Non
sono una grande fan di Matrix, pur
avendo visto la trilogia e gli annessi cortometraggi di Animatrix. Eppure, ho apprezzato il visionario e distopico V per Vendetta, del quale i fratelli Wachowski hanno curato la
sceneggiatura. Quest’anno i due sono tornati al cinema da co-registi insieme a Tom Tykwer (regista del film Il profumo: storia di un assassino
tratto dal romanzo Il profumo di
Patrick Süskind) per presentare un film approdato nelle sale italiane il 10
Gennaio 2013: si tratta di Cloud Atlas, il cui soggetto è tratto dal romanzo
fantascientifico L’atlante delle nuvole di David Mitchell (edito in Italia da
Frassinelli).
Premetto
che non ho letto il libro ma che ho intenzione di leggerlo, questa dunque non
sarà una recensione che verterà sulle differenze tra pellicola e romanzo, bensì
un’analisi obiettiva della trama e dei contenuti del film, tentando di darne
una valutazione del tutto imparziale.
Il
film inizia col monologo di un vecchio, il cui abbigliamento sembra quello di
un uomo primitivo, ma in realtà si tratta di un sopravvissuto ad uno scenario
apocalittico, con un’orazione alla notte, che funge da prologo agli episodi che
vedremo successivamente, sei racconti diversi, di persone diverse, il cui
destino, in qualche modo, è connesso.
La
prima storia in ordine di tempo è quella dell’avvocato Adam Ewing (Jim
Sturgess) e del suo viaggio nel pacifico nel 1839, intrapreso per ottenere un
contratto che riguarda la tratta degli schiavi. Durante tale viaggio per mare,
Adam si trova a nascondere un clandestino nero, Autua (David Gyasi) e, avendo
contratto il verme polinesiano, viene curato dallo strano dottor Goose (Tom
Hanks). Adam farà in modo che il Capitano della nave accetti Autua nella sua ciurma,
ma nel frattempo si troverà a fare i conti con la sua malattia e, temendo di
non riuscire a fare ritorno a casa, scrive le sue memorie su un diario.
La
seconda storia è quella di Robert Frobisher (Ben Whishaw), squattrinato
musicista, che nel 1936 si trova a lavorare come copista per il compositore
Vyvyan Ayris (Jim Broadbent), non più in grado di suonare da se il pianoforte.
Durante il suo soggiorno nella casa di Vyvyan, Robert compone una sua opera,
“L’atlante delle nuvole”, e racconta attraverso le sue lettere all’amante Rufus
Sixsmith (James D'Arcy) la difficoltà del rapporto con il compositore più
anziano e la relazione sessuale con la moglie di lui.
Nel
terzo episodio, incontriamo nuovamente Rufus Sixsmith, ormai anziano, disposto
a consegnare alla giornalista Luisa Rey (Halle Berry) informazioni
confidenziali riguardo la dubbia sicurezza di una centrale nucleare. Ma
Sixsmith viene ucciso prima di poter consegnare dei resoconti alla donna, che si
appropria solo delle lettere che Robert Frobisher aveva inviato a Sixsmith,
scoprendo l’esistenza del “Cloud Atlas Sextet”, uno dei pochi dischi rimasti
dell’unica composizione di Robert. Ovviamente il proprietario della centrale
nucleare (interpretato da Hugh Grant) scopre ben presto che Louisa è in
possesso di questi files top-secret e che uno scienziato, assunto al posto di
Sixsmith, le sta dando una mano; invia così un suo sicario (Hugo Weaving, il
celebre Agente Smith di Matrix, re
Elrond ne Il signore degli anelli e V
in V per Vendetta) per uccidere
Louisa.
Ci
spostiamo poi dal 1972 al 2012 nel quale l'editore Timothy Cavendish (Jim
Broadbent), si trova costretto a pagare una cifra spropositata ad uno
scrittore, il cui successo deriva dal fatto di aver ucciso un uomo, e per
questo chiede aiuto al fratello più anziano (Hugh Grant) che, rancoroso nei
suoi confronti perché ha avuto una storia con la moglie, lo fa rinchiudere in
una casa di riposo per anziani, dalla quale non sembra esserci via d’uscita. Ma
Timothy potrà contare su tre simpatici vecchietti per tentare la fuga.
Si
passa poi alla Neo Seoul del 2144, città tecnologica ricostruita dopo la grande
inondazione che ha spazzato via la città vecchia. La protagonista è Sonmi~451
(Bae Doona) un’artificio (ossia un clone), che lavora in una “mangiatoria” e
vive la sua vita come se fosse un automa, finché non conosce il ribelle Hae-Joo
Chang (Jim Sturgess) che la aiuta ad evadere dal posto in cui vive, vedendo in
lei un essere pensante destinato a guidare la rivolta contro lo stato. Somni si
innamora di Hae e lo aiuta a portare avanti i suoi ideali, trasmettendo un
messaggio di speranza per tutti gli esseri esistenti sulla terra.
L’ultimo
episodio, invece, è ambientato più avanti nel tempo, in un mondo in cui l’uomo
vive nuovamente a contatto con la natura. È la storia di Zachry, uomo che vive
tormentato dalla visione di un diavolo e dal rimorso per non aver salvato un
amico e suo figlio (in realtà credo sia suo fratello, ma nel film non è chiaro
il legame). Il suo popolo è composto da pacifici contadini costretti a difendersi
dai temibili guerrieri della tribù di Kona. La gente di Zachry professa il
culto della dea Sonmi, guidata da una sacerdotessa. Gli equilibri della tribù
verranno un po’ sconvolti dall’arrivo di Meronym (Halle Berry), membro dei
"Prescenti", ultimi sopravvissuti di una civiltà tecnologicamente
avanzata, che salva la vita della nipote di Zachry, che per gratitudine accetta
di scortarla sul monte Mauna Kea, un luogo che la sua gente teme in quanto si
vocifera che sia la dimora del diavolo.
Le
storie vengono raccontate in modo intrecciato, quasi parallelo, susseguendosi e
a volte sovrapponendosi, come se fossero poste su un unico filo conduttore che
non è rappresentato da tempo e spazio, ma dai destini dei vari personaggi che
si combinano di volta in volta. C’è sempre un qualcosa che connette la vicenda
temporalmente precedente a quella immediatamente successiva, che sia la
sinfonia di Frobisher, o la storia di Cavendish che arriva a Somni sotto forma
di film. Tutto è legato anche da una voglia a forma di stella cometa, che
lascia pensare che i vari personaggi che abbiamo visto si siano di volta in
volta rincarnati in un essere nuovo. Ogni episodio ha un preciso tema di
matrice sociologica alla base: si parla in sequenza di discriminazioni razziali,
discriminazioni omofobe, complotti riguardo il nucleare, rispetto per la terza
età, regimi totalitari che ricordano la Germania di Hitler e infine l’organizzazione
religiosa della società. Sono tutte tematiche che rimandano a problemi vivi nella nostra
società, per i quali la pellicola offre una sola soluzione: solo chi lotta per
il bene non perdendo mai la speranza potrà dirsi soddisfatto di ciò che ha
compiuto l’uomo. Il tutto è riassumibile attraverso una frase del discorso di
Sonmi:
“La nostra vita non ci
appartiene. Dal grembo materno alla tomba, siamo legati agli altri. Passati e
presenti. E da ogni crimine, e da ogni gentilezza, generiamo il nostro futuro”
I
personaggi sono molto affascinanti e veritieri, l’unica cosa che ho trovato un
po’ difficile è stata star dietro alle parole di Zachry, il cui linguaggio
molto essenziale credo sia stato comunque ben tradotto in italiano (anche se
sono curiosa di rivederlo in inglese). Inoltre devo dire che ho trovato
favoloso il trucco di scena, che ha reso praticamente irriconoscibili alcuni
ruoli interpretati ad esempio da Halle Berry e Jim Sturgess. Ho trovato
confortante che, alla fine della pellicola, venissero mostrate le varie “maschere”
indossate dagli attori. In questa pellicola si è davvero puntato alla capacità
di interpretazione dell’attore, quella di poter mostrare multiple identità
senza confonderle.
Passiamo
agli aspetti più tecnici: le scenografie e le ambientazioni. Sono rimasta
piacevolmente affascinata dal modo in cui sono state rese le varie epoche
storiche e, se vogliamo essere davvero pignoli, l’unica vera sfida era quella
di dare una visione il più possibile realistica del futuro. Neo Seoul è
perfettamente concepita, non sembra di essere in un videogioco come accadeva in
Matrix, non si ha la perenne sensazione che i personaggi siano davanti ad uno
telo verde nel quale sarà poi inserito il video nella fase di montaggio. In
qualche scena, specialmente nell'episodio sulla sicurezza nucleare, alcuni
fondali davano l’impressione di essere finti, ma oltre questo, non ho visto
altre pecche di questo tipo. Altro appunto che vorrei in qualche modo fare è
che in alcuni punti ho trovato che si sia utilizzato un po’ troppo sangue,
scene un po’ troppo violente o semplicemente tendenti allo splatter.
Una
menzione va fatta alla straordinaria musica che accompagnava il film, composta
dallo stesso Tom Tykwer insieme a Johnny
Klimek e Reinhold Heil: non era mai superflua, sempre ben cadenzata, ha trovato
il suo trionfo nel momento in cui Louisa ascolta il disco “Cloud Atlas Sextet”.
Non ho davvero mai sentito musica più consona ad una pellicola.
Credo
che Cloud Atlas sia un film da vedere e rivedere più volte per coglierne le
sfumature, perché ci sono alcuni punti che sfuggono alla prima visione; non
ritengo sia il migliore mai visto ma devo dire che ha il pregio di essere un
film estremamente leggero, nonostante la sua durata (tre ore circa). Inoltre è
interessante vedere come sia si una pellicola di genere fantascientifico, ma
che al suo interno racchiude tanti generi, dal drammatico al comico, dal
distopico al film d’azione, dal thriller allo storico.
Se
avete voglia di vedere qualcosa di eclettico e edificante, questo è il film che
fa per voi. Ma vi avverto, non si tratta sicuramente di un film perfetto, in
qualche modo volendo essere metafora dell’essenza dell’essere umano.
Voto:
è un film che è sulla mia agenda da quando ho visto il trailer la prima volta. Mi rassicura la tua recensione positiva, non vedo l'ora di vederlo! Apprezzo molto i "fratelli Matrix" :)
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