mercoledì 16 gennaio 2013

Recensione del film “Cloud Atlas”








Non sono una grande fan di Matrix, pur avendo visto la trilogia e gli annessi cortometraggi di Animatrix. Eppure, ho apprezzato il visionario e distopico V per Vendetta, del quale i fratelli Wachowski hanno curato la sceneggiatura. Quest’anno i due sono tornati al cinema da co-registi insieme a Tom Tykwer (regista del film Il profumo: storia di un assassino tratto dal romanzo Il profumo di Patrick Süskind) per presentare un film approdato nelle sale italiane il 10 Gennaio 2013: si tratta di Cloud Atlas, il cui soggetto è tratto dal romanzo fantascientifico L’atlante delle nuvole di David Mitchell (edito in Italia da Frassinelli).



Premetto che non ho letto il libro ma che ho intenzione di leggerlo, questa dunque non sarà una recensione che verterà sulle differenze tra pellicola e romanzo, bensì un’analisi obiettiva della trama e dei contenuti del film, tentando di darne una valutazione del tutto imparziale.
Il film inizia col monologo di un vecchio, il cui abbigliamento sembra quello di un uomo primitivo, ma in realtà si tratta di un sopravvissuto ad uno scenario apocalittico, con un’orazione alla notte, che funge da prologo agli episodi che vedremo successivamente, sei racconti diversi, di persone diverse, il cui destino, in qualche modo, è connesso.
La prima storia in ordine di tempo è quella dell’avvocato Adam Ewing (Jim Sturgess) e del suo viaggio nel pacifico nel 1839, intrapreso per ottenere un contratto che riguarda la tratta degli schiavi. Durante tale viaggio per mare, Adam si trova a nascondere un clandestino nero, Autua (David Gyasi) e, avendo contratto il verme polinesiano, viene curato dallo strano dottor Goose (Tom Hanks). Adam farà in modo che il Capitano della nave accetti Autua nella sua ciurma, ma nel frattempo si troverà a fare i conti con la sua malattia e, temendo di non riuscire a fare ritorno a casa, scrive le sue memorie su un diario.



La seconda storia è quella di Robert Frobisher (Ben Whishaw), squattrinato musicista, che nel 1936 si trova a lavorare come copista per il compositore Vyvyan Ayris (Jim Broadbent), non più in grado di suonare da se il pianoforte. Durante il suo soggiorno nella casa di Vyvyan, Robert compone una sua opera, “L’atlante delle nuvole”, e racconta attraverso le sue lettere all’amante Rufus Sixsmith (James D'Arcy) la difficoltà del rapporto con il compositore più anziano e la relazione sessuale con la moglie di lui.


Nel terzo episodio, incontriamo nuovamente Rufus Sixsmith, ormai anziano, disposto a consegnare alla giornalista Luisa Rey (Halle Berry) informazioni confidenziali riguardo la dubbia sicurezza di una centrale nucleare. Ma Sixsmith viene ucciso prima di poter consegnare dei resoconti alla donna, che si appropria solo delle lettere che Robert Frobisher aveva inviato a Sixsmith, scoprendo l’esistenza del “Cloud Atlas Sextet”, uno dei pochi dischi rimasti dell’unica composizione di Robert. Ovviamente il proprietario della centrale nucleare (interpretato da Hugh Grant) scopre ben presto che Louisa è in possesso di questi files top-secret e che uno scienziato, assunto al posto di Sixsmith, le sta dando una mano; invia così un suo sicario (Hugo Weaving, il celebre Agente Smith di Matrix, re Elrond ne Il signore degli anelli e V in V per Vendetta) per uccidere Louisa.

Ci spostiamo poi dal 1972 al 2012 nel quale l'editore Timothy Cavendish (Jim Broadbent), si trova costretto a pagare una cifra spropositata ad uno scrittore, il cui successo deriva dal fatto di aver ucciso un uomo, e per questo chiede aiuto al fratello più anziano (Hugh Grant) che, rancoroso nei suoi confronti perché ha avuto una storia con la moglie, lo fa rinchiudere in una casa di riposo per anziani, dalla quale non sembra esserci via d’uscita. Ma Timothy potrà contare su tre simpatici vecchietti per tentare la fuga.

Si passa poi alla Neo Seoul del 2144, città tecnologica ricostruita dopo la grande inondazione che ha spazzato via la città vecchia. La protagonista è Sonmi~451 (Bae Doona) un’artificio (ossia un clone), che lavora in una “mangiatoria” e vive la sua vita come se fosse un automa, finché non conosce il ribelle Hae-Joo Chang (Jim Sturgess) che la aiuta ad evadere dal posto in cui vive, vedendo in lei un essere pensante destinato a guidare la rivolta contro lo stato. Somni si innamora di Hae e lo aiuta a portare avanti i suoi ideali, trasmettendo un messaggio di speranza per tutti gli esseri esistenti sulla terra.

L’ultimo episodio, invece, è ambientato più avanti nel tempo, in un mondo in cui l’uomo vive nuovamente a contatto con la natura. È la storia di Zachry, uomo che vive tormentato dalla visione di un diavolo e dal rimorso per non aver salvato un amico e suo figlio (in realtà credo sia suo fratello, ma nel film non è chiaro il legame). Il suo popolo è composto da pacifici contadini costretti a difendersi dai temibili guerrieri della tribù di Kona. La gente di Zachry professa il culto della dea Sonmi, guidata da una sacerdotessa. Gli equilibri della tribù verranno un po’ sconvolti dall’arrivo di Meronym (Halle Berry), membro dei "Prescenti", ultimi sopravvissuti di una civiltà tecnologicamente avanzata, che salva la vita della nipote di Zachry, che per gratitudine accetta di scortarla sul monte Mauna Kea, un luogo che la sua gente teme in quanto si vocifera che sia la dimora del diavolo.

Le storie vengono raccontate in modo intrecciato, quasi parallelo, susseguendosi e a volte sovrapponendosi, come se fossero poste su un unico filo conduttore che non è rappresentato da tempo e spazio, ma dai destini dei vari personaggi che si combinano di volta in volta. C’è sempre un qualcosa che connette la vicenda temporalmente precedente a quella immediatamente successiva, che sia la sinfonia di Frobisher, o la storia di Cavendish che arriva a Somni sotto forma di film. Tutto è legato anche da una voglia a forma di stella cometa, che lascia pensare che i vari personaggi che abbiamo visto si siano di volta in volta rincarnati in un essere nuovo. Ogni episodio ha un preciso tema di matrice sociologica alla base: si parla in sequenza di discriminazioni razziali, discriminazioni omofobe, complotti riguardo il nucleare, rispetto per la terza età, regimi totalitari che ricordano la Germania di Hitler e infine l’organizzazione religiosa della società. Sono tutte tematiche che rimandano a problemi vivi nella nostra società, per i quali la pellicola offre una sola soluzione: solo chi lotta per il bene non perdendo mai la speranza potrà dirsi soddisfatto di ciò che ha compiuto l’uomo. Il tutto è riassumibile attraverso una frase del discorso di Sonmi:

“La nostra vita non ci appartiene. Dal grembo materno alla tomba, siamo legati agli altri. Passati e presenti. E da ogni crimine, e da ogni gentilezza, generiamo il nostro futuro”


I personaggi sono molto affascinanti e veritieri, l’unica cosa che ho trovato un po’ difficile è stata star dietro alle parole di Zachry, il cui linguaggio molto essenziale credo sia stato comunque ben tradotto in italiano (anche se sono curiosa di rivederlo in inglese). Inoltre devo dire che ho trovato favoloso il trucco di scena, che ha reso praticamente irriconoscibili alcuni ruoli interpretati ad esempio da Halle Berry e Jim Sturgess. Ho trovato confortante che, alla fine della pellicola, venissero mostrate le varie “maschere” indossate dagli attori. In questa pellicola si è davvero puntato alla capacità di interpretazione dell’attore, quella di poter mostrare multiple identità senza confonderle.
Passiamo agli aspetti più tecnici: le scenografie e le ambientazioni. Sono rimasta piacevolmente affascinata dal modo in cui sono state rese le varie epoche storiche e, se vogliamo essere davvero pignoli, l’unica vera sfida era quella di dare una visione il più possibile realistica del futuro. Neo Seoul è perfettamente concepita, non sembra di essere in un videogioco come accadeva in Matrix, non si ha la perenne sensazione che i personaggi siano davanti ad uno telo verde nel quale sarà poi inserito il video nella fase di montaggio. In qualche scena, specialmente nell'episodio sulla sicurezza nucleare, alcuni fondali davano l’impressione di essere finti, ma oltre questo, non ho visto altre pecche di questo tipo. Altro appunto che vorrei in qualche modo fare è che in alcuni punti ho trovato che si sia utilizzato un po’ troppo sangue, scene un po’ troppo violente o semplicemente tendenti allo splatter.
Una menzione va fatta alla straordinaria musica che accompagnava il film, composta dallo stesso Tom Tykwer  insieme a Johnny Klimek e Reinhold Heil: non era mai superflua, sempre ben cadenzata, ha trovato il suo trionfo nel momento in cui Louisa ascolta il disco “Cloud Atlas Sextet”. Non ho davvero mai sentito musica più consona ad una pellicola.
Credo che Cloud Atlas sia un film da vedere e rivedere più volte per coglierne le sfumature, perché ci sono alcuni punti che sfuggono alla prima visione; non ritengo sia il migliore mai visto ma devo dire che ha il pregio di essere un film estremamente leggero, nonostante la sua durata (tre ore circa). Inoltre è interessante vedere come sia si una pellicola di genere fantascientifico, ma che al suo interno racchiude tanti generi, dal drammatico al comico, dal distopico al film d’azione, dal thriller allo storico.
Se avete voglia di vedere qualcosa di eclettico e edificante, questo è il film che fa per voi. Ma vi avverto, non si tratta sicuramente di un film perfetto, in qualche modo volendo essere metafora dell’essenza dell’essere umano.


Voto: 




1 commento:

  1. è un film che è sulla mia agenda da quando ho visto il trailer la prima volta. Mi rassicura la tua recensione positiva, non vedo l'ora di vederlo! Apprezzo molto i "fratelli Matrix" :)

    RispondiElimina

Grazie per aver condiviso la tua opinione!

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...