martedì 9 ottobre 2012

"Abolite la Legge Levi". Ma l'editoria indipendente dice no




7,3% in meno è la percentuale di libri venduti rispetto al 2011, prima delle Legge Levi. L'anno che sta per concludersi ci conferma che, a distanza di quindici mesi, la legge promulgata a favore della piccola editoria per livellare gli sconti e garantire il libero mercato si è rivelata una tenaglia non solo per i lettori in difficoltà, costretti a comprare di meno o addirittura non comprare, ma anche per le case editrici ed i loro incassi.
Quanto abbia giovato ai piccoli editori la legge non ci è dato saperlo: certo è, comunque, che gli italiani leggono sempre meno, che gli e-book stanno tentando di soppiantare i libri cartacei (grazie anche alla pirateria virtuale che permette di leggerne gratis comodamente sul proprio e-reader) e che ad imperversare tra i best sellers non sono certo i libri dei piccoli editori, ma i casi editoriali importati dall'estero o comunque pubblicati dai maggiori gruppi editoriali.
Quanto è stata resa dunque democratica la concorrenza tra grandi e piccoli editori? Noi pensiamo nulla: semmai la Legge Levi rassomiglia ad un palliativo, uno specchietto per le allodole per illudere i piccoli editori su una uguaglianza che non esiste e forse non esisterà mai.
Eppure loro ci credono ancora in questa uguaglianza, che vuole andare a discapito del consumatore-lettore e che ucciderà definitivamente il mercato del libro anziché favorirlo (perché non bisogna essere dei piccoli geni per capire che , in un momento di crisi, l'individuo comune non pensa certo a fare un favore all'editoria ma a come salvaguardare il proprio portafogli) facendo sempre maggiore spazio all'avanzata degli ebook scaricati illegalmente.

E' di pochi giorni fa, infatti, la notizia che L'autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha proposto l'abrogazione della Legge Levi motivandola con la seguente:


L’Autorità ritiene che la previsione di tetti massimi agli sconti sul prezzo dei libri possa limitare la libertà di concorrenza dei rivenditori finali, senza produrre sostanziali benefici per i consumatori in termini di servizi offerti o di ampliamento del numero di libri immessi sul mercato. Un sistema di imposizione di tetti agli sconti sui prezzi di rivendita rischia infatti di tradursi in un aumento dei prezzi dei prodotti editoriali che, in un contesto di grave crisi economica quale quello attuale, non può che comportare una riduzione delle quantità vendute, almeno per quella consistente fascia di lettori i cui acquisti sono influenzati dal prezzo. Tale sistema può inoltre consolidare l’esistenza di strutture distributive inefficienti.

Una rappresentanza di editori indipendenti, tra cui spiccano Minimum Fax, Marcos Y Marcos, Neri Pozza, Mesogea, Sellerio, Iperborea, Voland, Il Saggiatore e Nottetempo, non ha esitato a rispondere in senso contrario, rivolgendosi all'Antitrust citando l'abbassamento del prezzo dei libri a cui avrebbe contribuito la Legge Levi (e che avrebbe addirittura contenuto la recessione del mercato librario). Peccato che alcune case editrici come la TimeCrime, inizialmente nate come economiche o per lo meno con un "occhio attento al prezzo di copertina", abbiano già cominciato ad aumentarli sensibilmente (in questo caso da 7.70 euro a ben 16.90 euro delle prossime uscite).
La lettera aperta pubblicata su La Repubblica, che potete leggere QUI, vuole dunque fermare questa proposta, aggrappandosi con tutte le proprie forze a questi sconti che hanno rovinato il libero mercato. Che siano un capro espiatorio per giustificare la propria incapacità di reagire al potere capitalistico dei gruppi editoriali sembra tristemente ovvio, la domanda che sorge è però per quale motivo debbano diventarne vittime le tasche dei lettori, l'ultimo indispensabile anello della catena editoriale, senza la quale non può sopravvivere. La cultura del libro, che nel nostro paese non esiste, si sta infognando sempre più in un circolo viziosamente fiscale in cui si perdono di vista le reali esigenze dei lettori. Domanda ancora più importante: la salvaguardia della bibliodiversità, legittima ed anzi fondamentale, non possiede davvero altri mezzi per tutelarsi che quelli di attaccarsi ostinatamente a leggi corrosive ed omicide, nella speranza di riguadagnare un mercato che, a causa delle difficoltà del Paese, sta contribuendo a far fallire?



6 commenti:

  1. Sarei proprio curiosa di vedere i numeri di vendita di questi editori prima e dopo la legge Levi. Io non credo proprio abbiano avuto incrementi di vendite significativi. Tanto siamo sempre lì, gli editori indipendenti li comprano i lettori forti, non certo i lettori occasionali e di bestseller, e se i lettori forti devono risparmiare per comprare Einaudi figuriamoci quanto ne resta per loro.
    Secondo me non c'è nessuna differenza tra prima e dopo la legge Levi, ma non credo lo ammetteranno mai.

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  2. Il problema secondo me è che non si rendono conto che pur di avere l'illusione delle "pari opportunità" con i grandi editori (che è ovvio che non ci sono, semplicemente perché non hanno gli stessi mezzi economici!) chiudono gli occhi davanti alle difficoltà che loro stessi stanno creando

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  3. Ma le pari opportunità non ci saranno mai se non trovano il modo di reinventarsi, di proporsi in modo diverso dai grandi gruppi editoriali.
    Stavo leggendo la lettera e mi fa veramente sorridere leggere che la Legge Levi abbia contribuito ad abbassare il prezzo del libro. Ma dove? Gli unici che hanno abbassato i prezzi sono gli stessi gruppi editoriali che loro criticano tanto, che hanno cacciato collane economiche, con cui pubblicare, spesso e volentieri, libri orrendi e che non fanno che portare soldi ai grandi colossi, gli hanno fatto praticamente un piacere! Non mi sembra di aver visto Minimum Fax abbassare i prezzi, o Voland o Iperborea.

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  4. Se c'è una cosa che ho imparato è che le leggi economiche trovano un riscontro nella realtà: se il prezzo è troppo alto la domanda non può che diminuire, causando un ulteriore aumento dei prezzi. Con questa legge è successa esattamente la stessa cosa: con uno sconto limitato ad un massimo del 15% il lettore (e mi riferisco al vero lettore) non può far altro che smettere di acquistare tanti libri quanti quelli acquistati precedentemente. Questo a cosa porta? L'aumento dei prezzi da parte delle case editrici che vedono diminuire il loro fatturato a causa del calo delle vendite e che devono in un qualche modo cercare di recuperare parte delle entrate che ci sono state. E non possono nemmeno dire che sono le piccole librerie, o le librerie indipendenti, ad avvantaggiarsene perchè comunque non applicano lo sconto del 15% su tutta la merce, cosa che invece fanno i grandi rivenditori.
    Una cosa è certa, la legge Levi ha danneggiato tutti, lettori, case editrici, librerie e grandi rivenditori e non ha alcun senso farla rimanere in vigore!

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  5. Ha senso per i piccoli editori. Il motivo mi è sconosciuto. Vogliono illudersi di essere tutelati

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  6. L'Antitrust è lungimirante, così come le associazioni dei Consumatori. Il libro sta diventando sempre più un bene di lusso, visti i prezzi che ormai siamo abituati a vedere e come anche le edizioni, nate come economiche, si sono dovute adeguare. Questa legge non ha mai avuto senso, a meno che non si attivasse una equa regolamentazione che non vada a ledere i guadagni delle piccole librerie che, mi dispiace, non credo comunque possano competere con i bilanci dei grandi rivenditori, e induca i lettori a continuare ad acquistare libri. Il tutto invece di avviare campagne per la sensibilizzazione alla lettura. La gente non inizia a leggere di certo perché vede uno spot in tv... o siamo arrivati a questo?

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