giovedì 3 gennaio 2013

Recensione: Incarceron di Catherine Fisher

Incarceron - Catherine Fisher
Incarceron è una prigione avvenieristica e invisibile, dove i discendenti dei prigionieri originari vivono in un mondo oscuro scosso da rivalità e violenze. È un incrocio di inquietanti tecnologie, un edificio vivente, un Grande Fratello vendicativo e sempre in guardia, corredato di camere di tortura, sotterranei e passaggi segreti. In questo luogo un giovane prigioniero, Finn, ha delle visioni della sua vita precedente e non riesce a convincersi di essere nato e cresciuto lì. Nel mondo esterno Claudia, figlia del direttore di Incarceron, è intrappolata in un altro tipo di prigione - un universo tecnologico ma costruito con meticolosa cura affinché appaia come un'epoca antica - dove la attende un matrimonio combinato con un ricco playboy che lei odia. Ma arriverà un momento in cui Claudia e Finn, contemporaneamente, troveranno un oggetto, una chiave di cristallo, attraverso la quale potranno parlarsi. E allora sarà solo questione di tempo prima che i due mondi, finora separati dagli spessi muri di Incarceron, entrino in contatto...
Editore: Fazi
Collana: Lain
Data di Pubblicazione: Ottobre 2012
Pagine: 374


A cura di Giulia

Voto: 




"Chi può sondare l'immensità di Incarceron?"
Ecco la domanda con cui la Fisher apre il suo romanzo distopico rivolto al giovane pubblico, edito in Italia dalla Fazi. Una domanda per i lettori, per se stessa e per i protagonisti del libro che vivono dentro Incarceron, una prigione enorme -quasi senza confini- dalla quale nessuno può entrare e nessuno può uscire. Solo una figura mitica e leggendaria, Sapphique, si narra che sia riuscita ad uscire da Incarceron. 
Il romanzo ruota tra la vita di Claudia e quella di Finn, che ad un tratto si incontreranno e diverranno indispensabili l'uno per la salvezza dell'altro. Claudia è la figlia del guardiano di Incarceron ed è costretta a sposare il figlio sfaticato della regina, Finn invece vive dentro la prigione, ma sente di non essere nato lì dentro a causa di visioni, forse ricordi, che a volte lo assalgono. Due chiavi di cristallo con un'aquila coronata al centro metteranno in contatto Claudia e Finn, unendo, anzi riunendo, i loro destini.

Dilemma centrale sotteso in ogni angolo del libro è l'incertezza di dove alberghi il male e se sia possibile allontanarlo dall'animo umano. Su questo punto la Fisher torna più volte e sembra che ci voglia spingere ad una riflessione: il male nasce con l'uomo a prescindere dalla società in cui vive o è il mondo corrotto a suscitarlo? 

Forse questa analisi è troppo profonda ed è un ultimo tentativo di trovare un qualche significato in questo romanzo: è un ragionamento, infatti, su cui mi sono soffermata e che potrebbe essere il punto di partenza per rivalutare, almeno in questo, il testo. In fondo, basta creare una mega prigione in cui stipare tutti i criminali e qualche saggio che li rieduchi al bene per cancellare il male? 

Secondo la nostra autrice non è sufficiente. Il male non è controllabile e rinasce sia nella prigione -ideata con lo scopo di realizzare un mondo utopico privo di influssi maligni- sia nel mondo reale che, per volere della regina,  deve far finta di essere fermo ad un'era tecnologicamente limitata, così che il progresso non possa turbare gli equilibri del regno. E sono proprio queste caratteristiche a creare un'associazione tra la prigione e il mondo reale, il quale non differisce di molto dalla natura coercitiva di una reclusione.

Una prigionia che Claudia sente da quando era piccola e che la soffoca nel sontuoso palazzo dove, circondata da servitori e accontentata in ogni capriccio, suo unico amico è il precettore, fedele ascoltatore e quasi padre per lei. È una protagonista come tante: ha un rapporto difficile col genitore, che la porta a gioire nel farlo arrabbiare, ma anche ad averne paura. Nasconde il desiderio di essere amata, è destinata a sposare il fratello cattivo del principe di cui era innamorata ed è la classica ragazzina ricca e scontenta di ciò che ha, che deve ribellarsi ad ogni costo. A questa piatta protagonista, che suscita una certa antipatia, si accosta un Finn altrettanto banale e inconsistente

È lui l'unico che, grazie alle visioni, potrebbe riuscire ad uscire da Incarceron: nessuna dote o talento particolare, solo un'assoluta indifferenza nei confronti della propria vita e di quella degli altri, caratteristica che potrebbe essere scambiata per coraggio ma che io definirei più che altro incuria della propria sopravvivenza. Il suo unico legame affettivo è con Keiro, fratello acquisito e spalla destra nella comunità degli Scum -balordi che attaccano e saccheggiano tutto ciò che incontrano e vivono senza alcuna legge, sotto il controllo del più potente. Ma lo stesso Finn si chiede se il loro vincolo sia reale o un semplice obbligo dettato dalle circostanze. 

Figura interessante e che si distanzia un po' dagli altri personaggi è quella della schiava-cane, Attia, una ragazza che seguirà Finn e lo proteggerà per ringraziarlo di averla salvata dagli Scum. Sembra essere l'unica a conservare un briciolo di umanità e calore nel cuore, pur essendo nella situazione peggiore poiché considerata meno di uno schiavo. La sua presenza esplicita quanto il progetto iniziale di rieducazione al bene sia fallito o, meglio, non si sia sviluppato come previsto e sia stato quasi auto-sovvertito. Infatti la riformazione dei prigionieri non ha portato a niente di buono e col passare del tempo la vita dentro la prigione è diventata sempre più terribile e oscura. 

Ognuno dentro Incarceron ha la consapevolezza di essere osservato e seguito in ogni mossa: la prigione è uguale agli occhi del Grande Fratello di Orwell, registra ovunque ogni piccolo movimento. Incarceron diventa  essa  stessa  personaggio  e  la  sua  personificazione  è  presente  sin  dalle  prime  pagine, quando Finn lotta per cercare di capire come sfuggire al suo sguardo e le parla. La prigione risponderà e mostrerà la propria dimensione umana e la propria solitudine, che la porta a desiderare ciò che agognano i suoi stessi prigionieri: conoscere il mondo esterno. Perciò colei che tiene reclusi tutti -entità senziente che non potrà però mai realizzare la propria ambizione, essendo priva di qualsiasi elemento che la renda umana- condivide con loro la stessa sete di conoscenza, e proprio a causa questo punto debole cede e si mostra nella propria natura ai suoi figli: i prigionieri nascono dalle sue viscere, poiché tutto viene assorbito e riutilizzato -soprattutto la materia organica che ormai scarseggia, al punto che la maggior parte di loro è composta anche da una parte non organica. La capacità di Incarceron di riportare in vita ciò che non serviva più è un modo per controllare ancora più da vicino le proprie creazioni senza lasciare vie di fuga a nessuno. 

La Fisher mette insieme tanti personaggi caratterizzati da una propria storia e personalità, e cerca di farli incontrare e confrontare. Purtroppo non ci riesce,  poiché ognuno rimane intrappolato nel suo punto di vista e anche chi, come Attia, cerca di aprire il proprio cuore a chi l'ha aiutata, rimarrà schiva e distaccata con gli altri prigionieri. Tutto questo, unito alla prevedibilità della trama e agli stereotipi incarnati dai personaggi, porta ad un'ulteriore svalutazione del romanzo.
Devo ammettere di aver letto il romanzo abbastanza velocemente e non di certo grazie alle qualità del libro, che risulta una delle tante storielle che ci hanno abituato a propinarci. Le ultime cento pagine, molto intuibili già dalla seconda parte del testo, accentuano l'antipatia nei confronti di Claudia e, per chi come me ha provato una leggera simpatia per Attia, infastidiscono doppiamente.

Spero solo che il  sequel si arricchisca con qualche colpo  di scena  che rinnovi la  trama  abbondantemente scontata,  e  che  la  Fisher  riesca  a  smentire  le  mie  supposizioni  sull'evidenza  del  contenuto  di Sapphique.

Ultima riflessione: se il libro, che notoriamente è migliore di ogni sua rappresentazione cinematografica, si presenta così scialbo, cosa ne sarà del film?

2 commenti:

  1. Non è piaciuto molto nemmeno a me, ma trovo un luogo comune dire che il libro è sempre migliore del film. Forse al cinema può uscire qualcosa di carino!
    Silvia

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  2. Forse sì, ma la trama resta la stessa

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Grazie per aver condiviso la tua opinione!

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