Scritto da Surymae Rossweisse
Salve salvino, cari vicini!
Okay... direi che ho toccato il fondo, vero? Beh, in ogni caso bentrovati ad
un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Oggi, una volta tanto, parliamo di
anime. Non si tratta di una serie recente, ma non si può dire che non abbia
lasciato il segno. All'epoca (fine degli anni '70) fece un grande successo,
anche in Italia. Inoltre, grazie a quest'anime l'universo narrativo del suo
autore godette di grande popolarità; ancora oggi continua ad espandersi, con
vari tentativi di rivitalizzare e aggiornare quanto detto in passato. Non che
ci interessi molto, visto che oggi parliamo solo dell'originale, ma questo per
farvi capire che si tratta a tutti gli effetti di un'opera importante, che
probabilmente ogni amante dell'animazione giapponese dovrebbe conoscere.
L'unico problema è che la sua reperibilità è scarsina, complice anche un
adattamento italiano che - pur essendo meglio di quanto fatto in seguito dalla
cara mamma Mediaset – non faceva mancare censure varie e dialoghi mai tradotti
e doppiati. Lo riconosco, non è un difetto da poco. Però, la qualità della
serie batte qualunque malefatta in sede di adattamento. Di che sto parlando? Ma
di “Capitan Harlock”, serie animata
del 1978 tratta dall'omonimo manga di Leiji
Matsumoto!
Siamo nel “lontano 2977” , epoca in cui la Terra è sì sviluppata dal
punto di vista tecnologico – persone e mezzi viaggiano abitualmente nello
spazio, le macchine sono in grado di sostituire gli uomini nei più disparati
lavori – ma decadente dal punto di vista sociologico e culturale. A partire
dalla classe dirigente, infatti, vige un clima di egoismo e cinismo, che lascia
da parte l'idea di fare qualcosa per gli altri se non si ha un tornaconto
personale. Sono pochi quelli che si oppongono a questo modo di pensare. Harlock
è sicuramente il primo della lista: non a caso è un pirata spaziale, una specie di Robin Hood più avanzato
tecnologicamente che combatte, depredando le navi terrestri, contro il
malcostume della sua terra. Anche se meno appariscenti di quest'ultimo,
spiccano poi il professor Dayo e suo figlio Tadashi, due scienziati terrestri.
Ma il decadimento della società è
il minore dei problemi. Un giorno, infatti, dal cielo piove una gigantesca sfera nera denominata “pennant”.
Quest'ultima, scoprono i Dayo, proviene dal pianeta Mazone le cui abitanti,
stando a quanto scritto sulla sua superficie, desiderano fare della Terra la
loro seconda patria. Nessuno crede al loro racconto, nemmeno quando l'esistenza
delle mazoniane sarà provata sulla pelle del vecchio professore, ucciso proprio
da una di esse. Harlock è l'unico a capire la gravità della situazione, e
propone all'ormai orfano Tadashi di far parte dell'equipaggio della sua nave,
l'Arcadia, e combattere insieme a
lui le intruse. Il ragazzo all'inizio rifiuta, confidando nella comprensione
delle autorità terrestri; ma quando vede che a nessuno importa del perché suo
padre sia morto capisce di non avere altra scelta e finalmente accetta
l'offerta. Così l'equipaggio allargato dell'Arcadia si ritrova, da solo, a
scongiurare l'invasione della Terra...
D'accordo, d'accordo, avete
ragione: non è un granché, come trama. Non è per nulla originale: quante volte abbiamo sentito di lotte contro esseri alieni che, tra tutti i pianeti di tutte
le galassie, scelgono proprio il nostro per costruirci sopra la loro seconda
casa? E poi, dove diavolo è Capitan Harlock in tutto questo?
Una cosa alla volta. Non si può
negare che l'idea dell'invasione aliena non sia esattamente nuova di pacca.
Però, come dice un detto, non conta cosa si dice ma come lo si dice. Ed è proprio questo che salva il soggetto di
Matsumoto dall'essere stantio e gli consente di essere visto anche a
distanza di tempo. In genere, nonostante i ruoli che ricoprono nelle storie,
gli alieni non vengono degnati di molte attenzioni. Mi viene in mente, ad
esempio, il film “Independence Day”, dove non solo l'extraterrestre è un
ammasso di tentacoli verdognoli senza arte né parte, ma che – mi sembra di
ricordare: del resto l'ho visto una sola volta e non ci tengo a ripetere
l'esperienza! - viene sballottato di qua
e di là dai fighissimi americani senza che nessuno, e dico nessuno, cerchi
quantomeno di avere un contatto con l'alieno e di capire le sue ragioni.
Tornando a “Capitan Harlock”...
dimenticatevi quanto appena detto su “Independence Day”. Tanto per cominciare, gli alieni di Matsumoto si fanno
notare: sono infatti, per la stragrande maggioranza, donne
bellissime dall'aspetto umanoide. Non a caso nella trama ho parlato
soltanto al femminile. Ma questo sarebbe il meno: le mazoniane non solo sono
donne, ma sono anche personaggi ben caratterizzati, probabilmente anche meglio
di alcuni protagonisti. Almeno all'inizio della storia, esse non sono cattive
solo per modo di dire: non esitano a sfruttare il loro fascino per avere la
meglio sugli avversari, sono sleali, parecchie volte si comportano in modo
meschino o spietato.
La domanda da porsi però è: perché lo fanno? Sono veramente così
cattive? Oppure hanno delle motivazioni che le spingono a comportarsi in quel
modo? La risposta sarebbe “nì”. Alcune di loro sono malvagie e basta, senza
giustificazioni. Ma con il procedere degli episodi, soprattutto dalla seconda
metà della serie, si scopre qualcosa di più sulla loro società e mentalità, e
allora le convinzioni vacillano. Raflesia, la loro regina, costituisce un
esempio perfetto. All'apparenza spietata e orgogliosa, è in realtà una donna
(?) che tiene al benessere del suo popolo, e che per questo è disposta a tutto.
Rispetta sinceramente Harlock come avversario e ne riconosce le doti, al punto
che in un certo punto della storia, quando una delle sue sottoposte propone un
piano particolarmente crudele per mettere fuorigioco il pirata, questa rifiuta:
“Non voglio farmi disprezzare da Harlock”, dice. Tra le varie mazoniane, poi, prevale un sentimento di cameratismo e in
alcuni casi di affetto profondo, come dimostrato in parecchi episodi.
Quanto a complessità psicologica, quindi, non ci si può certo lamentare, e
almeno agli occhi di chi scrive questa è una delle attrattive principali
dell'anime. Chi preferisce comunque la sana azione all'introspezione, comunque,
troverà pane per i suoi denti.
Qual era la seconda domanda? Sì,
ricordo: qual era il ruolo di Harlock in questa trama. Beh, è solamente il
protagonista dell'opera, nonché il personaggio più carismatico. Per quanto
tutto il cast sia molto importante, personaggi secondari compresi, il centro
dell'azione è senza dubbio lui: con lui parte la storia, e con lui finisce. Se
poi nella trama parlo tanto di Tadashi è perché c'è una ragione specifica: il
ragazzo, infatti, è una specie di tramite tra lo spettatore ed Harlock. Come
personaggio, quest'ultimo è piuttosto complesso: preferendo il linguaggio non
verbale a quello parlato, è difficile capirne il carattere, senza contare che siccome la trama comincia in medias res una
buona parte del percorso personale del capitano ci è sconosciuto.
Certamente questo contribuisce molto al carisma del personaggio visto che - si
sa - lo stereotipo dell'uomo tenebroso di poche parole ha sempre il suo
fascino. In ogni caso, per questo e per altri aspetti della trama abbiamo
bisogno di un intermediario: e Tadashi fa proprio al caso nostro. Il ruolo di
quest'ultimo nella storia però non finisce qui, visto che il suo percorso di
maturazione nel corso della storia. Quando entra a far parte dell'Arcadia,
infatti, è animato esclusivamente dalla vendetta, al punto che nella smania di
punire gli avversari commette diverse azioni sbagliate ed avventate. Tuttavia,
a causa appunto di alcune esperienze infelici e scontri verbali con lo stesso
Harlock, acquisterà un po' di saggezza.
Per ragioni di tempo mi fermo qui per quanto riguarda l'introspezione
psicologica, ma vi assicuro che anche gli altri personaggi non sono da meno,
anche quelli più in ombra rispetto ai protagonisti. E voi vi fidate di me,
vero?
Per quanto riguarda l'aspetto tecnico, che dire... è il
meglio che si potesse fare all'epoca, che ovviamente non è quello che si può
fare al meglio oggi. Senza dubbio sembra obsoleto, in alcuni casi persino brutto o scadente: il character design è
tipico di Leiji Matsumoto, e come tale può sembrare pacchiano e minimalista al
tempo stesso (si veda l'Arcadia, o l'abbigliamento dei personaggi); la qualità delle animazioni non è
oggettivamente un granché; la fotografia, se messa al confronto con le
scintillanti serie di oggi, perde clamorosamente. La regia ha dei momenti di
gloria, almeno quello, mentre i dialoghi non sono male, anche se bisognerebbe
vedere quanto è stato cambiato nel corso dell'adattamento italiano. In ogni
caso, non fermatevi soltanto alla tecnica scarsa: perdereste, senza mezzi
termini, un gioiello dell'animazione nipponica.
E con questo è tutto, per oggi.
Spero di non aver offeso nessuno con i commenti poco gentili su “Independence
Day”... se non siete molto arrabbiati, tornate venerdì prossimo con “Il tempio
degli Otaku”!
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