Levante, alle canzoncine patriottiche che si diffondono a profusione. Da non sottovalutare poi il fatto che Tezuka ha visto di persona quell'epoca, quindi sa di che cosa parla.

Del tratto del mangaka ho già parlato. In breve, si gioca su una curiosa contrapposizione: i personaggi, dalle figure estremamente semplici, e i paesaggi, al contrario dettagliatissimi. Tezuka ne era perfettamente a conoscenza, a tal punto da usare la sua scarsezza nel fare fisionomie differenti per creare lo Star System, una gerarchia di personaggi da usare come attori da reinventare e riproporre in vari ruoli e professioni. Ingegnoso, vero? 
Parlando de “La storia dei tre Adolf” in sé, si può notare un miglioramento tecnico rispetto alle altre opere. I personaggi sono meno stilizzati – a parte Hitler, per sottolinearne i modi troppo enfatici - e dai lineamenti più curati, sopratutto le donne. Viene però mantenuta una delle caratteristiche più fortunate di questo stile: la fonte impronta cinematografica, che ne ha fatto la fortuna. E a ragione.

… E per oggi è tutto, cari amici. Arriverci alla prossima settimana, con il Tempio degli Otaku. E se fossi in voi io la seguirei la pagina Facebook... E' meglio per tutti. Soprattutto per voi.

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