A cura di Surymae Rossweisse
Salve a tutti, e benvenuti ad
un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Oggi parliamo di una mosca bianca nell'industria dei manga; di un disegnatore e sceneggiatore prolifico, ma
sempre capace di reinventarsi e mettere la sua arte al servizio di nuovi generi
narrativi. La sua indiscutibile bravura gli ha consentito, negli anni, di
forzare il suo ambiente di nicchia, fino a diventare quasi “mainstream”... nel
senso positivo nel termine, però.
Ed è proprio quest'opera una
delle decisive, tra le prime che vengono ricordate nella sua produzione. Vi
chiederete che razza di trama incredibile debba avere per essere così famosa,
ed io vi rispondo che... parla principalmente di animali domestici. Davvero. Ma
bando ai termini entusiastici, e lasciamo la parola alle quattro storie di
“Allevare un cane e altri racconti” di Jirō Taniguchi.
Buona lettura!
Il primo racconto è quello che dà
il titolo alla raccolta, “Allevare un cane”. Sempre a proposito di titoli,
però, questo è piuttosto fuorviante, perché l'argomento principale è molto più
triste. Ispirato neanche troppo alla lontana dall'esperienza dell'autore, parla
dell'ultimo anno di vita di un cane, Tam, e della sua graduale morte per
vecchiaia.
Per chiunque abbia un
qualsivoglia animale domestico, e purtroppo abbia sperimentato la morte di
qualcuno di loro, vi avverto: non sarà una lettura facile. E' straziante vedere
il contrasto tra il cucciolo vitale che ha rivoluzionato la vita della sua
famiglia (due coniugi senza figli) ed il vecchio che cerca di lottare contro un
destino già scritto.
Il racconto riesce a commuovere
senza bisogno di grandi patetismi, ma solo con la forza della sua
verosimiglianza, sia per quanto riguarda il cane che per i suoi padroni, divisi
tra il non voler fare soffrire Tam ed il non saper accettare l'idea che i suoi
giorni siano contati. L'introspezione psicologica è ad ottimi livelli, ma il
vero protagonista indiscusso rimane l'animale, in tutte le sue sfumature. Sarà
piuttosto difficile non commuoversi...
Il secondo racconto si chiama
“Vivere con un gatto” e parla di, beh... insomma, avrete capito. E' passato un
anno dalla morte di Tam, e per i nostri coniugi è ancora difficile accettarla.
Ignara di tutto ciò arriva una vicina di casa che gestisce un centro per
animali abbandonati, ed insiste nel fargli prendere una gatta. Dopo varie
rimostranze – più da parte di lui che di lei, a dire la verità – i nostri
accettano, e dopo un periodo di transizione si ritrovano più affezionati che
mai alla micia. O forse dovrei dire mici, perché Boro (questo è il suo nome) è
incinta... Ma questo viene approfondito di più nel capitolo successivo, “La
vista sul giardino”,
Forse è perché nella secolare
lotta tra cane e gatti io sono sempre stata dalla parte di questi ultimi, o più
semplicemente perché l'argomento trattato è più allegro, ma “Vivere con un
gatto” è più semplice da leggere di “Allevare un cane”. Anche qui l'animale di
turno è decisamente realistico: ad esempio, la diffidenza tipica di un gatto
che è stato abbandonato è resa alla perfezione, così come la fastidiosissima
abitudine di svegliare i proprietari la mattina a forza di miagolii.
Per quanto riguarda i coniugi,
anche loro sono trattati con la medesima cura, come del resto nell'altro
racconto. Qui, in particolare, viene messa in luce il loro abituarsi a
prendersi cura di un animale a cui mai avevano badato prima: anche loro sono
diffidenti quanto il gatto. In particolare lui: prima non la voleva nemmeno, e
la trovava anche bruttina, poi piano piano è quello che più si affeziona a lei.
“Le giornate in tre” è l'ultimo
capitolo della famiglia. In questo episodio al quadretto si aggiunge la loro
nipote, Akiko, scappata di casa per il secondo matrimonio della madre vedova.
Anche qui i coniugi dovranno abituarsi ad avere per casa qualcun altro, ed
adattare le loro giornate per tre.
Gli animali, pur rimanendo parte
integrante della famiglia, hanno un ruolo meno rilevante: questa volta a
condurre le redini sono gli umani. Qui emerge in maniera preponderante
l'introspezione psicologica di Taniguchi. A parte i coniugi, su cui ormai è
pleonastico parlare, a fare la differenza è Akiko: i suoi modi sono allegri e
spensierati come la ragazzina che è, ma quanto è naturale e quanto per non far
notare come sia ferita dalle sue dinamiche familiari? La fuga in casa degli zii
la farà crescere, anche perché troverà una grande passione, il baseball, che
l'aiuterà non poco ad integrarsi con le persone a cui tiene – anche il futuro
patrigno. Ma non è una storia seriosa, pur trattando anche di argomenti seri,
anzi...
“Terra promessa” si stacca
totalmente dalla famiglia degli altri racconti. Il protagonista è Okamoto, che
nonostante si sia appena sposato pratica l'alpinismo con fervore. Ma le
montagne sono infide, tanto più l'Himalaya: nel corso dell'arrampicata scoppia
una tempesta, con conseguenze fatali per un componente della spedizione. Lo
stesso Okamoto per poco non ci lascia le penne, portandolo alla decisione di
abbandonare le cime e dedicarsi alla sua famiglia.
Sei anni dopo, il nostro è un
realizzato genitore... però le montagne – ed il ricordo di chi ne è morto – è
ancora vivo in lui. Con il permesso della moglie, quindi, decide di provare a
seguire il suo sogno: scalare di nuovo l'Himalaya.
All'inizio può essere difficile
colmare la distanza tra questo e gli altri racconti, tutti collegati tra loro.
Con “Terra promessa”, invece, bisogna ricominciare tutto da capo: conoscere
nuovi protagonisti, anche non necessariamente umani. Faccio questa aggiunta
perché, come spesso capita nei racconti dell'autore, uno dei personaggi
principali è la natura, qui rappresentata dalle cime dell'Himalaya. L'alpinismo
viene descritto in termini commuoventi, soprattutto le sensazioni fortissime
che prova chi è arrivato alla vetta. L'amore di Okamoto per tutto questo
trascende il senso del dovere, l'età ormai avanzata, tutto, e questo ripaga per
il brutale stacco che produce nell'economia del volumetto. Ed anche per il
messaggio vagamente maschilista promosso dalla moglie del protagonista,
praticamente costretta a far realizzare al marito i propri sogni...
Che cosa si può dire del tratto
di Taniguchi che non sia già stato detto? Stile forse un po' limitato nelle
fisionomie facciali, ma riconoscibile al primo sguardo; senso delle proporzioni
impeccabili, così come l'uso dei retini e gli sfondi realistici ed accurati;
pagine a colori che non eccedono in toni sgargianti, ma anzi si limitano ad
evidenziare i punti di maggior rilievo. Da notare, poi, la disposizione delle
vignette: rettangolare, più europea che giapponese. Ciò non fa altro che
renderlo, ancora di più, uno degli autori più particolari e caratteristici di
tutto il panorama manga.
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