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Scritto da Elli
Perdersi e ritrovarsi
Holly, Jen e Amanda sono tre giovani newyorkesi in carriera immerse fino al collo nel ritmo frenetico della Grande Mela, fra orari di lavoro impossibili, relazioni più o meno significative e qualche puntata nei locali più trendy. A un certo punto delle loro vite – per motivi diversi e attraverso strade diverse, ma tutte nel medesimo luogo e nel medesimo istante – cominciano però a covare nell’animo un progetto dal sapore folle: lasciarsi tutto alle spalle (lavoro, famiglia, amici e legami sentimentali) e partire per un viaggio di un anno intorno al mondo, nel tentativo di portare a compimento tutto ciò che hanno sempre desiderato fare prima che le loro vite si incanalino in un percorso senza possibili deviazioni. Non stiamo parlando, badiamo bene, di tre riccone annoiate che possono permettersi a cuor leggero una scelta così drastica, ma di persone che hanno lottato non poco per raggiungere una certa posizione sociale e lavorativa, che a stento riescono a permettersi gli affitti esosi della città e che in banca hanno appena i soldi sufficienti per realizzare un simile sogno (e sempre a patto di scegliere le mete più economiche e di dormire per dodici lunghi mesi in luridi ostelli). Incredibilmente, quella che all’inizio è solo un’idea buttata lì nell’euforia di una breve vacanza diviene poco per volta un progetto serio, ed ecco così che le nostre tre eroine si gettano a capofitto nell’impresa e, seppur tra mille difficoltà, la portano a compimento, abbandonando l’iniziale scenario alla Sex and the City a favore di altri decisamente meno patinati, anche se più emozionanti. Dal Perù al Brasile, dal Kenya all’India, dal Sudest asiatico all’Australia, queste incredibili ragazze ci accompagnano in un tour del mondo interessante sotto molti punti di vista.
La cronaca di questo viaggio (vero) mi ha coinvolto parecchio, arrivando spesso perfino a commuovermi. Proprio perché di vita vera si tratta, e non di una storia inventata, ci si trova dentro un po’ di tutto: da un lato ci sono momenti del tutto frivoli in cui le ragazze vogliono soltanto divertirsi, folleggiare nei locali notturni e conoscere persone interessanti; dall’altro c’è l’incontro/scontro con alcune delle realtà più dure del pianeta, il tutto accompagnato da serie riflessioni su temi scottanti come la condizione generale delle donne o le “vacanze sessuali” in Thailandia, sul turismo responsabile e sull’impatto – positivo o nocivo, resta tutto da vedere – dei visitatori occidentali sulle realtà locali, spesso letteralmente stravolte e non sempre nella direzione migliore. Nel frattempo, mentre miserie e splendori dei luoghi visitati scorrono ora sullo sfondo ora in primo piano, emerge un altro piano del racconto: il rapporto sempre più stretto fra le tre compagne di viaggio (due delle quali in precedenza erano semplici conoscenti), non privo di momenti di tensione ma proprio per questo tanto più autentico e toccante, e il loro coraggioso tentativo di scavare dentro se stesse e di trovare ognuna la propria strada.
Il racconto del viaggio, narrato di volta in volta da una delle tre “Lost Girls” (il nome del gruppo è scherzosamente riferito sia allo stato di smarrimento esistenziale che ne caratterizza i membri sia al vagabondare senza una vera meta) potrebbe risultare per qualche lettore un po’ troppo lungo e ripetitivo, specialmente verso la fine, ma personalmente ho divorato questo libro come non mi accadeva da tempo. Due delle autrici sono giornaliste e si vede (e immagino abbiano aiutato parecchio la loro collega più inesperta, lasciandole la sua “voce” ma limando il suo stile), per cui le immagini scorrono vividissime davanti al lettore, riproducendo alla perfezione atmosfere, suoni, colori e le piccole e grandi difficoltà quotidiane affrontate dalle tre giramondo.
Non mi è stato affatto difficile calarmi nei panni del terzetto di autrici/protagoniste (e dunque appassionarmi alle loro vicende), probabilmente perché anch’io mi trovo più o meno nella stessa condizione che le ha spinte a tagliare i ponti con tutto ciò che conoscevano per passare un anno a vagabondare in alcuni dei luoghi più belli e al tempo stesso più terribili del mondo; il medesimo stato mentale di tantissime donne che con l’avvicinarsi dei fatidici trent’anni si ritrovano a interrogarsi sulla propria vita e a chiedersi “ma che cavolo sto facendo?”
Questo libro è particolarmente consigliato a tutte loro (ovvero a tutte noi). Esattamente come nella vita reale, alla fine dei giochi non ci sono risposte precise o grandi illuminazioni, solo tanti piccoli episodi più o meno significativi, tante piccole scoperte e alcune certezze acquisite gradualmente e con grande fatica. Non dico che domani mi alzerò, mi metterò lo zaino in spalla e lascerò la sicurezza della mia casa per andare a dormire in mezzo agli scarafaggi, ma non posso negare che conoscere queste tre ragazze e seguirle in capo al mondo sia stato parecchio istruttivo e mi abbia dato diverse cose su cui riflettere.
Consiglio vivamente di visitare il blog delle autrici, specialmente per chi mastica un po’ di inglese: http://www.lostgirlsworld.com/about/
E ora la citazione: “lasciare le nostre vite per fare una deviazione così anticonvenzionale è stata una delle cose più difficili che abbiamo mai fatto, ma l’esperienza ci ha insegnato che a volte perdersi non è un pericolo da evitare, ma un’occasione da cogliere al volo. Gli unici rischi che si rimpiangono sono quelli che non si ha avuto il coraggio di correre.”
Non sono sicura di condividere del tutto quest’ultima affermazione, ma tanto di cappello a chi ha avuto il coraggio di seguire sul serio una simile filosofia di vita.
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