giovedì 24 gennaio 2013

Traduzioni letterarie: interview with... Cristina Volpi

A cura di Glo in Stockholm




Avete mai pensato a quanto sia importante la traduzione quando si legge un'opera straniera? Vi siete mai soffermati a pensare che il traduttore non si limita semplicemente a “volgere” il libro dalla lingua madre a quella di arrivo, ma che compie un vero e proprio lavoro di mediazione fra noi e l'autore e che alla sua sensibilità sono affidati la resa dello stile originale dell'autore? Se avete risposto di sì, i miei complimenti, fate parte di quella rosa (ahimè ristretta) di lettori che riconosce a una professione importante e affascinante il giusto ruolo... Peccato che in Italia, anche a giudicare dai dati a nostra disposizione rivelati dall'AIE (Associazione Italiana Editori), nel giro di 15 anni (dal 1997 al 2012) le traduzioni sono diminuite sensibilmente, passando dal 25% a meno del 20%, con pesanti ripercussioni di carattere culturale e di circolazione delle idee. E qual è la ragione di questo calo? Che la traduzione costa! Risibile, se si pensa che i traduttori non percepiscono certo onorari da capogiro.
Ospitiamo in questo articolo una bravissima traduttrice letteraria - che ho la fortuna di conoscere - che si è resa disponibile a rispondere ad alcune domande che spero possano fornire informazioni interessanti sul mondo della traduzione letteraria. Spero che emerga chiaramente quanto sia interessante la professione del traduttore, ma quanto sia anche difficile e sottovalutata, e che questo articolo contribuisca a smuovere un poco le opinioni dei lettori, che troppo spesso paiono dimenticarlo.





Interview with...

Cristina Volpi



Traduttrice dal francese e dall'inglese, Cristina Volpi collabora con case editrici del calibro di Sperling&Kupfer, Sonzogno, Bompiani e Piemme. Tra le sue traduzioni più recenti, ricordiamo Le cronache di Braveheart di Jack Whyte, Il giardino delle erbe proibite di Deborah Harkness, Sei una Jackie o una Marilyn? di Pamela Keogh, La piccola sarta di Kabul di Gayle Tzemach Lemmon, La notte degli innocenti di Kate Mosse.

D: Innanzitutto Cristina, potresti raccontare come è nata la tua passione per la traduzione, soprattutto per la traduzione letteraria?
R: La mia passione per la traduzione nasce inevitabilmente dalla passione per la lettura, per i libri e per il mondo dell’editoria, il cui fascino mi ha stregata sempre più fino a indurmi a desiderare di farne parte. La traduzione letteraria è un genere che, a mio parere, rispetto alla traduzione tecnica e specialistica, sa coinvolgere ed entusiasmare con più ardore, pur necessitando di ricerche e approfondimenti talvolta in grado di sfiorare il tecnicismo.

D: Secondo te, quali sono gli aspetti più coinvolgenti dell'attività del traduttore letterario?  Quali invece le difficoltà?
R: L’aspetto più coinvolgente di questa attività è senza dubbio la possibilità di calarsi nel testo e di esserne, oltre che primariamente ed esclusivamente lettore, anche “voce”. Allo stesso tempo la difficoltà è proprio trovare la tanto agognata voce narrante, capace di trasmettere al lettore del testo tradotto le emozioni e le sensazioni dell’originale, incappando nel minor numero possibile di tradimenti.

D: So che nel corso della tua attività, hai avuto modo anche di conoscere gli scrittori di cui traducevi le opere. Potresti raccontarci un episodio particolare?
R: Quando ho la possibilità di farlo, cerco sempre di contattare l’autore del testo che devo tradurre perché è sempre utile interrogarlo, scambiarsi opinioni o semplicemente cercare conferme. Oltre ai contatti virtuali, mi è capitato di conoscere personalmente l’israeliano Radu Mihaileanu, in primo luogo regista del noto film Train de vie e autore di Vai e Vivrai, testo da me tradotto e dal quale ha poi ideato il film omonimo uscito nel 2005. Ci siamo visti in occasione di una presentazione del libro in cui lo scrittore era intervistato da Moni Ovadia, il cui cognome peraltro – pessima ironia della sorte – risultava citato e storpiato nel testo italiano a causa di un refuso dovuto al correttore grammaticale automatico. Radu è stato felice di conoscere la sua voce italiana, come del resto tutti gli altri scrittori che ho avuto modo di contattare. Si sono mostrati per lo più disponibili a comprendere le difficoltà legate al passaggio da una lingua all’altra, cosa non sempre semplice per chi non ha la padronanza di entrambe. Altra autrice a me molto cara, che ha con mia grande sorpresa chiesto esplicitamente che fossi io a tradurre anche la sua seconda opera, è Isabel Losada, scrittrice londinese con la quale sono rimasta in contatto e con la quale è nata un’immediata simpatia personale, oltre che professionale.

D: Sono in molti a pensare erroneamente che un bravo traduttore debba essere praticamente bilingue mentre, in realtà, l'ottima conoscenza della lingua straniera è sì un requisito fondamentale, ma entrano in gioco anche altri fattori. Secondo te quali sono le doti di un buon traduttore letterario?
R: Parlando di lingue di lavoro, è necessario partire dal presupposto che un’ottima conoscenza della lingua straniera di partenza è fondamentale, ma mai quanto è d’obbligo una perfetta e impeccabile padronanza lessicale e grammaticale della lingua d’arrivo, in genere la propria lingua madre. Ecco dunque la prima sostanziale dote di un buon traduttore letterario: conoscere, amare e sapere plasmare la propria lingua con brio e passione. Imprescindibile poi è la capacità di acuire i sensi per entrare in sintonia con il testo: bisogna riuscire a sentire voci, suoni, odori, sapori; essere in grado di notare colori e sfumature, oltre che di dare libero corso all’intuito e alla sensibilità. Mi piace partire da doti di cuore come quelle citate, ma naturalmente mai dare per scontate una buona preparazione teorica (la teoria della traduzione è una scienza giovane ed emergente ma ormai ben affermata), lo studio continuo della lingua (straniera e non), la pratica dell’attività traduttiva e l’attenzione maniacale alla revisione del proprio lavoro.

D: Che cosa consiglieresti a un/a giovane che vorrebbe intraprendere questa professione?
R: Consiglio senza dubbio di frequentare una scuola di traduzione in cui, in genere, i docenti sono traduttori professionisti che vivono il mondo della traduzione in prima persona, dettaglio non da poco. L’improvvisazione nel mondo della traduzione la fa spesso da padrona, ma di certo non paga. Consiglio inoltre di capire se è davvero l’attività adatta a se stessi: tradurre comporta ore di ricerche a cui appassionarsi, ore di lavoro solitario a cui dedicarsi con la mente e con il cuore e ore di revisione che – se non avessimo scadenze da rispettare – diventerebbero infinite. Se tutto ciò non risulta allettante, è poco probabile che quella del traduttore sia la professione ideale. Solo con una motivazione forte si hanno risultati apprezzabili e soprattutto solo con la passione la traduzione prende vita e il libro nasce una seconda volta.

D: Hai parlato di formazione presso serie scuole di traduzione... quindi, “vade retro” a tutte quelle sedicenti società che promettono di entrare nel mondo della traduzione editoriale, ma nel contempo chiedono di frequentare costosi corsi come condizione necessaria per entrare nella loro banca dati. Quanto è diffuso secondo te questo fenomeno? Conosci qualche traduttore letterario che è incappato in questo genere di situazioni? 
R: Per tradurre letteratura è necessario avere coscienza di presupposti legati a un’analisi testuale approfondita e a tecniche diversificate anche secondo la combinazione linguistica di lavoro che si adotta. Tutto ciò non può e non deve essere improvvisato né, a maggior ragione, travisato da chi non è né esperto né cultore della materia. Ho sentito parlare di corsi da frequentare alle spese dei poveri candidati per posizioni lavorative che non si concretizzeranno mai: non conosco traduttori che siano incappati in situazioni simili, ma posso garantire che circostanze del genere non costituiscono un approccio serio all’attività della traduzione. Per collaborare con una casa editrice è necessaria la costanza e la pazienza di cercare contatti personali con gli editor di narrativa straniera o con i responsabili delle traduzioni, chiedendo di essere sottoposti a una prova di traduzione. Personalmente ho insistito per ottenere una collaborazione per più di un anno e mezzo, a suon di prove di traduzione, e – per fortuna mia o per sfinimento loro – alla fine la collaborazione è nata e ha dato frutto.

D: Parlando dei guadagni... quanto viene mediamente pagato un traduttore letterario? La tariffa viene influenzata da fattori quali la combinazione linguistica?
R: Un traduttore letterario viene pagato a cartella o a forfait. Si conta una cartella letteraria ogni 2000 battute spazi inclusi e la retribuzione di un traduttore – con grandi capacità ma fama medio-bassa – varia da 7-8 euro a 13-15 euro a cartella. Con le traduzioni pagate a forfait – in genere libri di grossa taglia – si guadagna ancor meno. La tariffa viene senz’altro influenzata dalla combinazione linguistica, vale a dire concretamente dalla difficoltà a reperire un traduttore bravo che traduca da lingue meno ovvie; viene influenzata anche dall’andamento del mercato librario e dalla politica interna della singola casa editrice.

D: Quindi, Cristina, ci pare di capire che il lavoro del traduttore letterario è sì molto affascinante, ma certamente non facile né molto considerato purtroppo. Da professionista, non credi si tratti di un ruolo sottovalutato? Penso per esempio, alla mancanza di un ordine professionale, ma non solo... eppure una buona traduzione è un elemento fondamentale per il successo del libro. Che cosa ne pensi a proposito?
R: A questo proposito mi permetto di raccontare un aneddoto che mi è successo nel 2005, quando ho cominciato a tradurre. Mi ero rivolta a un commercialista per capire quali fossero i passi da compiere dal punto di vista fiscale per svolgere un’attività simile, non esistendo – come dici giustamente tu – un albo dei traduttori ufficiale. La persona con cui ho parlato, non avendo nemmeno ben chiaro quale fosse il mio lavoro, mi ha salutata con questa frase che credo non dimenticherò mai: “Per ora procediamo così e speriamo sia giusto. Poi quando troverà un lavoro vero ne riparleremo”. Un non-lavoro: ecco come viene considerata la traduzione, letteraria in special modo. Attualmente esistono alcune associazioni di traduttori professionisti che danno sostegno di ogni tipo a chiunque si accinga a svolgere la professione ma, naturalmente, trovo scandaloso che sia un’attività poco riconosciuta e ignorata.

D: Se non sbaglio, spesso all'estero il nome del traduttore appare in copertina, mentre in Italia quasi si rischia di non essere nominati... fatto per me molto increscioso. Pensi che ci potrà essere un cambio di atteggiamento nel nostro mercato editoriale oppure siamo ancora lontani dall'allinearci?
R: La comparsa del nome del traduttore è una questione alquanto spinosa. Il contratto che firmiamo specifica che il nostro nome comparirà sull’opera tradotta ma, naturalmente, non specifica dove. Quindi è vero che talvolta la ricerca diventa complicata. Poche case editrici riportano il nome del traduttore ben visibile sotto il titolo interno del libro, mentre la maggior parte lo inserisce tra le annotazioni redazionali, trasformandolo così in un’informazione tra le tante e persino difficile da reperire. Non so dire da cosa dipenda l’atteggiamento italiano – storico, ahimè – nei confronti della traduzione, ma posso dire per certo che molti lettori non si rendono affatto conto di ritrovarsi tra le mani un libro tradotto e, seppur di fronte a un autore straniero, non si pongono il problema. Mi chiedo, a questo punto, se l’idea dell’importanza della traduzione potrà mai passare in primo piano.

Ringrazio Cristina per la sua disponibilità e per la chiarezza con cui ha esposto i suoi punti di vista, rinnovandole l'invito a venirci a trovare sul blog, e perché no, a intervenire ogni tanto per fornire preziosi consigli di lettura!
Vi informo inoltre che la situazione della traduzione letteraria è stata oggetto anche di una puntata della trasmissione Fahrenheit di Radio 3, a cui hanno partecipato traduttori del calibro di Yasmina Melaouah e Ilide Carmignani. Potete accedervi cliccando qui.
E mi raccomando, la prossima volta che leggete una traduzione, cercate il nome del traduttore!!

1 commento:

  1. Fantastica questa intervista, grazie mille!
    Io aspiro a diventare una traduttrice, e sto sviluppando di conseguenza il mio percorso universitario. Sono comunque cosciente delle difficoltà che ci saranno in futuro ma, in fondo, in questo momento non c'è nulla di facile in campo lavorativo :)

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